Recensione

DOOM: The Dark Ages | Recensione - Brutale e spettacolare

Siamo finalmente pronti per raccontarvi nei minimi dettagli DOOM: The Dark Ages, attraverso la nostra recensione approfondita.

Avatar di Andrea Riviera

a cura di Andrea Riviera

Managing Editor

1
  • Pro
    • Il gameplay è pura goduria: tecnico e soddisfacente
    • Level design molto buono
    • Tecnicamente e graficamente solidissimo
    • Colonna sonora eccellente
    • Narrativamente più corposo
  • Contro
    • Le sezioni con Atlan e Drago non convincono pienamente
    • La rimozione delle Glory kill rende il gioco meno spettacolare
    • Seppur sia più curato narrativamente, la storia non è il punto forte

Il verdetto di Tom's Hardware

9
Premio
DOOM The Dark Ages è un gioco straordinario, un titolo che, come già accennato, si candida con prepotenza a un posto tra i migliori dell'anno. È un DOOM all'ennesima potenza, che riesce nell'impresa di evolvere la formula senza tradirne lo spirito, anzi, riavvicinandosi per certi versi alle radici della saga. Potrebbe conquistare definitivamente il cuore dei fan storici, ammaliati dal suo level design e dal suo feeling più "grounded". Potrebbe piacere leggermente meno, ma comunque piacere tantissimo, a chi aveva idolatrato la frenesia aerea di Eternal, ma si troverà comunque di fronte a un'esperienza ludica profonda, appagante e tecnicamente ineccepibile. È, a mio avviso, il DOOM più completo e narrativamente curato della trilogia moderna ed è il motivo che mi ha spinto a dargli il nostro Editor Choice. Siamo di fronte a un titolo di caratura eccezionale, un acquisto obbligato per ogni amante degli sparatutto e un'altra gemma nel già ricco catalogo di Xbox Game Pass.
Preparatevi a scatenare l'inferno. Di nuovo.

Informazioni sul prodotto

Immagine di DOOM: The Dark Ages

DOOM: The Dark Ages

DOOM: The Dark Ages è il nuovo capitolo della leggendaria serie di DOOM.

C'è una familiarità confortante, quasi un rituale, nell'indossare nuovamente i panni (e l'elmo) del DOOM Slayer. Ogni nuovo capitolo della leggendaria saga di id Software porta con sé un carico di aspettative importanti, un desiderio viscerale di massacri adrenalinici e metal martellante che ci ha sempre permesso di sfogarci contro orde di demoni infernali. Ovviamente anche DOOM: The Dark Ages, il nuovo, capitolo, non fa chiaramente eccezione. Dopo averlo sviscerato, completato e analizzato in ogni suo brutale dettaglio, posso affermare con cognizione di causa che sì, l'attesa è stata ripagata. E anche abbondantemente.

DOOM (2016) è stato un ritorno folgorante della serie dopo un direzione (ipotetica visto DOOM 4 è stato cancellato) che stava rischiando di prendere i binari sbagliato. DOOM Eternal, invece, ha elevato quella formula a vette di tecnicismo e frenesia che, a mio modesto parere, lo consacrano ancora oggi come uno dei migliori sparatutto in prima persona degli ultimi quindici anni. Quest'ultimo, con la sua enfasi sulla mobilità verticale, la gestione oculata delle risorse e un ritmo indiavolato, ha definito un nuovo standard per il genere.

È quindi con questo pesante fardello di aspettative che mi sono approcciato a The Dark Ages. Ebbene, metto subito le mani avanti: pur non avendo eguagliato l'amore incondizionato che nutro per Eternal (per motivi che esploreremo), questo nuovo capitolo è, senza mezzi termini, un titolo incredibile. Un gioco che, in un anno già costellato di uscite straordinarie (penso a Clair Obscur: Expedition 33, per citarne una, curiosamente anch'esso disponibile su Game Pass), si candida prepotentemente a un posto nell'olimpo dei contendenti al Gioco dell'Anno.

