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Svelato come l’umanità si salvò 70.000 anni fa

I primi esseri umani in Africa modificarono drasticamente i loro comportamenti 70.000 anni fa, spiegando come i discendenti riuscirono a popolare il mondo.

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Avatar di Patrizio Coccia

a cura di Patrizio Coccia

Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 23/07/2025 alle 15:11

La notizia in un minuto

  • Circa 70.000 anni fa gli esseri umani africani svilupparono una capacità adattiva straordinaria, diventando capaci di vivere in una gamma molto più ampia di ambienti, dalle foreste pluviali ai deserti aridi
  • Questa espansione ecologica facilitò i contatti tra popolazioni precedentemente isolate, creando un feedback positivo che aumentò la flessibilità e l'innovazione della specie
  • Le prime migrazioni umane fuori dall'Africa (oltre 200.000 anni fa) fallirono probabilmente a causa dell'isolamento, mentre quelle successive beneficiarono della maggiore interconnessione e adattabilità sviluppate nel continente

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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La diversità genetica delle popolazioni africane rappresenta uno degli indizi più chiari della nostra origine continentale, eppure per decenni gli archeologi hanno trovato resti umani moderni al di fuori dell'Africa molto più antichi di quanto la genetica sembri suggerire. Mentre il DNA indica che tutti i popoli non africani discendono da un piccolo gruppo migrato circa 50.000 anni fa, scheletri e mandibole ritrovati in Grecia, Israele e forse in Cina raccontano una storia diversa, con presenze umane che risalgono a oltre 200.000 anni fa. Questa apparente contraddizione tra prove genetiche e archeologiche ha spinto un team internazionale di ricercatori a indagare cosa sia realmente accaduto in Africa prima della grande migrazione che ha popolato il mondo.

L'espansione ambientale che cambiò tutto

La risposta potrebbe trovarsi in un cambiamento fondamentale avvenuto circa 70.000 anni fa, quando gli esseri umani moderni africani iniziarono ad adattarsi a una gamma di ambienti molto più ampia di prima. Eleanor Scerri del Max Planck Institute of Geoanthropology e i suoi colleghi hanno analizzato centinaia di siti archeologici africani datati tra 120.000 e 14.000 anni fa, costruendo un database che correlava la presenza umana con le condizioni climatiche specifiche di ogni luogo ed epoca.

I risultati, pubblicati il 18 giugno, mostrano una transizione netta: "Anche guardando semplicemente i dati senza modelli statistici complessi, si vede chiaramente questo cambiamento nelle condizioni", spiega Andrea Manica dell'Università di Cambridge. Le temperature e le precipitazioni delle zone abitate dagli umani si diversificarono significativamente, estendendosi verso foreste più profonde e deserti più aridi.

Dai generalisti agli specialisti dell'adattamento

La ricerca ha rivelato che gli esseri umani moderni divennero "i generalisti definitivi" intorno a 70.000 anni fa, secondo Manica. Tuttavia, questo non significa che i nostri antenati precedenti fossero inadatti al cambiamento: già da epoche remote vivevano in foreste di mangrovie, ai margini dei deserti e in regioni montuose come l'Etiopia. La differenza cruciale fu nell'intensità di questa capacità adattiva.

Emily Yuko Hallett della Loyola University Chicago, che ha coordinato la costruzione del database archeologico, sottolinea come il lavoro di catalogazione abbia richiesto l'analisi di "centinaia e centinaia di rapporti di scavi e pubblicazioni scientifiche". La sfida metodologica era considerevole: il record archeologico è incompleto e influenzato da numerosi fattori di conservazione.

Improvvisamente iniziarono a sfruttare più tipi di boschi e foreste pluviali

Michela Leonardi del Natural History Museum di Londra ha sviluppato una tecnica di modellazione statistica per determinare se gli animali avessero cambiato la loro nicchia ambientale. Applicare questo metodo al record archeologico umano sembrava inizialmente un lavoro di due settimane, ma si è trasformato in un progetto quinquennale che ha confermato statisticamente l'osservazione iniziale.

La connessione che rese possibile il successo globale

L'espansione verso nuovi habitat potrebbe aver facilitato contatti più regolari tra popolazioni precedentemente separate. Come spiega Manica, se due gruppi erano divisi da un deserto, non si sarebbero mai incontrati per scambiare idee e geni finché qualcuno non avesse imparato a vivere in quell'ambiente ostile. Questo processo potrebbe aver innescato un feedback positivo: maggiore connessione portava a maggiore flessibilità, che a sua volta abbatteva altre barriere geografiche.

Parallelamente a questo cambiamento comportamentale, anche la morfologia umana subì una trasformazione. I fossili più antichi classificati come Homo sapiens possedevano solo alcune delle caratteristiche che associamo agli umani moderni, mentre "da circa 70.000 anni fa in poi, improvvisamente si vedono tutti questi tratti presenti come un pacchetto completo", osserva Manica.

L'isolamento come minaccia evolutiva

Questa scoperta getta nuova luce sul destino delle prime popolazioni umane che tentarono di stabilirsi fuori dall'Africa. Molti di questi gruppi pionieri, inclusi alcuni dei primi europei, sembrano essere scomparsi senza lasciare tracce genetiche nelle popolazioni moderne. La loro sfortuna potrebbe essere stata proprio l'isolamento: gruppi piccoli e disconnessi risultano vulnerabili anche a sfortune minori.

Al contrario, le popolazioni africane che migrarono successivamente beneficiarono di una maggiore interconnessione e adattabilità. Come conclude Scerri, "non è che tutti gli umani si trasformarono improvvisamente in storie di successo clamoroso" - molte popolazioni continuarono a estinguersi sia dentro che fuori dall'Africa. Tuttavia, l'espansione della nicchia ecologica e il conseguente aumento dei contatti tra gruppi crearono le condizioni per un'esplosione di creatività che permise alla nostra specie di conquistare l'intero pianeta.

Fonte dell'articolo: www.newscientist.com

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