L'industria spaziale italiana si prepara a trasformare la polvere lunare in una risorsa preziosa per l'esplorazione umana del cosmo. Quello che agli occhi di un osservatore comune appare come un accumulo di detriti inutili sulla superficie della Luna, potrebbe presto diventare la chiave per rendere sostenibili le future missioni di lunga durata sul nostro satellite naturale. La regolite lunare - termine che deriva dalla fusione delle parole greche "regos" (tappeto) e "lithos" (pietra) - rappresenta infatti un tesoro nascosto di ossigeno, elemento vitale tanto per la respirazione umana quanto per la produzione di carburante per razzi.
La sfida tecnologica del laboratorio spaziale
Il cuore del progetto Oracle (Oxygen Retrieval Asset for Carbothermal Lunar Extraction) è un dispositivo dalle dimensioni sorprendentemente compatte: un cubo di appena 50 centimetri di lato che racchiude una tecnologia complessa. Questo piccolo laboratorio spaziale dovrà operare in condizioni estreme, raggiungendo temperature di circa 1100°C per innescare il processo carbotermico che libererà l'ossigeno intrappolato negli ossidi metallici presenti nel suolo lunare.
Mario Cosmo, direttore di Scienza e Innovazione dell'Agenzia Spaziale Italiana, spiega il meccanismo: "Portando ossidi e metano a elevate temperature, intorno ai 1100°C, questi reagiscono, formando ossidi di carbonio. Successivamente, in un secondo stadio, alla temperatura di circa 250°C e in presenza di idrogeno, è possibile ottenere vapore acqueo, da far condensare poi fino alla forma liquida".
Un ecosistema di eccellenze italiane
Il progetto quadriennale, del valore ancora non specificato, vede la collaborazione di alcune delle più importanti realtà italiane nel settore spaziale e della ricerca. Ohb Italia guida il consorzio industriale, mentre Enea si occuperà dell'ingegnerizzazione del processo chimico e Kayser Italia fornirà l'elettronica di controllo dell'impianto.
La genesi del progetto risale al 2022, quando l'ASI aveva sottoscritto un accordo con il Politecnico di Milano per avviare le prime fasi di progettazione. Gli anni di sperimentazione hanno dimostrato la validità teorica del processo, aprendo la strada alla fase industriale che porterà alla realizzazione del dimostratore entro la fine del 2028.
Dalla teoria alla pratica lunare
La peculiarità della regolite lunare rispetto a quella terrestre deriva dall'assenza di atmosfera sul nostro satellite, che lo espone maggiormente al bombardamento di asteroidi e meteoroidi. Questa caratteristica, apparentemente svantaggiosa, ha creato nel tempo un accumulo di materiali ricchi di ossidi metallici - ossido di silicio, ferro, alluminio - che rappresentano la materia prima per l'estrazione dell'ossigeno.
Il processo prevede una fase finale di elettrolisi che scinde le molecole d'acqua ottenute nelle fasi precedenti, producendo ossigeno molecolare e idrogeno. Tuttavia, il dimostratore Oracle si concentrerà inizialmente sulla parte più critica e mai testata in ambiente lunare: la prima fase di riduzione carbotermale.
L'orizzonte dell'autosufficienza spaziale
Il successo di Oracle aprirebbe le porte all'approccio ISRU (In Situ Resource Utilization), una filosofia che mira a sfruttare le risorse locali disponibili sui corpi celesti per ridurre la dipendenza dalle forniture terrestri. Come sottolinea Cosmo: "Se l'efficienza del processo verrà confermata, il processo si attesterà come uno dei candidati principali per i futuri impianti su larga scala".
Il dispositivo dovrà superare il banco di prova definitivo durante una futura missione lunare, ancora in fase di selezione. Solo allora si potrà verificare l'effettiva capacità di processare grandi quantità di regolite e immagazzinare l'ossigeno prodotto, rendendo così sostenibili le missioni umane di lungo periodo sulla Luna. Un traguardo che trasformerebbe il nostro satellite da destinazione temporanea a vera e propria base operativa per l'esplorazione del sistema solare.