Alle radici dell'odio

La prima, sostanziale differenza rispetto al suo diretto predecessore risiede nel posizionamento cronologico. DOOM The Dark Ages non è un seguito di Eternal, bensì un prequel di DOOM (2016). L'intento è chiaro: fare luce sugli eventi che hanno preceduto il risveglio del DOOM Slayer dal suo sarcofago all'inizio del reboot del 2016, svelando retroscena e motivazioni che hanno forgiato l'implacabile cacciatore di demoni. Come è finito lì? Quali battaglie ha combattuto prima di quella fatidica resurrezione?

Senza addentrarmi eccessivamente nei meandri di una lore vasta e complessa (che richiederebbe un trattato a parte e per la quale non mi sento di possedere una conoscenza enciclopedica tale da evitare imprecisioni), basti sapere che l'avventura inizia con il DOOM Slayer nella terra delle Sentinelle, impegnato ad aiutarle a respingere un'invasione demoniaca. Da qui si dipana una vicenda che, per la prima volta nella trilogia moderna, riceve un'attenzione narrativa decisamente più marcata.

id Software ha infatti scelto di investire maggiormente sulla componente narrativa, una decisione probabilmente influenzata anche dall'assenza di una modalità multiplayer (sì, The Dark Ages è un'esperienza puramente single-player). Il risultato è il capitolo più lungo nella storia del franchise, con ben 22 capitoli che mi hanno tenuto impegnato per oltre 20 ore per il completamento della storia principale, ma che potrebbero tranquillamente richiederne 30 o più per chi ambisce al 100%. La narrazione si arricchisce di un maggior numero di personaggi, cutscene più frequenti ed elaborate, e dialoghi più presenti (sebbene il nostro Slayer rimanga, come da tradizione, un protagonista di poche, pochissime parole).

Questa cura si traduce in una vicenda intrinsecamente più interessante e stratificata rispetto a quelle, piuttosto dirette, di DOOM (2016) ed Eternal. Tuttavia, non aspettatevi una trama da strapparsi i capelli o un'epopea emotiva alla BioShock Infinite. Rimane pur sempre una storia di DOOM: brutale, epica nel suo contesto, ma funzionale al vero cuore pulsante del gioco, ovvero il gameplay. Ho apprezzato lo sforzo di id Software nel voler dare maggior spessore al racconto, e i fan più accaniti della lore troveranno pane per i loro denti con numerosi spunti e approfondimenti. Per chi, come me, vive DOOM principalmente per la sua azione viscerale, la storia rappresenta un contorno più gustoso del solito, ma pur sempre un contorno.

Un carro armato con lo scudo

Ed è proprio sul gameplay che DOOM The Dark Ages gioca le sue carte migliori, pur introducendo cambiamenti significativi che lo distinguono nettamente da Eternal. Se quest'ultimo ci aveva abituati a un DOOM Slayer agile come un jet, capace di danzare nell'aria tra doppi salti, scatti e rampini, The Dark Ages ci presenta un protagonista più ancorato al terreno, un vero e proprio carro armato. Non lento, sia chiaro, la velocità e la fluidità rimangono marchi di fabbrica, ma la filosofia di combattimento è radicalmente diversa.

L'enfasi si sposta dalla verticalità e dalla mobilità aerea a una gestione più tattica dello spazio e, soprattutto, all'utilizzo dello Scudo Motosega (Shield saw). Questo nuovo, brutale strumento diventa l'estensione principale del braccio del DOOM Slayer, un compagno inseparabile che definisce il nuovo ritmo degli scontri. Lo scudo non serve solo a parare i colpi nemici (con un'attenzione particolare agli attacchi evidenziati in verde, la cui parata perfetta permette di stordire l'avversario), ma può essere lanciato come un proiettile letale per falciare i demoni o attivare meccanismi ambientali, risolvendo anche semplici puzzle.

