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Megan, recensione: siamo schiavi delle nostre stesse creazioni

Megan è un film piuttosto semplice, una storia dalle tinte horror che ragiona ben oltre la dimensione della finzione.

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Avatar di Nicholas Massa

a cura di Nicholas Massa

Pubblicato il 03/01/2023 alle 09:00

Cosa c’è di meglio di un giocattolo totalmente interattivo? Un giocattolo intelligente che non solamente interagisce coi bambini, ma che al tempo stesso impara a reagire “adeguatamente” agli stimoli del mondo che lo circonda. Queste sono le premesse di Megan (M3GAN) in lingua originale, film horror/fantascientifico firmato da Gerard Johnstone in uscita il 4 gennaio 2023. Da un incipit abbastanza banale e affrontato in  altre pellicole, Megan cerca di trarre un messaggio assolutamente contemporaneo e vicinissimo agli attuali spettatori, parlando del nostro rapporto con l’odierna tecnologia attraverso una narrazione che ne estremizza, in maniera folle e stranamente tragicomica, tutte le possibilità. Dall’eccesso, però, si origina un ragionamento di fondo abbastanza interessante e piuttosto sfaccettato nell’insieme, anche se affrontato a tratti in maniera fin troppo superficiale e “censurata”.

Avrebbero sicuramente potuto e dovuto osare molto di più con questo film, anche perché l’idea alla base apre la strada a una moltitudine di sviluppi e riflessioni sull’indole umana da non trascurare affatto, che ricordano inevitabilmente storie come Small Soldiers del 1998 (lo potete acquistare su Amazon) o Io robot, per fare due esempi.

Megan: e il nostro attaccamento alla tecnologia

La piccola Katie (Violet McGraw) ha da poco perso i suoi genitori in un incidente stradale causato da una tempesta di neve. Ritrovatasi in casa della zia non riesce in alcun modo a superare questo lutto. Gemma (Allison Williams), invece, è una donna in carriera. È sicuramente una delle menti più brillanti del nostro secolo, ed è specializzata nell’ambito della robotica, lavorando in un'enorme società che sfrutta le sue competenze per battere la concorrenza con balocchi sempre più avanzati. Ritrovandosi, però, la nipote in casa non ha la benché minima idea e neanche intenzione di occuparsi di lei, sempre e completamente concentrata nel suo lavoro.

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Così decide di unire l’utile al dilettevole e trasforma uno dei suoi progetti più ambiziosi adattandolo alle esigenze emotive della bambina. Da tutto viene creata Megan, un robot estremamente intelligente e dotato di una IA che le consente non solamente di comprendere gli elementi del mondo che la circondano, ma di apprendere sempre più nozioni in base alle esperienze che vive a fianco al suo “utente principale”. L’idea alla base della sua nascita è proprio quella di un “giocattolo perfetto che rimane continuamente vicino al bambino per ogni sua esigenza, riuscendo a comprendere le necessità giornaliere e risolvendole di volta in volta”. Una sorta di “guardiano”, insomma, che consenta ai genitori di svagarsi senza stare troppo dietro ai loro piccoli.

Il task principale di Megan è quello di difendere Katie e di non permettere che le accada nulla di brutto. Con l’avanzare del tempo, però, la bambola e la bambina sviluppano un malsano rapporto di co-dipendenza che esplode in gesti anche brutali, sempre in relazione al task principale. Quali saranno le ragioni della bambola, sempre che ne abbia qualcuna?

Tecnologia e alienazione dell’individuo

Partendo dall’idea stessa che porta Gemma all’ideazione di questo robot, si può trovare una delle tematiche centrali della pellicola: l’alienazione dell’individuo e la dipendenza con la tecnologia. A questa giovane donna in carriera non ha realmente a cuore la sorte della nipote e di quello che sta passando a seguito della scomparsa genitoriale. Non si sofferma neanche un secondo a empatizzare con lei, cercando, magari di comprendere il dolore che la assilla. Essendo proiettata solamente verso il suo lavoro, e un’arrivista senza freni, pensa bene d’incanalare il dolore della nipote per creare l’invenzione del secolo, e al tempo stesso di tenerla lontana da lei così da non doverci badare. Megan nasce proprio come “strumento per tenere i bambini occupati” e vivere la propria vita adulta “indisturbati”. Il messaggio alla base di questa invenzione è sbagliato alla radice, e proprio su questo punto il regista tende a soffermarsi continuamente.

Inoltre la bambina, colta in un momento estremamente delicato della sua vita, e di totale esposizione emotiva, trova in questa bambola, in questa tecnologia avanzata, l’unico “vero” supporto in un momento estremamente duro nella sua vita. Da ciò la dipendenza con qualcosa che pian piano assume una valenza ben differente ai suoi occhi, non più un semplice strumento di svago ma un elemento imprescindibile della sua vita con un nome e una propria “identità”. Così il film cerca di traslare questo rapporto parlando della nostra stessa dipendenza con la tecnologia e i vari confort che offre (cellulari, tablet, laptop ecc.). Siamo schiavi di qualcosa che riteniamo imprescindibile come Katie è dipendente da Megan senza rendersene mai conto

Pur suggerendo che il male risieda in questa “bambola” il messaggio di fondo è ben differente, anche perché nel corso di tutta la visione non dobbiamo mai dimenticarci di “chi” l’ha creata e del “perché” lo ha fatto.

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Un film che intrattiene 

Dal punto di vista formale Megan è girato abbastanza bene. Si tratta di un film che oscilla continuamente tra un particolare humor sadico e teatrale, e citazioni dal cinema di genere. La sua semplicità narrativa si sposa bene con le tematiche di fondo, anche se uno dei suoi più grandi limiti si nasconde proprio nel ritmo. La storia procede spedita, forse anche troppo e in alcuni frangenti non si prende il giusto respiro per affrontare dinamiche anche pesanti, emotivamente parlando.

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Megan sfrutta una trama estremamente prevedibile per raccontare del nostro presente. La violenza generale di uno strumento che è figlio dell’uomo e dei suoi bisogni, la ribellione, anche se parziale, e la reazione sanguinosa a un presente moralmente labile, sono il frutto di una derivazione tecnologica perfettamente coerente con le pieghe più oscure dell’arrivismo umano. Raccogliendo dentro di sé una vasta gamma di elementi familiari questa pellicola ci regala, con il suo sguardo impietoso, un affresco dell’umanità estremamente negativo, raccontando innanzitutto dei nostri limiti e dell’egoismo che ci caratterizza da secoli, per poi farci scontrare con le conseguenze partorite dalla nostra stessa indole.

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