All'interno del campo della cardiologia preventiva, la capacità di prevedere quali pazienti svilupperanno aritmie pericolose rappresenta da tempo una sfida cruciale. Le aritmie cardiache, condizioni caratterizzate da un battito irregolare del cuore, possono degenerare in fibrillazione atriale o causare morte cardiaca improvvisa. Ora, un gruppo di ricercatori della Northwestern Medicine ha sviluppato un metodo innovativo che integra tre diverse tecniche di analisi genetica per costruire un punteggio di rischio molto più accurato rispetto agli approcci tradizionali. La metodologia, che combina informazioni sui geni rari, varianti comuni e sequenze non codificanti del genoma, potrebbe rappresentare un modello applicabile anche ad altre patologie complesse come tumori, Parkinson e autismo.
Lo studio, pubblicato l'11 novembre sulla rivista scientifica Cell Reports Medicine, ha analizzato i dati genetici di 1.119 partecipanti, confrontando 523 pazienti con diagnosi confermata di aritmia con 596 individui di controllo di età superiore ai 40 anni e senza storia di malattie cardiache, selezionati dal biobank NUgene. I ricercatori hanno eseguito il sequenziamento completo del genoma di ciascun partecipante, applicando simultaneamente test monogenici per identificare mutazioni rare e analisi poligeniche per valutare l'effetto cumulativo di varianti comuni. Un lavoro certosino che ha richiesto la revisione approfondita di oltre 500 cartelle cliniche, inclusi i dati provenienti direttamente da dispositivi impiantati nei pazienti.
La dottoressa Elizabeth McNally, direttrice del Center for Genetic Testing e professoressa di medicina nella divisione di cardiologia e di biochimica e genetica molecolare presso la Northwestern University Feinberg School of Medicine, che ha coordinato lo studio come autrice corrispondente, sottolinea l'originalità dell'approccio: "Stiamo combinando varianti geniche rare con varianti geniche comuni, aggiungendo poi informazioni provenienti dalle regioni non codificanti del genoma. A nostra conoscenza, nessuno ha mai utilizzato questo metodo così completo prima d'ora, quindi rappresenta davvero una roadmap metodologica".
Attualmente, i test genetici utilizzati nella pratica clinica e nella ricerca operano in modo frammentato. I test monogenici identificano mutazioni rare in singoli geni, analogamente a individuare un errore di battitura in una parola specifica. I test poligenici valutano invece numerose varianti comuni per stimare il rischio complessivo, come esaminare il tono generale di un capitolo. Il sequenziamento genomico completo legge l'intero codice genetico, paragonabile alla lettura di un libro nella sua interezza. "Le aziende di genetica, i ricercatori e i genetisti spesso operano in compartimenti separati", osserva McNally. "Le società che offrono test sui pannelli genici non sono le stesse che forniscono punteggi di rischio poligenici".
L'integrazione di queste tre fonti di informazione genetica consente di ottenere un quadro molto più completo del rischio individuale. Quando si sequenzia l'intero genoma, spiegano i ricercatori, è possibile esaminare simultaneamente le componenti monogeniche legate a specifiche cardiomiopatie, i pannelli genici tradizionali e le componenti poligeniche. Combinando questi dati, si ottiene un rapporto di probabilità molto elevato nell'identificare chi corre i rischi maggiori, un miglioramento significativo rispetto ai metodi attualmente in uso.
Nella pratica clinica quotidiana, i cardiologi valutano il rischio cardiovascolare basandosi principalmente su sintomi, storia familiare e strumenti diagnostici come elettrocardiogrammi, ecocardiogrammi e risonanze magnetiche. McNally, che integra sistematicamente i test genetici nelle sue valutazioni, sottolinea l'utilità clinica concreta: "Mi aiuta a gestire meglio il paziente, a sapere chi è maggiormente a rischio, e se riteniamo che il rischio sia davvero elevato, raccomandiamo defibrillatori per pazienti simili. La conoscenza è potere". Nei casi di rischio particolarmente elevato, l'impianto preventivo di un defibrillatore può fare la differenza tra la vita e la morte.
Nonostante i benefici documentati, i test genetici rimangono drammaticamente sottoutilizzati nel sistema sanitario. McNally evidenzia una criticità strutturale: la maggior parte del personale medico non è ancora formata per interpretare i risultati dei test genetici. Con la crescente diffusione dei punteggi di rischio poligenici, questo gap formativo rappresenta un ostacolo significativo all'implementazione di metodologie più avanzate. "Dobbiamo migliorare l'adozione di questi strumenti", insiste la ricercatrice.
Le implicazioni di questa ricerca vanno oltre la cardiologia. I ricercatori ritengono che lo stesso approccio metodologico possa essere adattato per valutare altre condizioni complesse influenzate da molteplici fattori genetici. Malattie neurodegenerative come il Parkinson, disturbi dello sviluppo neurologico come l'autismo, e diverse forme di cancro potrebbero beneficiare di analisi genetiche integrate che superano la tradizionale divisione tra test monogenici e poligenici. Questo studio fornisce le fondamenta per sviluppare trattamenti personalizzati basati sul profilo genetico completo di ciascun individuo, una prospettiva che si allinea con i principi della medicina di precisione.
La ricerca, realizzata in collaborazione con Tanner Monroe, Megan Puckelwartz, Lorenzo Pesce, il dottor Alfred George e il dottor Gregory Webster, tutti della Northwestern University, apre scenari promettenti per l'identificazione precoce di individui a rischio, potenzialmente molti anni prima della comparsa di qualsiasi sintomo. Questo anticipo temporale potrebbe consentire interventi preventivi mirati, modifiche dello stile di vita e monitoraggi più stretti per chi ne ha realmente bisogno, ottimizzando le risorse sanitarie e migliorando gli esiti clinici.