X ha chiuso l'account pubblicitario della Commissione Europea appena ventiquattro ore dopo aver ricevuto una multa da circa 140 milioni di dollari, innescando uno scontro senza precedenti tra un gigante del tech e l'organo legislativo dell'Unione Europea.
La decisione segna un momento critico nell'applicazione del Digital Services Act, la normativa europea che mira a regolamentare le piattaforme digitali, e solleva interrogativi sulla capacità delle istituzioni di comunicare efficacemente sui social network quando entrano in conflitto con i loro proprietari.
L'escalation è stata innescata da accuse tecniche specifiche. Nikita Bier, responsabile prodotto di X, ha pubblicamente accusato la Commissione di aver sfruttato una vulnerabilità nell'Ad Composer della piattaforma per amplificare artificialmente la visibilità del post con cui annunciava la sanzione record. Secondo Bier, l'ente europeo avrebbe utilizzato un account pubblicitario dormiente per pubblicare un link mascherato da contenuto video, ingannando l'algoritmo e gli utenti per massimizzare la portata organica del messaggio.
In un post di follow-up, il dirigente di X ha precisato che l'exploit tecnico in questione non era mai stato abusato in questo modo e che è stato immediatamente corretto con una patch. Nonostante la correzione, la piattaforma ha comunque revocato alla Commissione Europea la capacità di acquistare e tracciare inserzioni pubblicitarie, una mossa estremamente inusuale che priva un'istituzione governativa degli strumenti standard di comunicazione digitale.
La sanzione che ha scatenato il conflitto rappresenta la prima multa mai comminata sotto il Digital Services Act, come confermato da Thomas Regnier, portavoce della Commissione Europea per la sovranità tecnologica, difesa, spazio e ricerca. Le motivazioni alla base della penale da 140 milioni di dollari riguardano tre aree critiche: un sistema ingannevole di gestione degli account verificati, mancanza di trasparenza nell'archivio pubblicitario e fornitura inadeguata di dati per i ricercatori indipendenti.
La risposta di Elon Musk, proprietario di X, è stata diretta e priva di sfumature diplomatiche: un secco "bullshit" come risposta al post ufficiale della Commissione Europea. Questa reazione riflette una strategia di comunicazione aggressiva che ha caratterizzato la gestione della piattaforma sin dall'acquisizione da parte del magnate sudafricano, ma solleva interrogativi sulla sostenibilità di un approccio conflittuale con i regolatori europei.
Dal punto di vista tecnico, l'incidente evidenzia vulnerabilità nei sistemi pubblicitari delle piattaforme social che possono essere potenzialmente sfruttate anche da attori istituzionali. L'Ad Composer di X, strumento che consente di creare e ottimizzare campagne pubblicitarie, avrebbe contenuto una falla che permetteva di classificare link standard come contenuti video, categoria generalmente favorita dagli algoritmi per engagement organico più elevato.
Nonostante la chiusura dell'account pubblicitario, X rimane legalmente obbligata a presentare misure specifiche e un piano d'azione per affrontare le criticità identificate dalla Commissione Europea. Il mancato rispetto potrebbe comportare sanzioni progressive ancora più severe, potenzialmente fino al 6% del fatturato globale annuale come previsto dal DSA.
La situazione crea un precedente complesso: un'azienda tecnologica che sanziona unilateralmente un'istituzione europea mentre è sotto procedimento regolatorio da parte della stessa.
Per il panorama tech europeo, lo scontro evidenzia le tensioni crescenti tra piattaforme digitali globali e autorità di regolamentazione continentali. Il Digital Services Act, entrato in vigore per le grandi piattaforme nel 2023, è stato concepito proprio per limitare pratiche considerate opache o dannose, ma la sua applicazione si scontra con realtà aziendali sempre meno disposte ad accettare supervisione esterna.