Questa scelta stilistica si sposa perfettamente con la nuova ambientazione, un affascinante miscuglio di sci-fi e fantasy medievale gotico. Dimenticate le asettiche basi UAC o le rovine terrestri; qui ci muoviamo tra fortezze ancestrali, lande desolate e cattedrali demoniache che evocano un immaginario più vicino a un dark fantasy che alla fantascienza pura. Lo scudo, quindi, insieme a un sontuoso mantello di pelliccia sulle spalle dello Slayer, contribuisce a definire questa nuova, oscura estetica.

L'utilizzo dello scudo è profondo e appagante. Parare al momento giusto, lanciarlo con precisione, sfruttarlo per creare aperture e stordire i nemici diventa una danza macabra e soddisfacente. Il sistema di combattimento si arricchisce ulteriormente con il progredire del gioco, grazie a rune e potenziamenti che ne espandono le capacità, rendendolo ancora più versatile e letale.

Ma lo scudo è solo una delle tante frecce all'arco del DOOM Slayer. Accanto alle immancabili e iconiche armi da fuoco, troviamo un rinnovato focus sulle armi da mischia. Ne avremo a disposizione tre tipologie principali: un guanto elettrificato, un flagello e una possente mazza. Ognuna di esse non è una semplice variante estetica, ma possiede caratteristiche e funzionalità uniche, che spingono il giocatore a sperimentare e a scegliere l'attrezzo giusto per ogni situazione. Colpire i nemici con queste armi da mischia, inoltre, permette di recuperare preziose munizioni, inserendosi in quel "carosello delle risorse" che abbiamo imparato ad amare (e a temere) in Eternal.

Parlando di armi da fuoco, il campionario è, come sempre, vasto e gloriosamente esagerato. Ritornano classici come il fucile a canne mozze e il fucile al plasma, ma la vera star è un'arma inedita che spara schegge di teschi triturati. Sì, avete letto bene. Un concentrato di pura, tamarrissima genialità che incarna perfettamente lo spirito del gioco. Ovviamente, non mancherà un equivalente del BFG, pronto a fare piazza pulita nelle situazioni più disperate, così come armi impalatrici e mitragliatori. Non voglio rovinarvi la sorpresa elencandovele tutte, ma preparatevi a un arsenale che non deluderà le aspettative.

Una delle modifiche più discusse, e per me fonte di un certo rammarico, riguarda le Glory Kill. Le iconiche e brutali esecuzioni che permettevano di recuperare salute sono state profondamente riviste. Le animazioni elaborate e cinematografiche che caratterizzavano Eternal (e, in forma più rapida, DOOM 2016) sono state in gran parte eliminate in favore di uccisioni più rapide e integrate direttamente nel flusso del gameplay. Ora, il DOOM Slayer sferra un calcio, un colpo di scudo, e il demone è storia, permettendo un ritorno immediato all'azione. Se da un lato questo rende il combattimento indubbiamente più fluido e continuo, dall'altro si perde gran parte di quella spettacolarità viscerale e "godereccia" che le Glory Kill animate sapevano regalare. È una scelta comprensibile in termini di dinamismo, ma che personalmente mi ha lasciato un po' di amaro in bocca.

Un ritorno alle origini

Il gameplay si dipana attraverso mappe dal level design semplicemente straordinario. id Software ha superato sé stessa, creando un connubio perfetto tra livelli lineari, comunque vasti e della durata di 30-40 minuti ciascuno, e aree più aperte che invitano all'esplorazione più sfrenata. È in questi frangenti che DOOM The Dark Ages brilla di luce propria. Alcuni scorci, alcune arene viste dall'alto, offrono una miriade di approcci tattici, percorsi alternativi e segreti nascosti che è un puro piacere scoprire.

L'esplorazione non è mai fine a sé stessa. Ogni anfratto può celare oro, rubini e gemme necessari per potenziare armi, scudo e abilità presso i Santuari delle Sentinelle, ma anche i classici giocattoli collezionabili, codex che approfondiscono la lore, o addirittura boss e mini-boss secondari la cui sconfitta premia con potenziamenti permanenti a salute, corazza o munizioni.

