La ricerca di metodi di crittografia inviolabili rappresenta una delle sfide più pressanti per la comunità scientifica. La soluzione potrebbe arrivare dalla fisica quantistica, in particolare attraverso sistemi che sfruttano le proprietà peculiari dei fotoni singoli per creare chiavi crittografiche teoricamente impossibili da decifrare. Un team dell'Università di Varsavia ha recentemente dimostrato come un fenomeno ottico conosciuto da quasi due secoli possa rivoluzionare questo campo, testando con successo la propria innovazione direttamente nell'infrastruttura urbana della capitale polacca.
Il vantaggio della codifica multidimensionale
Mentre i sistemi tradizionali di distribuzione quantistica delle chiavi si basano sui qubit - le unità più semplici dell'informazione quantistica che possono assumere solo due valori - il gruppo di ricerca guidato dal dottor Michał Karpiński del Laboratorio di Fotonica Quantistica ha scelto una strada diversa. "Invece dei qubit, che producono uno di due possibili risultati di misurazione, utilizziamo stati quantistici più complessi che possono assumere valori multipli", spiega il responsabile della ricerca. Questa codifica ad alta dimensione permette di trasmettere maggiori quantità di informazione per ogni fotone utilizzato.
La chiave dell'innovazione risiede nell'utilizzo delle cosiddette "sovrapposizioni temporali" dei fotoni. In questi stati quantistici peculiari, un singolo fotone non è né "precedente" né "successivo" ma esiste simultaneamente in una combinazione di entrambi gli stati temporali. L'informazione viene codificata nella relazione di fase tra impulsi luminosi che arrivano in momenti diversi, sfruttando le proprietà ondulatorie della luce.
L'effetto Talbot: quando la storia incontra il futuro quantistico
Il cuore tecnologico del sistema sviluppato a Varsavia affonda le sue radici in una scoperta del 1836, quando Henry Fox Talbot - pioniere della fotografia - osservò che la luce passando attraverso un reticolo di diffrazione ricrea periodicamente la propria immagine a distanze regolari. "Lo stesso effetto si verifica non solo nello spazio ma anche nel tempo, purché un treno regolare di impulsi luminosi si propaghi in un mezzo dispersivo come una fibra ottica", illustra Maciej Ogrodnik, dottorando che ha contribuito allo sviluppio del sistema.
Questa analogia spazio-temporale nell'ottica ha permesso al team di applicare l'effetto Talbot temporale ai fotoni singoli, ottenendo nuove capacità per analizzare e processare gli stati quantistici. Una sequenza di impulsi luminosi si comporta come un reticolo di diffrazione e può "auto-ricostruirsi" nel tempo sotto l'effetto della dispersione dopo aver percorso una certa distanza in fibra ottica.
Semplicità costruttiva, massima efficienza
Il vantaggio più significativo dell'approccio varsaviano risiede nella semplicità dell'architettura sperimentale. Come evidenzia Adam Widomski, altro dottorando del team: "Il sistema richiede solo un singolo rivelatore di fotoni per registrare sovrapposizioni di molti impulsi, invece di una complessa rete di interferometri". Questa caratteristica riduce drasticamente sia la complessità che i costi del sistema di misurazione, eliminando inoltre la necessità di calibrazioni separate del ricevitore.
I metodi tradizionali per rilevare le differenze di fase tra impulsi richiedono configurazioni multi-interferometriche complesse, simili a strutture ad albero dove i segnali vengono divisi e ritardati. Questi sistemi soffrono di inefficienze crescenti all'aumentare del numero di impulsi e necessitano di calibrazione e stabilizzazione precise. La soluzione di Varsavia mantiene invece un'efficienza elevata poiché tutti gli eventi di rilevazione risultano utili, pur presentando tassi di errore relativamente alti che tuttavia non compromettono la funzionalità del sistema.
Dai laboratori alle strade di Varsavia
La validazione pratica del sistema è avvenuta attraverso test sia in laboratorio che nell'infrastruttura in fibra ottica reale dell'Università di Varsavia, coprendo distanze di diversi chilometri. I risultati hanno confermato la fattibilità della distribuzione quantistica delle chiavi con codifica bidimensionale e quadridimensionale utilizzando lo stesso trasmettitore e ricevitore. "Nonostante gli errori intrinseci al nostro approccio sperimentale relativamente semplice, i risultati dimostrano la maggiore efficienza informativa del sistema derivante dalla codifica ad alta dimensione", sottolinea Widomski.
L'aspetto più promettente della tecnologia riguarda la sua scalabilità: il sistema può rilevare sovrapposizioni 2D e 4D senza modifiche hardware o stabilizzazione del ricevitore, rappresentando un vantaggio considerevole rispetto ai metodi precedenti che richiedevano ricostruzioni complete per dimensioni diverse.
La sicurezza teorica incontra la realtà pratica
La collaborazione internazionale con gruppi di ricerca italiani e tedeschi specializzati nelle dimostrazioni di sicurezza quantistica ha rivelato aspetti critici spesso trascurati. "Un'analisi più approfondita mostra che la descrizione standard di molti protocolli di distribuzione quantistica delle chiavi è incompleta, cosa che gli attaccanti potrebbero sfruttare", ammette Ogrodnik. Il team ha identificato questa vulnerabilità nel proprio metodo e ha lavorato per risolverla.
La soluzione è emersa attraverso una modifica del ricevitore che permette di raccogliere più dati, eliminando così la vulnerabilità identificata. La dimostrazione di sicurezza del nuovo protocollo, pubblicata su Physical Review Applied, rappresenta un passo fondamentale verso l'implementazione pratica di questi sistemi nelle reti di comunicazione reali, dove la sicurezza teorica deve necessariamente confrontarsi con le imperfezioni tecnologiche del mondo fisico.