L'aumento del prezzo dei videogiochi è culminato nel lancio dei preordini di Mario Kart World per Nintendo Switch 2 a ben 90 euro (puoi trovarlo su Amazon), una notizia che ha acceso un bel dibattito nell’industria e che ha infiammato i consumatori. Nonostante ciò, questo fenomeno non rappresenta un caso isolato, ma piuttosto il possibile culmine di una tendenza pluridecennale, influenzata da costi di sviluppo in crescita esponenziale, strategie di prezzo differenziate adottate dai publisher e una trasformazione nella percezione del valore attribuito ai videogiochi stessi.
Di fronte a queste dinamiche, posizioni come quella attribuita a Nintendo, che giustificherebbe un prezzo elevato con la presunta qualità superiore del prodotto ("il miglior Mario Kart di sempre"), appaiono poco sostenibili come unica spiegazione. Al contempo, una banalizzazione del problema, etichettando genericamente gli operatori del settore come avidi, non rende giustizia alla complessità della situazione. È necessario, quindi, approfondire le ragioni che hanno portato i prezzi dei videogiochi a sfiorare soglie psicologiche importanti come i 90-100 euro, valutare se questo trend coinvolgerà altri titoli e identificare le reali criticità nelle attuali strategie di prezzo dell'industria.
Il ruolo dell'inflazione: causa reale o capro espiatorio?
Per decenni, il prezzo standard dei videogiochi è rimasto notevolmente stabile, ancorato a una soglia psicologica ben definita. Negli anni '90, titoli iconici per console come il NES venivano venduti negli Stati Uniti a circa 50 dollari. Se si applicasse un aggiustamento basato sull'inflazione accumulata da allora, quel prezzo oggi equivarrebbe a ben oltre i 100 dollari attuali. Nonostante l'aumento generale del costo della vita e, in certi periodi, del potere d'acquisto, il "tetto" dei 59,99 dollari/euro per i giochi tripla A (AAA) ha resistito fino all'inizio dell'attuale generazione di console. Nel 2020, con il lancio di PlayStation 5 e Xbox Series X, si è assistito al passaggio allo standard dei 69,99 dollari/euro. Ora, a distanza di circa cinque anni, si discute di ulteriori incrementi verso i 79, 89 o addirittura 90 euro.
Una delle ragioni del malcontento attuale potrebbe risiedere nel modo in cui questi aumenti sono stati implementati. Invece di un adeguamento graduale e costante che seguisse, almeno in parte, l'andamento dell'inflazione nel corso degli anni, l'industria ha mantenuto prezzi fissi per lunghi periodi, per poi introdurre aumenti significativi "a scatti". Questa modalità discontinua può generare nei consumatori la percezione di un'ingiustizia o di una speculazione improvvisa, piuttosto che di un necessario adeguamento economico.
È frequente l'obiezione secondo cui utilizzare l'inflazione come giustificazione per i rincari sia scorretto, specialmente in contesti economici dove gli stipendi non hanno tenuto il passo con l'aumento del costo della vita. In questa situazione, i consumatori si trovano ad affrontare prezzi più alti con un potere d'acquisto invariato o diminuito rispetto al passato. L'obiezione è comprensibile nell'attuale congiuntura economica di molti paesi. Tuttavia, è importante considerare il quadro storico più ampio: dagli anni Novanta ad oggi, le condizioni economiche non sono state uniformemente negative; ci sono stati periodi di crescita e periodi di stagnazione o recessione, con l'inflazione che ha avuto impatti variabili.
Valutare la situazione esclusivamente sulla base del momento attuale, ignorando le dinamiche economiche degli ultimi trent'anni durante i quali i prezzi dei giochi sono rimasti largamente invariati, può portare a una visione parziale. L'adeguamento dei prezzi all'inflazione è un principio economico standard; l'errore strategico dell'industria potrebbe, dunque, essere stato proprio il non aver implementato questi aggiustamenti in modo più graduale e costante nel tempo. Anche se un adeguamento progressivo avesse portato agli stessi livelli di prezzo attuali, che potrebbero comunque risultare problematici rispetto agli stipendi medi odierni, la percezione da parte dei consumatori sarebbe probabilmente stata meno negativa e conflittuale.
