A partire dal primo gennaio 2026, ogni spedizione di piccolo valore che transiterà sul territorio italiano sarà gravata da un contributo fisso di due euro. La misura, inserita nella manovra finanziaria attraverso un emendamento di Fratelli d'Italia, dovrebbe garantire un miliardo di euro di entrate pubbliche, ma solleva numerosi dubbi sulla sua reale efficacia nel proteggere il tessuto produttivo nazionale dalla concorrenza estera. L'applicazione pratica del provvedimento appare infatti molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista.
La questione centrale riguarda la natura stessa della tassa e la sua compatibilità con le regole europee. Poiché all'interno dell'Unione vige il principio della libera circolazione delle merci, un bene che supera le frontiere esterne della UE può poi muoversi liberamente tra tutti gli Stati membri. Proprio per questo motivo, le competenze doganali e l'imposizione di dazi sui prodotti provenienti da Paesi terzi spettano esclusivamente a Bruxelles, non ai singoli governi nazionali.
L'obiettivo dichiarato del governo italiano è quello di colpire i colossi cinesi dell'e-commerce come Shein e Temu, che inondano il mercato europeo di prodotti a prezzi stracciati, spesso di una manciata di euro. Tuttavia, per evitare conflitti con le normative comunitarie la tassa sarà probabilmente estesa a tutte le spedizioni di valore inferiore ai 150 euro, indipendentemente dalla provenienza. Ciò significa che anche i pacchi spediti dall'Italia verso l'Italia, ovvero il commercio interno, finirebbero per essere tassati.
Le ipotesi sul tavolo non si fermano qui. Si parla infatti di un ulteriore prelievo specifico per le transazioni effettuate attraverso piattaforme di commercio elettronico, che coinvolgerebbe non soltanto i marketplace asiatici ma anche giganti occidentali come Amazon ed eBay. Una scelta che amplierebbe enormemente il raggio d'azione della misura, trasformandola in un prelievo generalizzato sul commercio a distanza, piuttosto che in uno strumento mirato contro la concorrenza sleale.
Un aspetto particolarmente controverso riguarda le esportazioni. Sebbene i dettagli non siano ancora definitivi, la formulazione attuale dell'emendamento lascia intendere che la tassa potrebbe applicarsi anche ai pacchi che dall'Italia vengono inviati verso destinazioni estere. Una simile interpretazione risulterebbe paradossale: anziché proteggere le imprese italiane, renderebbe i loro prodotti meno competitivi sui mercati internazionali, gravandoli di un costo aggiuntivo che i concorrenti stranieri non dovrebbero sostenere.
Rimane inoltre avvolta nel mistero la modalità concreta di riscossione del contributo. L'emendamento nella sua versione iniziale indicava come responsabile del versamento la piattaforma extra-europea, suggerendo che sarà il mittente a dover anticipare i due euro. Tuttavia, non è ancora chiaro se questa responsabilità ricadrà effettivamente sui venditori, sui corrieri che gestiscono le consegne o sui destinatari finali dei pacchi. Tale incertezza normativa rappresenta un problema non da poco per tutti gli operatori del settore.
Il commercio elettronico rappresenta ormai una componente essenziale dell'economia italiana, non solo per i grandi player internazionali ma soprattutto per migliaia di piccole e medie imprese che hanno trovato nei canali digitali un'opportunità di crescita e internazionalizzazione. Molte realtà artigianali e produttori locali vendono i propri prodotti attraverso spedizioni di valore contenuto, proprio quelle che verranno colpite dal nuovo prelievo. Per queste aziende, e per i loro clienti, il balzello di due euro si configura come un costo aggiuntivo che non porta alcun beneficio tangibile in termini di tutela competitiva.
L'Europa sta già discutendo attivamente l'eliminazione delle esenzioni dai dazi per le spedizioni sotto i 150 euro provenienti da Paesi terzi, una misura che avrebbe davvero l'effetto di riequilibrare la concorrenza con i marketplace asiatici. L'iniziativa italiana rischia invece di anticipare in modo scoordinato un intervento che richiederebbe un approccio europeo unitario, creando nel frattempo distorsioni nel mercato interno. Resta da capire se una tassa che di fatto scoraggia il commercio riuscirà davvero a generare il miliardo di euro previsto o se, al contrario, finirà per erodere la base imponibile riducendo il volume complessivo delle transazioni.