L'industria dell'idrogeno verde si trova di fronte a un paradosso che frena la transizione energetica: per produrre combustibili puliti su larga scala serve l'iridio, un metallo talmente raro e costoso da rendere insostenibile l'intera operazione. Con un prezzo che sfiora i 5.000 dollari l’oncia, più dell’oro, l’iridio è diventato il collo di bottiglia della tecnologia. Ora, grazie a un’innovazione della Northwestern University, questa barriera potrebbe essere superata in tempi record.
La "megalibrary": quando milioni di esperimenti si fanno in un pomeriggio
Il cuore della svolta è la cosiddetta megalibrary, la prima “fabbrica di dati” per nanomateriali al mondo. Si tratta di un chip microscopico che contiene milioni di nanoparticelle, ognuna con una composizione chimica unica. La piattaforma funziona grazie a centinaia di migliaia di punte a forma di piramide che depositano minuscoli “punti” di sali metallici su una superficie. “È come avere milioni di ricercatori che lavorano in parallelo”, spiega Chad A. Mirkin, pioniere delle nanotecnologie e ideatore della tecnologia.
Gli attuali catalizzatori per la scissione dell’acqua si basano sull’iridio, indispensabile per separare ossigeno e idrogeno. Ma la sua scarsità rende impossibile pensare a un uso su larga scala. “Non esiste abbastanza iridio al mondo per soddisfare i futuri bisogni energetici”, sottolinea Ted Sargent, co-leader dello studio. La ricerca di un’alternativa è quindi cruciale per rendere l’idrogeno verde una soluzione praticabile per la decarbonizzazione.
La formula vincente: quattro metalli comuni battono l'iridio
Il chip conteneva 156 milioni di nanoparticelle basate su combinazioni di rutenio, cobalto, manganese e cromo. Uno scanner robotico ha valutato le più promettenti, identificando una composizione precisa (ossido Ru52Co33Mn9Cr6) capace di superare l’iridio in attività e stabilità. Nei test a lungo termine, il nuovo catalizzatore ha mantenuto alta
La vera rivoluzione non è solo il materiale scoperto, ma il metodo utilizzato. La megalibrary produce dataset enormi che possono essere analizzati con intelligenza artificiale e machine learning, accelerando la progettazione di materiali innovativi. Northwestern, TRI e la start-up Mattiq stanno già utilizzando questi algoritmi per velocizzare ulteriormente il processo.
Per Mirkin, questo è solo l’inizio: “Il mondo non usa i migliori materiali possibili, ma solo quelli trovati con gli strumenti disponibili all’epoca. Ora possiamo ribaltare la situazione”. Un approccio che promette di andare oltre i catalizzatori, aprendo nuove strade per batterie, biomedicina e dispositivi ottici avanzati.