Questa rinnovata enfasi sull'esplorazione e su un level design più labirintico e stratificato avvicina The Dark Ages alla filosofia dei primissimi DOOM, più di quanto non facesse Eternal. Quest'ultimo, infatti, era stato criticato da una frangia di puristi (critica che personalmente non ho mai condiviso appieno) per un'eccessiva componente platform e una verticalità che lo allontanavano dalla sensazione di essere "piantati a terra" tipica dei classici. The Dark Ages, con il suo Slayer più massiccio e i suoi livelli intricati, potrebbe quindi fare la gioia degli appassionati storici, pur rischiando di scontentare leggermente chi, come me, aveva adorato la libertà di movimento quasi aerea di Eternal. È proprio questa divergenza stilistica uno dei motivi principali per cui, pur riconoscendone la grandezza, ho preferito di un soffio il suo predecessore.

Intermezzi meccanizzati

A spezzare il ritmo dei combattimenti a piedi, troviamo alcune sezioni a bordo di veicoli. Pilotare un Atlan, un mech colossale alto come un grattacielo, e usarlo per fare a pezzi demoni altrettanto giganteschi è un'esperienza catartica e divertente, un intermezzo "ignorante" che non dura mai troppo a lungo e regala momenti di puro spettacolo.

Meno convincente, invece, è stata la mia esperienza a cavallo di un drago cibernetico. Sebbene l'idea di solcare i cieli su una bestia alata sputafuoco (o meglio, che spara proiettili energetici, dato che le fiamme sono relegate a un attacco contestuale) sia sulla carta esaltante, la realizzazione pratica mi ha lasciato perplesso. Le sezioni di combattimento aereo si trasformano in una sorta di shooter su rotaia, dove bisogna schivare i colpi nemici e sparare al momento giusto. La meccanica non mi ha entusiasmato, risultando a tratti noiosa e poco ispirata. Fortunatamente, i livelli con il drago non sembrano essere numerosi, ma rappresentano, a mio avviso, un tentativo un po' forzato di aggiungere "tamarraggine" che si poteva forse evitare.

Splendore infernale

Dal punto di vista tecnico, DOOM The Dark Ages è semplicemente clamoroso. Giocato su PC con una NVIDIA GeForce RTX 3070 Ti, il titolo ha offerto una fluidità granitica a risoluzione QHD (1440p) con impostazioni grafiche elevate ("Incubo" nel gioco) e DLSS attivo su "Qualità", mantenendo i 60fps e spesso superandoli. L'ottimizzazione, soprattutto considerando le mie precedenti esperienze con build preliminari, è eccellente. Non ho riscontrato bug significativi o problemi tecnici di sorta.

Sul fronte sonoro, l'allontanamento di Mick Gordon aveva lasciato molti fan con il fiato sospeso. Posso rassicurarvi: il team di Finishing Move (già autori di colonne sonore importanti, tra cui quella di Halo 2: Anniversary) ha raccolto il testimone in maniera strabiliante. Le musiche sono un trionfo di heavy metal, rock industriale e sonorità epiche, perfettamente integrate con l'azione di gioco. Ogni scontro è accompagnato da una scarica di adrenalina sonora che esalta la brutalità su schermo. Ho già diverse tracce nella mia playlist personale, pronte ad accompagnarmi durante allenamenti e passeggiate. Non saremo forse ai livelli iconici di Gordon, ma il lavoro svolto è straordinario e farà la gioia di ogni appassionato.

Un DOOM per tutti (o quasi)

Un plauso particolare va dedicato all'incredibile lavoro svolto sul fronte dell'accessibilità. DOOM The Dark Ages offre un livello di personalizzazione della difficoltà che non ha precedenti nella serie. Oltre ai classici livelli di difficoltà preimpostati, è possibile intervenire su una miriade di parametri: dalla velocità generale del gioco ai tempi di parata, dal danno inflitto e subito dai nemici a molte altre variabili.

Questo permette a ogni giocatore, dal neofita al veterano più incallito, di cucirsi addosso l'esperienza di DOOM perfetta per le proprie capacità e preferenze. È una caratteristica fantastica che apre le porte del gioco a un pubblico potenzialmente molto più vasto.

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1 Commenti

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