Il glioblastoma rappresenta uno dei nemici più temibili della medicina oncologica moderna. Questo tumore maligno, che origina dagli astrociti e colpisce circa tre persone ogni 100.000 abitanti negli Stati Uniti, progredisce con velocità devastante ed è quasi invariabilmente letale. Ma la vera sfida nella lotta contro il glioblastoma non risiede solo nella sua aggressività biologica: la principale barriera che medici e ricercatori devono affrontare è la difficoltà estrema di veicolare farmaci efficaci all'interno del tessuto cerebrale, protetto dalla barriera emato-encefalica. Ora, una collaborazione scientifica tra la Washington University School of Medicine di St. Louis e la Northwestern University ha sviluppato un approccio radicalmente innovativo che aggira questo ostacolo attraverso nanostrutture somministrabili per via nasale, aprendo prospettive inedite nel trattamento di questa forma tumorale resistente.
La strategia terapeutica, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista PNAS nel corso di questo mese, si basa su un concetto apparentemente semplice ma tecnologicamente sofisticato: utilizzare le vie nasali come porta d'accesso diretta al cervello, sfruttando il collegamento nervoso naturale tra la regione facciale e il sistema nervoso centrale. Alexander H. Stegh, professore e vicedirettore della ricerca nel Dipartimento di Neurochirurgia Taylor Family della WashU Medicine e ricercatore principale dello studio, spiega l'obiettivo del team: "Volevamo cambiare questa realtà e sviluppare un trattamento non invasivo che attivasse la risposta immunitaria per attaccare il glioblastoma". La chiave di volta sono gli acidi nucleici sferici, nanostrutture precisamente ingegnerizzate capaci di trasportare composti antitumorali potenti direttamente al tessuto cerebrale malato.
Il glioblastoma viene classificato dai ricercatori come un "tumore freddo", un termine tecnico che indica la sua capacità di sfuggire al riconoscimento del sistema immunitario. A differenza dei cosiddetti "tumori caldi", più reattivi alle immunoterapie, il glioblastoma impiega sofisticati meccanismi di evasione che lo rendono praticamente invisibile alle difese naturali dell'organismo. Per riaccendere questa risposta immunitaria sopita, gli scienziati hanno puntato sulla via di segnalazione STING (acronimo di stimulator of interferon genes), un pathway molecolare che si attiva quando le cellule rilevano DNA estraneo, scatenando meccanismi di difesa immunitaria. Sebbene ricerche precedenti avessero dimostrato che farmaci capaci di stimolare STING possono preparare il sistema immunitario all'attacco del glioblastoma, questi composti si degradano rapidamente e necessitano di iniezioni dirette nel tumore, con procedure altamente invasive e ripetute.
Per superare questa limitazione, il gruppo di Stegh ha collaborato con Chad A. Mirkin, direttore dell'International Institute for Nanotechnology e professore di chimica alla Northwestern University. Mirkin ha sviluppato gli acidi nucleici sferici, particelle su scala nanometrica rivestite densamente con DNA o RNA, che hanno dimostrato un'efficacia superiore ai sistemi di somministrazione tradizionali. La versione specializzata progettata dai due team presenta nuclei di nanoparticelle d'oro circondati da brevi frammenti di DNA progettati per attivare il pathway STING nelle cellule immunitarie bersaglio. Akanksha Mahajan, ricercatrice post-dottorato nel laboratorio di Stegh e prima autrice dello studio, ha guidato lo sviluppo dell'approccio intranasale: "Volevamo davvero minimizzare le sofferenze dei pazienti già gravemente malati, e ho pensato che potessimo utilizzare le piattaforme di acidi nucleici sferici per somministrare questi farmaci in modo non invasivo".
Per validare l'efficacia del metodo, i ricercatori hanno condotto esperimenti su modelli murini di glioblastoma, utilizzando un marcatore molecolare che emetteva fluorescenza nella banda del vicino infrarosso. Questo espediente ha permesso di tracciare il percorso delle nanoparticelle dopo la somministrazione nasale, osservandole mentre viaggiavano lungo il nervo principale che collega la regione facciale al cervello. Una volta raggiunto il tessuto cerebrale, la risposta immunitaria indotta dalla nanomedicina si è concentrata specificamente nelle cellule immunitarie presenti all'interno del tumore, con una certa attività rilevata anche nei linfonodi vicini. Crucialmente, la terapia non si è diffusa in modo sistemico attraverso l'organismo, riducendo significativamente il rischio di effetti collaterali indesiderati. L'analisi immunologica ha confermato che le cellule immunitarie nel tumore e nelle sue vicinanze avevano attivato il pathway STING, acquisendo la capacità di montare un attacco più vigoroso contro le cellule cancerose.
I risultati più promettenti sono emersi quando la nanoterapia è stata combinata con farmaci che stimolano i linfociti T, un altro tipo fondamentale di cellule immunitarie. Questo trattamento combinato, somministrato in sole due dosi, ha eliminato completamente i tumori nei topi e ha prodotto un'immunità duratura che ha prevenuto la ricomparsa del cancro. Questi esiti si sono rivelati significativamente superiori a quelli ottenuti con le attuali terapie mirate al pathway STING, che richiedono somministrazione invasiva. La metodologia rappresenta un avanzamento sostanziale anche rispetto ad altri approcci di somministrazione intranasale studiati in passato per trattamenti mirati al cervello: nessuna terapia su scala nanometrica aveva precedentemente dimostrato la capacità di attivare risposte immunitarie contro tumori cerebrali attraverso questa via di somministrazione.
Stegh riconosce tuttavia che la stimolazione del pathway STING da sola difficilmente potrà curare il glioblastoma, poiché il tumore impiega molteplici tattiche molecolari per indebolire o spegnere completamente la risposta immunitaria. Il suo gruppo sta ora esplorando modi per incorporare funzioni immunostimolanti aggiuntive nelle nanostrutture, il che potrebbe consentire di affrontare simultaneamente diversi bersagli terapeutici attraverso un unico trattamento. "Questo è un approccio che offre speranza per trattamenti più sicuri ed efficaci contro il glioblastoma e potenzialmente altri tumori resistenti all'immunoterapia, e rappresenta un passo critico verso l'applicazione clinica", afferma il ricercatore.