Il sogno americano di stabilire una presenza permanente sulla Luna sta entrando in una fase cruciale: la NASA ha ricevuto l’ordine di sviluppare un reattore nucleare lunare entro il 2030. La notizia, riportata dai media statunitensi, segna un cambiamento importante nella nuova corsa allo spazio, che non riguarda più solo l’esplorazione, ma la costruzione delle basi per una futura economia lunare. La decisione arriva in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche, con Cina e Russia impegnate in progetti simili e intenzionate a stabilire zone di esclusione sulla superficie lunare.
La sfida energetica del satellite terrestre
La necessità di ricorrere all’energia nucleare sulla Luna non è una scelta stilistica, ma una conseguenza diretta delle condizioni ambientali. Un giorno lunare equivale a circa quattro settimane terrestri, divise tra due settimane di luce solare ininterrotta e due di buio totale. Questa alternanza rende l’uso dell’energia solare estremamente complesso per il sostentamento di basi permanenti.
Come spiega il dottor Sungwoo Lim dell’Università del Surrey, «costruire anche un modesto habitat lunare per un piccolo equipaggio richiederebbe una generazione di energia su scala megawatt. Pannelli solari e batterie da soli non possono soddisfare in modo affidabile queste esigenze». E aggiunge: «L’energia nucleare non è solo desiderabile, è inevitabile».
Una corsa contro il tempo e la geopolitica
Sean Duffy, segretario ai trasporti e capo ad interim della NASA nominato da Donald Trump, ha richiesto lo sviluppo di un reattore in grado di generare almeno 100 kilowatt di potenza. Si tratta di una quantità relativamente modesta – una turbina eolica terrestre può produrre anche 2-3 megawatt – ma più che sufficiente per le prime installazioni lunari.
La pressione su Washington deriva anche dai progressi delle potenze rivali. Cina e Russia hanno annunciato nel maggio scorso l’intenzione di costruire una centrale nucleare automatizzata sulla Luna entro il 2035. La Cina, con la missione Chang’e-5 del 2020, ha già dimostrato capacità avanzate posando la propria bandiera sul suolo lunare.
Ostacoli tecnici e politici
Secondo il professor Lionel Wilson dell’Università di Lancaster, è tecnicamente possibile posizionare reattori sulla Luna entro il 2030, «a condizione che vengano stanziati fondi adeguati». Esistono già prototipi di piccoli reattori, e la vera sfida, spiega, «è avere abbastanza lanci del programma Artemis per costruire l’infrastruttura lunare nei tempi previsti».
Tuttavia, permangono problemi legati alla sicurezza. Il trasporto di materiale radioattivo attraverso l’atmosfera terrestre richiede autorizzazioni speciali, anche se il dottor Simeon Barber dell’Open University ritiene che non si tratti di un ostacolo insormontabile.
I tagli di bilancio minacciano i sogni spaziali
La direttiva di Duffy arriva in un momento controverso: l’amministrazione Trump ha recentemente annunciato tagli del 24% al budget della NASA per il 2026, colpendo duramente programmi scientifici strategici, incluso il Mars Sample Return, che mira a riportare campioni di suolo marziano sulla Terra.
Una contraddizione che non è sfuggita agli osservatori. Come può la NASA accelerare progetti così ambiziosi mentre deve far fronte a riduzioni significative dei fondi? Il dottor Barber evidenzia un nodo critico: «Se hai energia nucleare per una base, ma non hai il modo per portare persone e attrezzature lì, allora non serve a molto».
Zone di sicurezza o rivendicazioni territoriali?
I riferimenti di Duffy alle possibili “zone di esclusione” cinesi e russe richiamano gli Accordi Artemis del 2020, sottoscritti inizialmente da sette Paesi con l’obiettivo di definire principi di cooperazione sulla superficie lunare. Tali accordi prevedono la creazione di zone di sicurezza attorno alle infrastrutture e alle risorse lunari costruite.
Il principio è semplice, ma controverso: chi installa un reattore o una base può rivendicare un’area di sicurezza attorno ad essa. «Per alcuni, equivale a dire: questo pezzo di Luna è nostro, operiamo qui e voi non potete entrare», spiega il dottor Barber.
C’è chi teme che questa nuova corsa lunare stia ripetendo le stesse dinamiche della Guerra Fredda. «Sembra di essere tornati ai giorni della prima corsa spaziale, basata sulla competizione. Da un punto di vista scientifico, è una prospettiva un po’ deludente e preoccupante», conclude Barber. La competizione può favorire l’innovazione, ma rischia di far perdere di vista l’obiettivo principale: l’esplorazione del sistema solare, e oltre.