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Little Hope - The Dark Pictures Anthology | Recensione

Ecco la nostra recensione di Little Hope, nuovo capitolo della The Dark Pictures Anthology, serie horror di Supermassive Games e Bandai Namco.

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a cura di Nicola Armondi

È quasi Halloween ed è quasi tempo di un nuovo racconto dell'orrore di Supermassive Games. Domani, 30 ottobre 2020, potremo finalmente esplorare le nebbiose strade di Little Hope, secondo capitolo della The Dark Pictures Anthology, in arrivo su PC, PlayStation 4 e Xbox One. Un anno fa abbiamo esplorato una nave sperduta in mezzo all'oceano nel Sud-Pacifico in Man of Medan: un primo capitolo con luci e ombre, che sapeva rendersi godibile solo dopo varie partite. Little Hope racconta però una nuova storia, in una nuova ambientazione, con nuovi personaggi e, inaspettatamente, anche con piccole modifiche che migliorano la quality of life. Pronti a scoprire tutti i dettagli nella nostra recensione?

Little Hope: scegli il tuo destino

Come sempre, non faremo alcun tipo di spoiler in questa recensione. Little Hope è dopotutto un'avventura narrativa cinematografica dal taglio horror: tutta la sua essenza risiede nella trama, nella sua scoperta e nelle scelte che possiamo compiere. Accenniamo però a quello che è l'inizio dell'avventura, con il nostro gruppo di personaggi (cinque, per la precisione, come in Man of Medan) che viaggia su un pullman. L'improvvisa apparizione di una bambina nel mezzo della strada fa sbandare l'autista, con conseguente ribaltamento del mezzo. La trama non ruota unicamente attorno ai giorni nostri, ma subito ci mostra una tragedia avvenuta molti anni prima, quando cinque persone, identiche ai nostri protagonisti, sono state vittime di un incendio.

La cittadina di Little Hope, oramai abbandonata, è il fulcro di una trama che si dipanerà in più periodi temporali: potremo salvare i nostri doppelgänger? Potremo salvare noi stessi o il nostro destino è segnato da tempo?

Senza aggiungere altro, possiamo subito sciogliere un dubbio che starà assillando chi ha già giocato Man of Medan: no, questa volta Supermassive Games non ci dice chiaro e tondo come finirà la storia sin dai primi minuti. Il mistero rimarrà insoluto fino agli ultimi atti, quando scopriremo la verità: parliamo di un finale non particolarmente originale, ma ben orchestrato ed in grado di farci rivedere l'intera avventura sotto un diverso punto di vista. Una singola run è quindi più che sufficiente per vivere appieno l'esperienza di Little Hope, a differenza di Man of Medan che lasciava un po' insoddisfatti per la mancanza di un colpo di scena.

Ovviamente nessuno vi vieta di avventurarvi una seconda volta (e una terza, e una quarta...) in Little Hope, anzi è proprio quello che il gioco vuole. Al pari di Man of Medan, a seconda delle scelte fatte vedremo sequenze differenti: inoltre, in questo capitolo non sono solo le scelte più pratiche a fare la differenza ma anche la caratterizzazione che si dà al personaggio. Anche un dialogo all'apparenza secondario può "bloccare"  una caratteristica come il cinismo o l'aggressività, e il destino di tale personaggio varierà nella fase avanzata del gioco a seconda di quali tratti si sono ottenuti.

Ancora più importante è però la modalità co-op online che permette a due giocatori di vivere in contemporanea l'intera trama, dividendosi di scena in scena i personaggi (e le relative scelte). Alcune sequenze sono esclusive di questa modalità, quindi è altamente consigliato viverla. Abbiamo infine anche "Serata al cinema" che permette di giocare in cooperativa locale, assegnando a ogni giocatore certi personaggi e passando di mano in mano il controller.

Una città fantasma

Mettendo da parte i dettagli di trama e le modalità, parliamo dell'ambientazione. Pur sapendo che dipende in parte anche dal gusto personale, riteniamo che la città di Little Hope sia un setting più interessante rispetto alla nave di Man of Medan. L'imbarcazione era perlopiù un insieme di stanze e corridoi tutti molti simili; non solo la varietà era limitata, ma non vi era un chiaro senso di progressione, quanto più un casuale vagare dei protagonisti.

Little Hope invece propone un avanzamento più schematico: i protagonisti camminano in direzione del centro della città e, volontariamente o meno, lasciano la strada principale per avventurarsi in edifici e luoghi dismessi. Ogni area, pur rimanendo coerente con l'ambientazione, ha le proprie peculiarità e racconta un nuovo frammento del passato di questa cittadina. Il senso di progressione è più forte, anche grazie a una serie di piantine storiche che indicano la nostra posizione, i luoghi già visitati e quelli che ancora ci mancano.

