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Alzheimer, la svolta arriva dalle cellule “dimenticate"

Gli astrociti, cellule di supporto ignorate per anni, mostrano di poter ripulire il cervello dalle placche quando viene attivata la proteina Sox9.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 24/11/2025 alle 09:00

La notizia in un minuto

  • Potenziare gli astrociti attraverso la proteina Sox9 permette di eliminare le placche amiloidi già formate e preservare le funzioni cognitive nell'Alzheimer avanzato
  • Gli esperimenti su modelli murini con deficit cognitivi già manifesti hanno mostrato che aumentare Sox9 attiva la capacità degli astrociti di fagocitare i depositi tossici come un "aspirapolvere" cerebrale
  • L'approccio rappresenta un cambio di paradigma rispetto alle terapie attuali, sfruttando le capacità endogene di pulizia del cervello invece di concentrarsi solo sui neuroni o sulla prevenzione

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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Nel cervello invecchiato affetto da Alzheimer, le cellule di supporto chiamate astrociti potrebbero rappresentare una risorsa terapeutica finora sottovalutata. Un gruppo di ricerca del Baylor College of Medicine ha dimostrato che potenziando l'attività di queste cellule a forma di stella è possibile eliminare le placche di amiloide già formate e preservare le funzioni cognitive, aprendo una prospettiva radicalmente diversa rispetto agli approcci farmacologici attuali che si concentrano principalmente sui neuroni o sulla prevenzione della formazione delle placche. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience, identifica nella proteina Sox9 un regolatore chiave capace di riattivare le capacità "spazzine" degli astrociti anche quando la malattia è già conclamata.

Gli astrociti svolgono funzioni essenziali per il corretto funzionamento cerebrale, dalla modulazione della comunicazione neuronale alla gestione del consolidamento della memoria. Durante l'invecchiamento, queste cellule vanno incontro a profonde alterazioni funzionali il cui ruolo nella neurodegenerazione rimane largamente inesplorato. Il team guidato dal professor Benjamin Deneen, direttore del Center for Cancer Neuroscience presso il Baylor College of Medicine e ricercatore principale al Jan and Dan Duncan Neurological Research Institute del Texas Children's Hospital, ha concentrato l'attenzione su Sox9, una proteina che influenza un'ampia rete di geni coinvolti nell'invecchiamento degli astrociti.

L'aspetto metodologico più rilevante della ricerca risiede nella scelta dei modelli sperimentali. Come spiega il dottor Dong-Joo Choi, primo autore dello studio e attualmente assistente presso il Center for Neuroimmunology and Glial Biology dell'Università del Texas, gli esperimenti sono stati condotti su modelli murini di Alzheimer che avevano già sviluppato deficit cognitivi e accumulo di placche amiloidi, una condizione più rappresentativa della realtà clinica rispetto ai modelli preventivi utilizzati in molti altri studi. Questo approccio ha permesso di testare l'efficacia dell'intervento in una fase avanzata della patologia, quando i sintomi sono già manifesti.

Aumentare l'espressione di Sox9 ha innescato negli astrociti una capacità di ingerire le placche amiloidi come un aspirapolvere, eliminandole dal tessuto cerebrale

La manipolazione genetica di Sox9 ha prodotto effetti misurabili e inequivocabili nel corso di un monitoraggio durato sei mesi. I ricercatori hanno modificato l'espressione del gene Sox9 sia in aumento che in diminuzione, valutando poi le prestazioni cognitive degli animali attraverso test di riconoscimento di oggetti e luoghi familiari. Al termine del periodo sperimentale, l'analisi istologica dei cervelli ha rivelato differenze marcate nell'accumulo di placche. La riduzione di Sox9 ha accelerato la deposizione amiloide, diminuito la complessità strutturale degli astrociti e compromesso la loro capacità di eliminare le placche. L'aumento dell'espressione ha invece generato effetti protettivi: maggiore attivazione cellulare, rimozione efficace delle placche e preservazione delle funzioni cognitive.

Il meccanismo d'azione identificato suggerisce che gli astrociti, quando adeguatamente stimolati, possono fagocitare attivamente i depositi tossici di beta-amiloide, un processo che la maggior parte delle terapie attuali non prende in considerazione. Mentre gli approcci farmacologici in fase di sviluppo si concentrano sul bloccare la produzione di amiloide o sul neutralizzare le placche dall'esterno, questa ricerca evidenzia come le capacità endogene di pulizia del cervello possano essere potenziate. Il professor Deneen sottolinea che rafforzare l'abilità naturale degli astrociti di rimuovere i detriti potrebbe rivelarsi altrettanto importante quanto proteggere i neuroni stessi.

Lo studio è stato sostenuto da finanziamenti dei National Institutes of Health statunitensi attraverso diversi programmi di ricerca (grant R35-NS132230, R01-AG071687, R01-CA284455, K01-AG083128, R56-MH133822), con contributi aggiuntivi dalla David and Eula Wintermann Foundation e dall'Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health & Human Development. Hanno partecipato al progetto numerosi ricercatori del Baylor College of Medicine, tra cui Sanjana Murali, Wookbong Kwon, Junsung Woo e Joanna Jankowsky, specialista in modelli murini di Alzheimer.

 

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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