La gestione del dolore cronico rappresenta una delle sfide più complesse della medicina moderna, con milioni di pazienti che cercano alternative ai farmaci tradizionali, spesso gravati da effetti collaterali significativi o rischi di dipendenza. In questo contesto, il cannabidiolo (CBD) ha suscitato crescente interesse, ma la sua reale efficacia neurologica è rimasta finora avvolta in un'incertezza scientifica che contrasta con la sua ampia diffusione commerciale. Un nuovo studio pubblicato su Cell Chemical Biology da un team di ricercatori dell'Università di Rochester, della Harvard Medical School e del Boston Children's Hospital apre ora prospettive inedite, dimostrando per la prima volta in modelli murini come una formulazione nanotecnologica di CBD possa raggiungere efficacemente il cervello e alleviare il dolore neuropatico senza gli effetti indesiderati tipici degli analgesici convenzionali.
La barriera emato-encefalica costituisce il principale ostacolo alla comprensione e all'utilizzo terapeutico del CBD. Questa struttura protettiva, essenziale per preservare il cervello da sostanze potenzialmente dannose, impedisce il passaggio della maggior parte delle molecole dal sangue al tessuto nervoso centrale. Il cannabidiolo presenta inoltre una scarsa solubilità in acqua, caratteristica che limita drasticamente la quantità di principio attivo capace di attraversare questa barriera quando assunto nelle formulazioni oleose attualmente in commercio. Per superare questo limite fisico-chimico, il team guidato da Jingyu Feng ha sviluppato una formulazione chiamata CBD-IN (inclusion-complex-enhanced nano-micelle formulation), che incapsula le molecole di CBD all'interno di nano-micelle idrosolubili, strutture già considerate sicure per applicazioni alimentari e farmaceutiche.
Gli esperimenti condotti su modelli murini hanno rivelato risultati sorprendenti dal punto di vista farmacologico. La somministrazione di CBD-IN ha indotto analgesia entro trenta minuti, con un'efficacia mantenuta nel tempo senza evidenza di sviluppo di tolleranza, fenomeno che affligge molti analgesici di uso comune. Altrettanto significativo è stato il profilo di sicurezza: gli animali trattati non hanno manifestato i disturbi dell'equilibrio, della coordinazione motoria o della memoria associati abitualmente agli oppioidi e ad altri farmaci antidolorifici. "L'effetto analgesico si è mantenuto anche con l'uso ripetuto," ha spiegato Feng, primo autore dello studio. "Non abbiamo osservato una diminuzione dell'efficacia nel tempo."
L'aspetto più innovativo della ricerca riguarda il meccanismo d'azione molecolare identificato attraverso tecniche di imaging avanzato e mappatura genetica. A differenza di quanto si potrebbe supporre, il CBD-IN non opera attraverso i recettori cannabinoidi CB1 e CB2, che rappresentano i bersagli principali del tetraidrocannabinolo (THC) e di altri composti psicoattivi della cannabis. Il team ha invece osservato che la formulazione nanotecnologica modula direttamente la segnalazione elettrica e gli scambi di calcio all'interno delle cellule nervose, interferendo con l'iperattività neuronale patologica. Questo meccanismo alternativo spiega l'assenza di effetti psicoattivi e del potenziale di dipendenza caratteristico dei cannabinoidi tradizionali o degli oppioidi.
Un elemento particolarmente rilevante dal punto di vista clinico è la selettività d'azione del CBD-IN. Le analisi hanno dimostrato che il composto riduce l'attività neuronale eccessiva esclusivamente nelle regioni cerebrali e del midollo spinale che presentano attivazione anomala, come quelle conseguenti a lesioni nervose periferiche. I neuroni con funzionalità normale rimangono invece inalterati, suggerendo un'azione terapeutica mirata che potrebbe ridurre significativamente il rischio di effetti collaterali sistemici. Questa specificità rappresenta un vantaggio potenziale rispetto agli approcci farmacologici attuali, spesso caratterizzati da un'azione più generalizzata sul sistema nervoso centrale.
"Dobbiamo comprendere meglio questo composto, i meccanismi con cui interagisce nel cervello, il suo impatto sul corpo e se possa rappresentare una soluzione potenzialmente più sicura per affrontare l'epidemia di dolore cronico," ha dichiarato Kuan Hong Wang, professore di Neuroscienze presso l'Università di Rochester e membro del Del Monte Institute for Neuroscience, co-autore senior dello studio. La ricerca si inserisce in un contesto di crescente interesse scientifico verso i prodotti a base di cannabis, la cui popolarità è aumentata esponenzialmente negli ultimi dieci anni, particolarmente dopo la rimozione della canapa dalla lista delle sostanze controllate negli Stati Uniti nel 2018, che ha legalizzato la commercializzazione del CBD derivato dalla canapa.
Nonostante la diffusione capillare di oli, creme e prodotti cosmetici contenenti cannabidiolo, la comunità scientifica mantiene un atteggiamento prudente. Attualmente la Food and Drug Administration approva il CBD esclusivamente come trattamento aggiuntivo per alcune forme specifiche di epilessia e ne sconsiglia l'uso durante la gravidanza. La mancanza di comprensione approfondita dei meccanismi d'azione e degli effetti a lungo termine contrasta con l'ampia disponibilità commerciale di questi prodotti, evidenziando la necessità di ricerche rigorose come quella condotta dal team di Wang.
"L'implicazione più ampia di questa ricerca è che la nanotecnologia può rendere composti naturali come il CBD più efficaci e precisi," ha sottolineato Wang. L'approccio sviluppato potrebbe aprire nuove prospettive non solo per il trattamento del dolore cronico, ma anche per altre patologie neurologiche caratterizzate da iperattività neuronale anomala, come l'epilessia farmacoresistente o alcune malattie neurodegenerative. La capacità di modulare selettivamente l'attività nervosa patologica, preservando le funzioni fisiologiche, rappresenta un obiettivo terapeutico a lungo perseguito dalla neurologia clinica.
Il lavoro, che ha ricevuto finanziamenti dai National Institutes of Health e dal Del Monte Institute for Neuroscience, ha coinvolto anche Jessica Page e Leeyup Chung, co-primi autori, e Zhigang He della Harvard Medical School, co-autore senior. I prossimi passi della ricerca dovranno verificare la traducibilità di questi risultati nell'uomo attraverso studi clinici controllati, valutando la sicurezza, l'efficacia e la farmacocinetica della formulazione CBD-IN in pazienti affetti da dolore neuropatico cronico.