Intel si trova a fronteggiare una multa definitiva di 237 milioni di euro dopo aver perso il ricorso contro la sentenza antitrust dell'Unione Europea, come riportato da Reuters mercoledì scorso. La vicenda affonda le radici nei primi anni 2000, quando il colosso di Santa Clara avrebbe adottato pratiche commerciali aggressive per limitare la competitività di AMD nel mercato delle CPU x86. Quello che doveva essere un capitolo chiuso nel 2009 si è trasformato in una saga legale durata oltre quindici anni, con continui ricorsi, annullamenti e ricalcoli della sanzione originaria.
La Commissione Europea aveva inizialmente inflitto a Intel una multa record di 1,06 miliardi di euro nel maggio 2009, accusando l'azienda di aver utilizzato sconti condizionati e pagamenti diretti ai produttori OEM per ritardare o bloccare l'adozione di processori AMD. All'epoca, Intel dominava il mercato con una quota superiore all'80%, mentre AMD faticava a guadagnare terreno nonostante prodotti competitivi come gli Athlon 64 e i primi Opteron. Le pratiche contestate includevano incentivi finanziari a Dell, HP, Lenovo e altri produttori di sistemi affinché utilizzassero esclusivamente o prevalentemente CPU Intel nei loro computer.
Il percorso giudiziario ha seguito una traiettoria tortuosa. Dopo il ricorso immediato di Intel nel 2009, il Tribunale Generale dell'UE aveva confermato la decisione nel 2014. Tuttavia, nel 2017 la Corte di Giustizia europea ha ordinato un riesame della questione, ritenendo incompleta l'analisi sull'effettivo impatto anticoncorrenziale degli sconti praticati da Intel. Il punto di svolta è arrivato nel 2022, quando il Tribunale ha annullato completamente la sanzione miliardaria, criticando l'insufficienza dell'analisi economica della Commissione.
Nel 2023-24 la Commissione ha ricalcolato la sanzione concentrandosi principalmente sui pagamenti diretti agli OEM piuttosto che sui complessi meccanismi di sconto, giungendo a una cifra di 376 milioni di euro. Mercoledì il Tribunale di Lussemburgo ha ulteriormente ridotto l'importo a 237 milioni di euro, considerandolo più proporzionato alla gravità e alla durata effettiva delle violazioni riscontrate. Per Intel, che negli ultimi anni ha affrontato difficoltà finanziarie significative con perdite trimestrali miliardarie e programmi di ristrutturazione, si tratta di un ammontare comunque gestibile rispetto alla cifra originaria.
La vicenda potrebbe non essere ancora conclusa definitivamente. Sia Intel che la Commissione Europea hanno la facoltà di presentare un ulteriore ricorso alla Corte di Giustizia dell'UE, l'istanza suprema in materia, prolungando potenzialmente la disputa per altri anni. Tuttavia, considerando che l'importo è ora ridotto a meno di un quarto della sanzione iniziale e che Intel ha già investito risorse legali considerevoli in questa battaglia, un'ulteriore escalation appare meno probabile.
Questo caso si inserisce in un contesto più ampio di interventi regolatori dell'UE nel settore tecnologico. Bruxelles ha dimostrato negli anni una posizione particolarmente assertiva contro le pratiche monopolistiche dei giganti tech, con sanzioni significative a Google per la manipolazione dei risultati di ricerca e shopping, multe ad Apple per le restrizioni dell'App Store, e imposizioni a Microsoft come la schermata di scelta del browser in Windows. Il Digital Markets Act e le normative europee su privacy e diritto alla riparazione rappresentano un approccio regolatorio che spesso contrasta con la filosofia più permissiva di altre giurisdizioni.
Dal punto di vista del mercato delle CPU, la situazione è radicalmente cambiata rispetto ai primi anni 2000. AMD ha recuperato terreno con le architetture Zen, raggiungendo quote di mercato significative sia nel segmento desktop che server. Intel, dal canto suo, ha affrontato ritardi nella transizione ai nodi produttivi avanzati e una concorrenza agguerrita sia da AMD che, nel mercato datacenter, da produttori di chip ARM custom.