Le nuove direttive dell'amministrazione Trump sui semiconduttori stanno creando un terremoto nel settore tecnologico globale, con implicazioni che potrebbero ridisegnare completamente la mappa della produzione di chip. Il governo americano sta infatti valutando l'introduzione di una politica del "rapporto 1:1" che obbligherebbe le aziende come TSMC a produrre negli Stati Uniti lo stesso quantitativo di semiconduttori che i loro clienti importano da stabilimenti esteri. Una mossa che, se implementata, potrebbe trasformare radicalmente gli equilibri di un'industria da centinaia di miliardi di dollari.
La rivoluzione del "Made in USA" tecnologico
Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la nuova strategia americana mira a eliminare completamente la dipendenza dalle produzioni offshore. Le aziende che non riusciranno a mantenere questo equilibrio tra produzione domestica e importazioni si troveranno ad affrontare dazi punitivi che potrebbero raggiungere cifre astronomiche. Il messaggio è chiaro: Washington vuole che ogni componente della catena di approvvigionamento dei chip si trasferisca sul suolo americano.
La politica rappresenta un'evoluzione rispetto alle iniziali minacce di dazi fino al 100% su aziende come TSMC e Samsung. Inizialmente, le compagnie che si impegnavano a produrre negli Stati Uniti venivano esentate da queste tariffe, ma ora l'approccio si è fatto più sistematico e ambizioso.
TSMC nel mirino: tra investimenti americani e pressioni taiwanesi
Per il colosso taiwanese, questa politica rappresenta una sfida colossale. Attualmente esiste una disparità enorme tra le capacità produttive e tecnologiche dei suoi stabilimenti americani rispetto a quelli di Taiwan. Tuttavia, l'azienda ha già annunciato investimenti miliardari negli Stati Uniti e l'intenzione di produrre tecnologie all'avanguardia anche oltreoceano, segnalando una chiara volontà di adattarsi alle nuove richieste.
Questa transizione sta però creando tensioni anche a Taiwan, dove molti cittadini temono che TSMC stia diventando de facto una fonderia americana. Nonostante la ricerca e sviluppo rimangano concentrati nell'isola, la possibilità che Stati Uniti e Taiwan producano le stesse tecnologie rappresenta un primo passo verso quello che molti considerano un vero e proprio "trasferimento tecnologico".
I tempi della transizione e le sfide operative
Le fonti vicine al dossier riferiscono che alle aziende verrà concesso un "periodo di grazia" durante il quale potranno ancora approvvigionarsi da stabilimenti esteri mentre preparano le strutture domestiche. Questo tempo di transizione sarà cruciale per TSMC, che dovrà non solo potenziare la produzione americana ma anche trasferire competenze e tecnologie che finora erano rimaste concentrate in Asia.
La complessità dell'operazione va oltre la semplice produzione di chip. TSMC dipende infatti da servizi di assemblaggio avanzato e packaging sofisticato che spesso vengono forniti da partner offshore. L'amministrazione Trump sembra determinata a trasferire anche questi segmenti negli Stati Uniti, puntando a un prodotto finale completamente "Made in USA", indipendentemente dal livello di sofisticazione tecnologica richiesto.
Questa strategia potrebbe rappresentare la più grande riorganizzazione industriale del settore tecnologico degli ultimi decenni, con conseguenze che si estenderanno ben oltre i confini americani e taiwanesi, influenzando l'intera catena globale dei semiconduttori.