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Activision-Blizzard: l'acquisizione di Microsoft rappresenta il primo passo dell'evoluzione del videogioco

L'acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft probabilmente andrà molto al di là delle IP e delle potenziali esclusive

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a cura di Fabio Canonico

Pubblicato il 20/01/2022 alle 11:33 - Aggiornato il 09/08/2022 alle 11:31

“E ora cosa diavolo succederà?” Questa è la domanda che probabilmente, all'indomani della notizia dell'acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft, risuona nella testa degli appassionati e dei professionisti del settore, storditi da un annuncio i cui effetti sono, al momento insondabili e imprevedibili. Tale è la portata dell'operazione che tutti gli strumenti sui quali abbiamo fatto finora affidamento per analizzare un settore sì sempre dinamico, ma anche abbastanza leggibile, risultano improvvisamente vetusti.

Non siamo semplicemente di fronte all'acquisizione di un colosso da parte di un altro colosso, ma all'investimento più grande nella storia dell'industria: i 70 miliardi di dollari che la casa di Redmond sborserà non sono solo una cifra impensabile anche per un settore che si è ormai consolidato come quello economicamente più rilevante tra quelli legati all'intrattenimento; sono, soprattutto, un investimento a lunghissimo termine che evidenzia una precisa e chiara dichiarazione di intenti: quella di guidare la prossima evoluzione del medium videoludico.

Come avverrà, attraverso quali fasi, come questa impatterà sull'utenza, è tutto da scoprire, e veramente occorrerebbe l'ausilio di una sfera di cristallo per lanciarsi in previsioni di qualche tipo. Quello che è certo, allo stato attuale, è che Microsoft ha ulteriormente aumentato la propria potenza di fuoco e allargato la varietà potenziale della propria offerta, ma probabilmente con in testa ben altro, di ben più grosso.

xbox-209291.jpg

L'acquisizione di ZeniMax Media, che qualche mese fa sembrava già un qualcosa di inusitato ma che, numeri alla mano, è stata surclassata da quella di Activision Blizzard (7,5 miliardi contro 68,7, quasi dieci volte tanto) era di facilissima lettura. Microsoft accoglieva nella divisione Xbox team di sviluppo dal validissimo curriculum (Bethesda, id Software, Arkane, MachineGames, Tango Gameworks e compagnia) e acquisiva proprietà intellettuali storiche (The Elder Scrolls, DOOM, Wolfenstein) con il fine di elevare il proprio output produttivo, assicurarsi esclusive di peso e aumentare l'appeal del servizio Game Pass.

È importante sottolineare come la stragrande maggioranza delle IP assicuratesi dalla compagnia con tale acquisizione fossero sostanzialmente simili, nell'esperienza ludica e nel modello di business a esse legato: produzioni prevalentemente single player, monetizzazione tradizionale, nessun game as a service. Nel complesso quindi si trattava di un'operazione legata a una concezione del gaming piuttosto tradizionale.

L'impressione è che con l'acquisizione di Activision Blizzard Microsoft abbia deciso di scalare un ulteriore gradino, di espandere le proprie prospettive e di lanciarsi in qualcosa di davvero diverso. Non è certo per assicurarsi le IP di Crash Bandicoot, Spyro, Sekiro e simili che a Redmond hanno deciso di aprire il portafoglio. Sono, quelli, i graditi bonus dell'operazione, quel di più che certamente non guasta, ma che non ne sono evidentemente il focus.

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Certo, quando appariranno su Game Pass o quando saranno annunciati nuovi episodi in esclusiva (perché sì, questi è estremamente probabile non arriveranno su piattaforme che non siano PC o Xbox) saranno in moltissimi a essere contenti, ma di fatto sono marginali nella ratio del tutto.

Il discorso si fa poi complesso pensando a Blizzard e alle sue IP. Ritrovarsi in mano un poker composto da Warcraft, Starcraft, Diablo e Overwatch non capita nemmeno nelle migliori partite, stiamo parlando di pezzi fondamentali di storia del videogioco. C'è, però, molto da pesare.

Il team di sviluppo di Irvine è sempre stato tra i pochi a lavorare con la filosofia del “il gioco esce quando è pronto”, prendendosi sempre il tempo necessario, e dall'inizio degli anni 2000 ha ulteriormente rallentato la propria produzione, perché World of Warcraft prima e Overwatch poi (e, in maniera molto minore, Hearthstone) si sono presi quasi tutte le attenzioni.

Certo, abbiamo avuto anche Diablo III, Starcraft II: Wings of Liberty e Hearthstone, ma i primi due sono usciti ormai rispettivamente dodici e dieci anni fa. All'orizzonte ci sono Overwatch 2 e Diablo IV, è vero, ma quanto è lontano quell'orizzonte? Dovessi dare io una risposta, 2023 inoltrato, e molto probabilmente non in esclusiva.

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Avere Blizzard, però significa anche avere Battle.net, i suoi milioni di account, i suoi server, le app a esso collegate, ed è questa l'introduzione perfetta per arrivare a uno dei due motivi principali per i quali probabilmente l'acquisizione è stata decisa, ovvero l'espansione dell'esperienza multigiocatore. Non tanto in termini ludici, quanto su quelli della monetizzazione, e con un potenziale obiettivo a lungo termine: il metaverso. Che all'interno della divisione Xbox manchi il relativo know how è evidente, basta dare un'occhiata al modello del multiplayer di Halo Infinite, ampiamente criticato dai giocatori (e 343 Industries sta ancora cercando un esperto, dallo scorso ottobre).

L'impressione è che Microsoft voglia partire da Call of Duty: Warzone, perché è chiaro che possa essere quella la base, per sviluppare una piattaforma non solo estremamente redditizia, ma che possa costantemente aggiornarsi in parallelo a una ulteriore evoluzione culturale e demografica del medium videoludico. Fortnite all'ennesima potenza, tanto per avere un'idea. È una scommessa che per realizzarsi però ha bisogno di un passo necessario, ovvero un ulteriore abbattimento delle barriere di ingresso.

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Non è quindi per Candy Crush che Microsoft ha bisogno di King, e veniamo al secondo e ultimo motivo principale dell'acquisizione di Activision Blizzard, che possiede anche la compagnia dedita al mobile. Certo, il miliardo di dollari che annualmente il gioco genera non dispiacerà, ma, anche qui, è soprattutto per il know how, per riuscire a trovare il modo di coniugare l'attrattiva, la potenza espressiva, la profondità del gaming tradizionale con l'accessibilità, la pervasività e l'elevatissima redditività di quello mobile. Che è un qualcosa che non è riuscito ancora a nessuno, proprio perché si tratta di mondi diametralmente opposti.

Difficilmente, quindi, vedremo i risultati di questa acquisizione sul breve e medio termine, che almeno per quanto riguarda le produzioni videoludiche allo stato attuale sembra persino di minore entità rispetto a quella di ZeniMax Media, perché Starfield e The Elder Scrolls 6 sappiamo saranno esclusive Xbox, mentre difficilmente lo saranno Overwatch 2, Diablo IV o il prossimo Call of Duty (e questo, almeno per ora, dovrebbe tranquillizzare chi teme da qui a stretto giro un monopolio da parte del colosso di Redmond).

Ma per il futuro, per la prossima evoluzione del medium, la partita è evidentemente già cominciata, e Microsoft, che le proprie idee al riguardo le ha esplicitate da tempo, sta prendendo già un vantaggio ampissimo.

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