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Svolta nella scienza: proteine “vive” in fossili preistorici

Estratti frammenti proteici antichi da denti fossili nella Rift Valley del Kenya, appartenenti a antenati di rinoceronti e elefanti di milioni di anni fa

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Avatar di Patrizio Coccia

a cura di Patrizio Coccia

Editor

Pubblicato il 10/07/2025 alle 18:17

La notizia in un minuto

  • Ricercatori hanno estratto i frammenti proteici più antichi mai recuperati da denti fossili di 18 milioni di anni fa nella Rift Valley del Kenya, quintuplicando il precedente record di età
  • Lo smalto dentale si è rivelato un perfetto "contenitore naturale" per le proteine antiche grazie alla sua struttura minerale che crea un processo di auto-fossilizzazione
  • La scoperta apre nuove possibilità per la paleoproteonica, permettendo di studiare l'evoluzione dei mammiferi preistorici anche in ambienti considerati impossibili per la conservazione organica
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

Le dure condizioni climatiche della Rift Valley keniota, dove per oltre cinque milioni di anni si sono registrate temperature tra le più elevate al mondo, sembravano rappresentare un ambiente impossibile per la conservazione di materiale organico antico. Eppure, proprio da questo territorio impietoso, un team internazionale di ricercatori è riuscito a estrarre i frammenti proteici più antichi mai recuperati, risalenti a 18 milioni di anni fa. La scoperta, che quintuplicò il precedente record di età per le proteine antiche, apre scenari completamente nuovi per la comprensione dell'evoluzione dei mammiferi preistorici.

Il tesoro nascosto nei denti fossili

I protagonisti di questa straordinaria scoperta sono i denti fossilizzati di mammiferi preistorici, rinvenuti nella Rift Valley del Kenya grazie al lavoro di Daniel Green dell'Università di Harvard e dei suoi colleghi kenioti. L'attività vulcanica che ha caratterizzato la regione si è rivelata paradossalmente un alleato prezioso: le ceneri hanno sigillato i reperti in strati successivi, permettendo ai ricercatori di datarli con precisione a 18 milioni di anni fa.

La particolarità dei denti come "contenitori" di informazioni genetiche antiche risiede nella loro composizione unica. Come spiega Green, i denti sono "principalmente roccia", una struttura minerale che circonda e protegge le proteine dello smalto in quello che Timothy Cleland del Smithsonian Museum Conservation Institute definisce un "processo di auto-fossilizzazione". Lo smalto stesso contiene solo l'1% di proteine, ma questo apparente svantaggio si trasforma in un punto di forza per la conservazione.

Quando la chimica rivela la storia evolutiva

L'estrazione delle proteine ha richiesto un approccio da "dentista preistorico", come ironizza Green, utilizzando piccole trivelle per rimuovere polvere di smalto dai denti antichi. Il materiale è stato poi analizzato attraverso la spettrometria di massa, una tecnica che identifica le molecole separandole in base alla loro massa.

I risultati hanno superato ogni aspettativa: i frammenti proteici erano sufficientemente completi da fornire informazioni tassonomiche cruciali. Le analisi hanno rivelato che i denti appartenevano agli antenati preistorici di elefanti e rinoceronti, rispettivamente proboscidati e rinocerotidi. Cleland sottolinea l'importanza di riuscire a "collocare anche queste specie più antiche nell'albero della vita insieme ai loro parenti moderni".

Le sequenze proteiche dello smalto sono più variabili e ricche di informazioni evolutive

Una finestra sul passato remoto

Frido Welker dell'Università di Copenhagen non nasconde il suo entusiasmo per quello che definisce una "svolta epocale". La capacità di ottenere proteine e informazioni da fossili così antichi rappresenta un salto qualitativo nelle possibilità di studio dell'evoluzione. Le proteine dello smalto dentale si rivelano particolarmente informative perché, come evidenzia Cleland, "le sequenze sono un po' più variabili, permettendoci di ottenere maggiori informazioni evolutive".

La scoperta ha implicazioni che vanno ben oltre i confini della Rift Valley. Se i frammenti proteici possono sopravvivere in uno degli ambienti più ostili del pianeta, è ragionevole pensare che fossili antichi trovati in altre regioni possano contenere proteine conservate. Come osserva Cleland, ora è possibile "pensare davvero ad altre aree difficili del pianeta dove non ci aspetteremmo una grande conservazione".

Le prospettive future della paleoproteonica

Nonostante la quantità di materiale proteico recuperato sia stata minima, l'importanza della scoperta non ne risulta diminuita. I ricercatori guardano già oltre, con l'obiettivo di esplorare campioni di epoche diverse e possibilmente ancora più antiche. Green ritiene che l'esame di fossili più recenti possa offrire "parametri di aspettativa" per il numero di frammenti proteici conservati in relazione all'età del fossile.

La paleoproteonica si prepara così a diventare una disciplina chiave per la comprensione dell'evoluzione. Come conclude Cleland con una metafora efficace, "stiamo solo grattando la superficie". Le possibilità offerte da questa nuova frontiera scientifica potrebbero rivoluzionare la nostra comprensione della vita preistorica, spingendo i limiti temporali della ricerca genetica molto più indietro di quanto si ritenesse possibile.

Fonte dell'articolo: www.newscientist.com

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