"In teoria, la fantascienza avrebbe dovuto assolvere nella civiltà industriale l'equivalente del miracoloso favolistico e della narrazione iperfantastica propri dei secoli passati...", l'affermazione - tratta dal volume Paraletteratura, della docente di Storia della lingua italiana Laura Ricci (2013) - rende conto di come l'impegno pluridecennale di tanti seri studiosi non sia ancora riuscito a smuovere i più retrivi luoghi comuni dell'accademismo nostrano.
Che le etichette (vagamente dispregiative) di "miracoloso favolistico" e di "iperfantastico" si possano appiccicare in fronte a scrittori come Edgar Rice Burroughs, Philip Josè Farmer, Emilio Salgari o Edward Elmer Smith è cosa indubitabile, ma come far rientrare in questa riserva indiana opere capitali quali La mostra delle atrocità di Ballard, Tutti a Zanzibar di John Brunner o persino il Noi di Evgenij Zamjatin? Di fatto, l'immaginazione fantascientifica "assolve" compiti un po' più complicati e dialoga con la realtà del suo tempo in termini non così facili da banalizzare.Nel breve racconto Ashes, scritto nel 1924 da Clifford Martin Eddy Jr. (pare con l'aiuto di H. P. Lovecraft in persona), il dottor Van Allister mette a punto un micidiale ritrovato liquido che è capace di ridurre in un mucchietto di cenere bianca qualsiasi sostanza con cui venga in contatto. Convinto di aver inventato una micidiale arma, decide - non si sa perché - di sperimentarla sul vicino di casa e, nell'inevitabile colluttazione, finisce incenerito lui stesso.