Nella fisica quantistica si annida un paradosso che da quasi un secolo tormenta scienziati e filosofi: come può la realtà che osserviamo, fatta di oggetti con proprietà definite, emergere da un mondo subatomico intrinsecamente indeterminato fino al momento della misurazione? Una nuova interpretazione della meccanica quantistica propone ora una risposta radicale, ribaltando la prospettiva tradizionale: non sono gli osservatori a creare la realtà, ma la causalità stessa – la struttura delle relazioni causa-effetto – a costituire il tessuto fondamentale dell'universo da cui tutto emerge. Questa visione, sviluppata dai fisici Nick Ormrod del Perimeter Institute for Theoretical Physics di Waterloo, Canada, e Jonathan Barrett dell'Università di Oxford, potrebbe non solo risolvere alcuni dei più sconcertanti enigmi quantistici, ma anche aprire una strada verso l'unificazione della meccanica quantistica con la teoria della relatività generale di Einstein.
Il cosiddetto "problema dell'osservatore" rappresenta da sempre il tallone d'Achille della teoria quantistica. L'equazione di Schrödinger descrive le particelle subatomiche attraverso una funzione d'onda che rappresenta tutte le proprietà possibili in una sorta di nebbia probabilistica. Solo quando effettuiamo una misurazione otteniamo un risultato definito, come se l'atto di osservare costringesse la natura a scegliere tra le infinite possibilità. Questa formulazione, sebbene straordinariamente accurata nel prevedere gli esiti sperimentali, lascia irrisolta una questione filosofica cruciale: cosa costituisce esattamente un "osservatore" e perché dovrebbe avere un potere così misterioso sulla realtà fisica?
Come sottolinea Ormrod, la situazione attuale è paradossale: la meccanica quantistica è una teoria che predice molto bene ma spiega molto male. Questa vaghezza concettuale diventa particolarmente problematica quando i fisici tentano di applicare la teoria quantistica a contesti dove non esistono osservatori, come l'universo primordiale o la struttura dello spazio-tempo. Non possiamo semplicemente rifugiarci nella frase "perché lo misuriamo" quando cerchiamo di comprendere fenomeni cosmologici o di costruire una teoria della gravità quantistica.
La proposta di Ormrod e Barrett, pubblicata nel 2024, si basa sull'integrazione di due interpretazioni esistenti della meccanica quantistica – l'interpretazione delle storie consistenti, sviluppata negli anni '80, e la meccanica quantistica relazionale, emersa negli anni '90 – rafforzandole con i recenti sviluppi nella comprensione matematica della causalità quantistica. L'interpretazione delle storie consistenti elimina il ruolo speciale della misurazione concentrandosi su tutte le sequenze di proprietà che un sistema quantistico potrebbe avere nel tempo, assegnando probabilità a quelle internamente coerenti. Il problema è che esistono molteplici storie consistenti possibili, e la teoria non fornisce criteri per identificare quale rappresenti effettivamente la realtà.
La meccanica quantistica relazionale, d'altra parte, propone che le proprietà di un sistema quantistico esistano solo nel momento dell'interazione con un altro sistema, rendendo la realtà relativa all'osservatore – che può essere una persona o una particella. Tuttavia, questa interpretazione manca di un formalismo matematico rigoroso che definisca con precisione concetti ambigui come "interazione" e "relativo". È qui che entra in gioco la causalità quantistica: Ormrod e Barrett hanno dimostrato che considerando i sistemi quantistici come reti di "bolle causali", con regole matematiche precise per come i sottosistemi si influenzano reciprocamente, la sequenza "corretta" di proprietà che un sistema ha nel tempo emerge naturalmente dalla struttura causale stessa.
Per comprendere intuitivamente questo approccio, Ormrod suggerisce di immaginare una ragnatela: il ragno non parte da punti prestabiliti che poi connette con fili, ma inizia tessendo i fili stessi, e dove questi si intersecano si formano i punti nodali. I punti non sono fondamentali, ma emergono dalla tessitura dei fili. Analogamente, nella nuova interpretazione, la causalità rappresenta i "fili" fondamentali da cui emerge la realtà quantistica. Le proprietà delle particelle sono i punti, i luoghi dove le influenze causali interagiscono, ma la struttura causale viene prima. La realtà emerge dalla causalità, non dal processo misterioso e mal definito della misurazione.
Un primo banco di prova per questa interpretazione è costituito dal paradosso dell'amico di Wigner, un esperimento concettuale successivamente realizzato in laboratorio che dimostra come due osservatori possano avere esperienze contraddittorie della realtà. Nella versione classica, Wigner osserva dall'esterno un laboratorio dove il suo amico effettua misurazioni su un sistema quantistico: secondo la formulazione standard della meccanica quantistica, entrambi gli osservatori vedono realtà incompatibili, suggerendo che non esista una realtà oggettiva indipendente dall'osservatore. Nel framework di Ormrod e Barrett, questo paradosso si dissolve: all'interno del laboratorio, l'amico è incorporato in una bolla causale dove l'esito della misurazione è definito; dall'esterno, Wigner appartiene a una bolla causale diversa. Entrambe le prospettive sono corrette relativamente alle loro rispettive strutture causali, senza contraddizione, perché la "definitezza" non è un fatto assoluto sul mondo, ma relazionale rispetto alle bolle causali.
L'aspetto più intrigante di questa interpretazione riguarda le sue potenziali implicazioni per la teoria della gravità quantistica. Esiste infatti una profonda connessione tra causalità e relatività generale: una scoperta classica degli anni '70 ha dimostrato che conoscendo la struttura causale dello spazio-tempo – quali punti possono influenzare quali altri – si può ricostruire la sua geometria, le distanze e persino il flusso del tempo. Lo spazio-tempo stesso può essere concepito come emergente dall'ordine causale. Se la causalità è il sostrato comune da cui emergono sia le proprietà dei sistemi quantistici sia la geometria spazio-temporale, potrebbe rappresentare la base su cui unificare i due pilastri della fisica moderna: meccanica quantistica e relatività generale.
Questa prospettiva si distingue nettamente da altri tentativi di unificazione come la teoria delle stringhe, che postula entità esotiche in dimensioni superiori ma non ha ancora prodotto una teoria completa e verificabile sperimentalmente. L'approccio causale risulta attraente proprio per la sua semplicità: invece di inventare nuovi ingredienti fondamentali, suggerisce che l'idea familiare di causa ed effetto possa essere la fondazione mancante. Come osserva Robin Lorenz, ricercatore in causalità e computazione quantistica presso Quantinuum, la causalità rappresenta il pane quotidiano delle scienze – non si può fare fisica senza utilizzare concetti di causa ed effetto.
Per ora, l'applicazione di questa interpretazione alla gravità quantistica rimane una speculazione informata piuttosto che una teoria completa. Tuttavia, il framework delineato da Ormrod e Barrett offre già una risposta audace al più grande mistero della teoria quantistica: non solo come la teoria predice gli esiti sperimentali, ma perché quegli esiti specifici si verificano. Se prendiamo sul serio l'idea che la causalità, piuttosto che l'osservazione, costituisca la fondazione della realtà – lo strato più profondo da cui emerge il mondo che percepiamo – potremmo finalmente essere più vicini a comprendere il regno quantistico nei suoi stessi termini, senza dover ricorrere a concetti mal definiti come quello di "osservatore". La ricerca futura dovrà verificare se questa interpretazione, ancora priva di un nome definitivo, possa essere sviluppata in una teoria matematicamente completa e testabile sperimentalmente, capace di mantenere le promesse che sembrano emergere dalla sua elegante struttura concettuale.