La dipendenza da alcol e il danno epatico potrebbero condividere un denominatore comune inaspettato: il metabolismo del fruttosio. Una ricerca pubblicata su Nature Metabolism da un gruppo di scienziati dell'Università del Colorado Anschutz rivela come l'alcol sia in grado di attivare nel nostro organismo la produzione endogena di fruttosio, lo stesso zucchero presente in bibite dolcificate e alimenti processati. Questa scoperta non solo chiarisce meccanismi finora poco compresi alla base della malattia epatica alcolica, ma apre prospettive terapeutiche concrete per trattare contemporaneamente la dipendenza da alcol e il danno al fegato attraverso un unico bersaglio molecolare.
Il punto di svolta della ricerca riguarda un enzima specifico chiamato ketohexokinase (KHK), cruciale nel metabolismo del fruttosio. Attraverso esperimenti condotti su modelli murini, i ricercatori hanno dimostrato che l'alcol non si limita a danneggiare direttamente il tessuto epatico, ma innesca una vera e propria cascata metabolica che porta alla sintesi interna di fruttosio. Questo processo, mediato proprio dalla KHK, crea un circolo vizioso: il fruttosio prodotto internamente non solo aggrava il danno epatico, ma sembra anche rafforzare il comportamento di ricerca compulsiva dell'alcol, alimentando la dipendenza.
La conferma sperimentale è arrivata osservando topi geneticamente modificati privi dell'enzima KHK. Questi animali hanno manifestato un interesse significativamente ridotto verso l'alcol nei test di consumo volontario, hanno mostrato risposte diverse negli esperimenti basati sul sistema di ricompensa cerebrale e hanno presentato una minore attività nelle regioni cerebrali associate ai comportamenti di dipendenza. Il dato più rilevante riguarda però la protezione epatica: i topi in cui l'attività della KHK era stata bloccata, sia attraverso modifiche genetiche sia mediante intervento farmacologico, non hanno sviluppato le lesioni epatiche tipicamente indotte dall'alcol.
Miguel A. Lanaspa, professore associato di ricerca presso l'Università del Colorado Anschutz e autore senior dello studio, sottolinea come l'alcol non danneggi il fegato solo in modo diretto, ma dirotti il metabolismo degli zuccheri del corpo in una modalità che amplifica il comportamento del bere e peggiora il danno epatico. Secondo il ricercatore, prendere di mira il metabolismo del fruttosio potrebbe consentire di spezzare questo ciclo patologico, aprendo la strada a nuovi trattamenti sia per la dipendenza da alcol che per la malattia epatica correlata.
La convergenza metabolica identificata dal gruppo di ricerca ha implicazioni che vanno oltre la malattia epatica alcolica. La steatosi epatica associata a disfunzione metabolica (MASLD), precedentemente nota come steatosi epatica non alcolica, condivide con la forma alcolica processi cellulari dipendenti dal fruttosio. Questa sovrapposizione suggerisce che terapie mirate a bloccare il metabolismo del fruttosio potrebbero risultare efficaci per pazienti con danno epatico di origine sia alcolica che metabolica, rappresentando un approccio unificato per due condizioni considerate finora distinte.
Richard Johnson, professore presso l'Università del Colorado Anschutz e coautore dello studio, evidenzia come questa scoperta riveli un'intersezione inattesa tra il metabolismo degli zuccheri e quello dell'alcol, aprendo possibilità concrete per lo sviluppo di trattamenti che colpiscano una via comune sottostante a malattie epatiche sia metaboliche che alcoliche. La ricerca si inserisce in un filone emergente della biomedicina che riconosce l'importanza del metabolismo dei carboidrati non solo nei disturbi metabolici classici come il diabete, ma anche in patologie apparentemente distanti come le dipendenze.
Le prospettive terapeutiche sono particolarmente rilevanti considerando la scarsità di opzioni efficaci attualmente disponibili per il disturbo da uso di alcol (AUD) e per la malattia epatica alcolica avanzata. Inibitori della KHK potrebbero rappresentare una nuova classe di farmaci capaci di agire simultaneamente su due fronti: ridurre la compulsione al consumo di alcol e proteggere il fegato dal danno progressivo. Prima di tradurre questi risultati in applicazioni cliniche, sarà tuttavia necessario condurre studi su larga scala per verificare efficacia e sicurezza nell'uomo, valutare i dosaggi ottimali e identificare eventuali effetti collaterali legati all'interferenza con il normale metabolismo del fruttosio alimentare.