Far funzionare un LED al contrario per raffreddare le CPU del futuro

Raffreddare processori sempre più piccoli e potenti è un grande problema. Un gruppo di ricercatori ha pensato di farlo con i LED. Ecco come.

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a cura di Manolo De Agostini

Un gruppo di ricercatori dell'Università del Michigan ha fatto funzionare un diodo ad emissione luminosa (LED) con elettrodi invertiti per raffreddare un altro dispositivo a pochi nanometri di distanza. Secondo i ricercatori questo approccio potrebbe portare a una nuova tecnologia di raffreddamento a stato solido per i futuri microprocessori, che avranno "un così elevato numero di transistor in poco spazio che i metodi attuali non potranno rimuovere il calore con sufficiente rapidità".

Pramod Reddy, che ha guidato il lavoro insieme al professor Edgar Meyhofer, spiega lo studio nel dettaglio. "Abbiamo dimostrato un secondo metodo per usare i fotoni per raffreddare dispositivi". Il primo, noto come "laser cooling", è basato sul lavoro svolto dal Nobel per la Fisica 2018, Arthur Ashkin.

I ricercatori dell'Università del Michigan, invece, hanno sfruttato il potenziale chimico delle radiazioni termiche - un concetto usato più comunemente per spiegare, ad esempio, come funziona una batteria. "Persino oggi, molti assumono che il potenziale chimico della radiazione sia zero", ha spiegato Meyhofer. "Ma il lavoro teorico che risale agli anni '80 suggerisce che sotto alcune condizioni non è così".

Il potenziale chimico, per esempio, genera una corrente elettrica quando una batteria è all'interno di un dispositivo. Dentro alla batteria gli ioni metallici vogliono fluire verso l'altro lato perché in questo modo possono liberarsi di una parte di energia - l'energia potenziale chimica - e noi usiamo quell'energia come elettricità. La radiazione elettromagnetica, inclusa la luce visibile e la radiazione termica all'infrarosso, solitamente non ha questo tipo di potenziale.

"Come avviene in genere per le radiazioni termiche, l'intensità dipende solo dalla temperatura, ma in realtà abbiamo una manopola aggiuntiva per controllare questa radiazione, il che rende il raffreddamento che stiamo studiando possibile", ha detto Linxiao Zhu, ricercatore in ingegneria meccanica e autore principale del lavoro.

Quella "manopola" è elettrica. In teoria, l'inversione delle connessioni elettriche positive e negative su un LED a infrarossi non solo gli impedisce di emettere luce, ma sopprime anche la radiazione termica che dovrebbe produrre perché è a temperatura ambiente. "Il LED, con questo trucco di polarizzazione inversa, si comporta come se fosse a una temperatura più bassa", ha spiegato Reddy.

Misurare questo raffreddamento e dimostrare che è avvenuto qualcosa d'interessante, è tuttavia molto complicato. Per avere sufficiente luce infrarossa da un oggetto al LED, i due dovrebbero essere estremamente vicini tra loro - meno di una singola lunghezza d'onda della luce infrarossa. Ciò serve per avvantaggiarsi dell'effetto "evanescent coupling" (onda evanescente), il quale consente a più fotoni infrarossi o particelle di luce di essere raffreddati nel LED.

I ricercatori, in passato, avevano tuttavia già scaldato e raffreddato dispositivi in nanoscala, disponendoli in modo che fossero a poche decine di nanometri di distanza. A tale distanza, un fotone che non sarebbe sfuggito all'oggetto da raffreddare può passare nel LED, quasi come se la distanza tra loro non esistesse. Il team ha dimostrato il principio realizzando un minuscolo calorimetro, un dispositivo che misura i cambiamenti in energia. L'hanno messo vicino (a 55 nanometri di distanza) a un piccolo LED delle dimensioni di un chicco di riso. Questi due hanno iniziato a emettere e ricevere costantemente fotoni termici l'uno l'altro e nel resto dei loro rispettivi ambienti.

"Qualsiasi oggetto che è a temperatura ambiente emette luce. Una telecamera per la visione notturna fondamentalmente cattura la luce a infrarossi che proviene da un corpo caldo", ha detto Meyhofer. Ma una volta che il LED viene polarizzato inversamente, inizia a comportarsi come un oggetto a bassissima temperatura, assorbendo fotoni dal calorimetro. Allo stesso tempo, il vuoto (gap) impedisce al calore di ritornare nel calorimetro tramite la conduzione, determinando un effetto di raffreddamento.

Il team ha dimostrato il raffreddamento di 6 watt per metro quadrato. Teoricamente questo effetto potrebbe produrre un raffreddamento equivalente a 1000 watt per metro quadrato, o circa la potenza del sole sulla superficie terrestre. Questo potrebbe rivelarsi importante per i futuri smartphone e computer. Con una maggiore potenza di calcolo in dispositivi sempre più piccoli, la rimozione del calore dal microprocessore sta iniziando a limitare la quantità di potenza che può essere inserita in un determinato spazio.

Con il miglioramento dell'efficienza e dei tassi di raffreddamento garantiti da questo nuovo approccio, il team immagina questo fenomeno come un modo per eliminare rapidamente il calore dai microprocessori. Potrebbe persino tollerare gli abusi subiti dagli smartphone, poiché i distanziatori in nanoscala potrebbero fornire la separazione tra microprocessore e LED.

Per chi volesse approfondire, lo studio è stato pubblicato su Nature nella giornata di ieri con il titolo "Near-field photonic cooling through control of the chemical potential of photons".