Anche il ritmo è nettamente migliore. Man of Medan aveva un prologo fin troppo lungo e concedeva poco tempo sulla nave, mentre questo secondo gioco ci mette subito nel cuore dell'azione. Little Hope, però, perde un po' in termini horror: pur essendoci una leggera tensione nel muoversi nella nebbia, la principale fonte di spavento sono una serie di jump scare che si ripetono nella stessa forma (per motivi narrativi non criticabili, lo precisiamo) ancora e ancora. La conseguenza è che a un certo punto vi avrete fatto l'abitudine.

Vecchio gameplay, nuove sensazioni

Controller alla mano, Little Hope ci propone la stessa struttura del precedente capitolo e di tutti gli altri giochi simili. Scelte di dialogo a tempo, QTE per le sequenze più action e un minimo di esplorazione e interazione con gli elementi luccicanti che ci sveleranno i retroscena della trama. Se conoscete il genere, non avrete grandi sorprese.

Supermassive Games ha però lavorato sui dettagli, introducendo migliorie e modifiche che potrebbero sembrare minori, ma in realtà elevano la quality of life dell'opera. Una delle più visibili è il fatto che l'arrivo di un QTE è segnalato: avremo un'idea generica di dove si posizionerà l'icona, questo ci permette di volgere lo sguardo nel punto giusto e intuire quale tasto dovremo premere.

Per farvi capire: mettiamo che l'anteprima ponga l'icona nella zona alta-centrale dello schermo, di certo a breve apparirà il tasto triangolo, ovvero il tasto in alto sul controller. Nei QTE più difficili, però, la posizione è volutamente meno chiara: ad esempio, può essere al centro dello schermo, un po' a destra, ma anche un po' in basso, sarà cerchio o croce? Si tratta di un ottimo sistema per rendere i QTE non difficili ma al tempo stesso non scontati.

Inoltre, quando ci si approccia a un oggetto viene indicato che tipo di interazione abbiamo di fronte: le azioni che portano al cambio di area sono segnalate chiaramente, in questo modo non rischieremo di proseguire involontariamente perdendo accesso agli indizi che ancora non abbiamo trovato.

Più in generale, la camminata (sia in termini di animazioni, controlli che velocità) è stata migliorata. Sommatelo a un controllo della telecamera migliore e a transizioni tra i dialoghi meno improvvise e il risultato è un'esperienza più fluida e soddisfacente.

Ci sono alcune imperfezioni tecniche, almeno per quanto riguarda la versione PlayStation 4 Pro, come dialoghi non doppiati, lip sync non perfetto e qualche fonte di luce che appare e scompare. Abbiamo sperimentato anche un crash nella prima partita, che non si è però ripetuto le volte successive. La maggior parte di questi problemi sono già noti a Supermassive e saranno risolti con la patch D1: voi non dovreste quindi imbattervi in particolari problemi, previo download dell'aggiornamento. Il doppiaggio italiano è buono, ma dopo aver fatto una seconda run in inglese ci sentiamo di consigliare quello originale: per motivi di trama che non vogliamo svelare, in alcune fasi gli accenti e il modo di parlare diventano importanti e il lavoro dei doppiatori italiani non pareggia quello degli attori; inoltre, inevitabilmente, il lyp sinc è migliore in lingua originale.

Nel complesso, il gioco è visivamente allo stesso livello di Mad of Medan. Le animazioni dei volti sono ovviamente il punto di forza del gioco, ma anche ambienti e oggetti interagibili sono ottimamente realizzati. Ricordandoci anche che parliamo di un titolo budget, c'è poco da criticare nel livello tecnico.

Voto Recensione di The Dark Pictures Anthology: Little Hope - PS4


8.3

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • - Impatto delle scelte

  • - Ambientazione e contesto

  • - Miglioramenti quality of life

Contro

  • - Imperfezioni tecniche minori

  • - Doppiaggio italiano valido ma migliorabile

Commento

Little Hope è un passo in avanti rispetto a Man of Medan. Non cambia la struttura, non cambia il gameplay, ma riesce a offrire un'esperienza più interessante anche per chi non ama rigiocare più e più volte. Un ritmo migliore, un'ambientazione più d'impatto e un trama non scontata sono solo una parte delle circa 6 ore di gioco (un po' meno, in co-op online). Supermassive ha infatti lavorato molto sulle rifiniture, rendendo le sequenze di esplorazione, QTE e di dialogo più fluide. Questo secondo capitolo ha convinto e se si è fan del genere, difficilmente si rimarrà delusi, anche nel caso nel quale il primo capitolo non abbia convinto del tutto.

Informazioni sul prodotto

Immagine di The Dark Pictures Anthology: Little Hope - PS4

The Dark Pictures Anthology: Little Hope - PS4