Un piccolo pesce d'acqua dolce chiamato killifish potrebbe aver svelato uno dei segreti più profondi dell'invecchiamento cellulare, rivelando un meccanismo che potrebbe spiegare perché il nostro cervello declina con l'età. I ricercatori hanno scoperto che le fabbriche proteiche delle cellule cerebrali iniziano a incepparsi durante la produzione di proteine essenziali, innescando una spirale degenerativa che potrebbe essere alla base di molti processi di invecchiamento. Questa scoperta, emersa dagli studi condotti presso l'Istituto Leibniz sull'Invecchiamento in Germania, apre nuove prospettive per comprendere e potenzialmente contrastare il deterioramento cognitivo legato all'età.
Quando le fabbriche cellulari si inceppano
Il team di ricerca guidato da Alessandro Cellerino ha utilizzato una tecnica innovativa per fotografare i ribosomi - le strutture cellulari responsabili della sintesi proteica - mentre erano al lavoro nel cervello dei killifish di diverse età. I risultati hanno mostrato un fenomeno sorprendente: con l'avanzare dell'età, questi microscopi macchinari molecolari tendevano a bloccarsi sistematicamente in punti specifici durante la lettura delle istruzioni genetiche.
L'inceppamento avviene precisamente quando i ribosomi incontrano le istruzioni per inserire due particolari aminoacidi - arginina e lisina - nella catena proteica in costruzione. Questi aminoacidi hanno una caratteristica comune: portano una carica elettrica positiva che li rende fondamentali per le proteine destinate a interagire con DNA e RNA, molecole cariche negativamente.
Le vittime silenziose del blocco molecolare
Le proteine che subiscono maggiormente questo fenomeno di stallo sono proprio quelle più critiche per il funzionamento cellulare: enzimi che riparano i danni al DNA, molecole che processano l'RNA e proteine che regolano la produzione di altre proteine. Si tratta di componenti essenziali della macchina cellulare che, quando vengono prodotti in quantità insufficienti, compromettono l'intera efficienza del sistema.
La situazione si aggrava ulteriormente perché gli stessi ribosomi contengono proteine che legano l'RNA. Come spiega Cellerino: "Si crea un circolo vizioso in cui il blocco nella produzione delle proteine ribosomiali porta a una diminuzione dei ribosomi funzionali, che a sua volta riduce la sintesi proteica complessiva".
Questa scoperta potrebbe finalmente fornire una spiegazione unificata per fenomeni apparentemente disconnessi che caratterizzano l'invecchiamento cellulare. Da tempo i biologi osservano che nelle cellule anziane si verificano simultaneamente accumulo di danni al DNA, riduzione nella produzione di RNA, diminuzione della sintesi proteica e alterazioni nei processi di editing genetico.
Il meccanismo identificato nei killifish suggerisce che tutti questi processi potrebbero essere collegati da un'unica causa primaria: il progressivo inceppamento dei ribosomi durante la sintesi delle proteine più importanti per il mantenimento cellulare.
Dall'infiammazione cronica alle possibili terapie
Il blocco ribosomiale non è un processo silenzioso. Quando i ribosomi si fermano, attivano segnali di allarme che scatenano una risposta infiammatoria. Nei killifish invecchiati, questa reazione diventa cronica, contribuendo a quel fenomeno di infiammazione persistente che molti scienziati considerano un marchio distintivo dell'invecchiamento, specialmente a livello cerebrale.
L'aspetto più promettente della ricerca riguarda le possibili applicazioni terapeutiche. Esistono già farmaci sperimentali capaci di bloccare le vie di segnalazione che portano all'infiammazione cronica, aprendo la strada a potenziali trattamenti per le patologie neurodegenerative legate all'età.
La sfida della traduzione umana
Resta da verificare se questo meccanismo operi anche nel cervello umano. Gene Yeo dell'Università della California di San Diego ha dimostrato che nelle cellule nervose umane invecchiate si osserva effettivamente una diminuzione delle proteine che legano l'RNA, un risultato coerente con le scoperte sui killifish, anche se la causa specifica rimane da chiarire.
Come sottolinea Cellerino, l'obiettivo principale non è necessariamente prolungare la vita, ma migliorare la cognizione e prevenire il declino cognitivo. La comprensione di questo meccanismo fondamentale potrebbe rappresentare il primo passo verso terapie che mantengano la funzionalità cerebrale durante l'invecchiamento, trasformando la qualità della vita nelle età avanzate.