L'escalation dei costi
Diversi fattori concorrono a determinare il prezzo finale di un videogioco moderno, spiegando la tendenza verso cifre più elevate. La realizzazione di un titolo AAA richiede oggi investimenti finanziari enormi, con budget che possono raggiungere i 300, 400 o persino superare il mezzo miliardo di dollari, cifre paragonabili a quelle dei grandi blockbuster cinematografici. Tecnologie come il motion capture per animazioni realistiche, lo sviluppo di intelligenze artificiali complesse per i personaggi non giocanti (NPC) e la creazione di vasti mondi aperti esplorabili moltiplicano esponenzialmente le ore di lavoro necessarie. A titolo esemplificativo, si stima che lo sviluppo di Red Dead Redemption 2 abbia richiesto l'impegno di circa 1.600 persone per un periodo di otto anni.
A questi costi di produzione si aggiungono poi i costi di licenza. Questi non riguardano solo l'eventuale utilizzo di personaggi, marchi o musiche preesistenti, ma includono anche le commissioni trattenute dai detentori delle piattaforme hardware (console). Si stima che produttori come Nintendo, Sony e Microsoft trattengano una quota significativa (indicativamente intorno ai 20 dollari/euro o più, a seconda degli accordi) per ogni copia fisica venduta sulla loro piattaforma, applicando commissioni simili, se non superiori in percentuale, per le vendite digitali sui loro store.
Per i numerosi giochi che offrono esperienze online multiplayer o servizi connessi, bisogna considerare poi anche i costi infrastrutturali legati alla gestione e manutenzione dei server, alla sicurezza e a tutto l'apparato tecnologico necessario per garantire il funzionamento dei servizi online nel tempo.
Infine, un ruolo preponderante è giocato dai costi di marketing e promozione. Secondo alcuni studi di settore, le spese promozionali possono arrivare a rappresentare fino al 35% dei costi totali associati al lancio di un nuovo gioco AAA. Campagne pubblicitarie su vasta scala che coinvolgono diversi media (TV, web, social), partnership con influencer e streamer popolari, organizzazione di eventi dal vivo e partecipazioni a fiere di settore sono diventate praticamente indispensabili per emergere in un mercato estremamente affollato e competitivo, molto più di quanto non fosse in passato.
Tutti questi elementi di costo – sviluppo, licenze, infrastruttura, marketing – sono aumentati costantemente nel corso degli anni, anche durante i lunghi periodi in cui il prezzo finale dei giochi al consumatore rimaneva fisso. È evidente che un aumento progressivo dei costi di produzione e distribuzione, a fronte di prezzi di vendita bloccati, porta inevitabilmente a una riduzione dei margini di profitto per le aziende sviluppatrici e publisher, specialmente in un contesto di crescente competizione che frammenta la base di potenziali acquirenti.
Parità di prezzo tra fisico e digitale
Una domanda frequente tra i consumatori riguarda la parità di prezzo, o la differenza minima, che spesso si osserva tra la versione fisica di un gioco e la sua controparte digitale, nonostante quest'ultima non comporti costi di masterizzazione del disco, produzione della confezione, logistica e distribuzione fisica. Questa apparente incongruenza, specialmente per giochi sviluppati da studi di terze parti, ha una spiegazione prevalentemente strategica legata agli equilibri del mercato: se le versioni digitali fossero sistematicamente vendute a un prezzo significativamente inferiore rispetto a quelle fisiche, ciò porterebbe probabilmente a una rapida erosione del mercato retail tradizionale.
I negozi fisici di videogiochi, non potendo competere sul prezzo, vedrebbero crollare le loro vendite, rischiando l'estinzione e privando i publisher di un importante canale di vendita e visibilità; d'altra parte, la vendita digitale diretta da parte del publisher o del detentore della piattaforma rappresenta una competizione diretta per l'intera catena di distribuzione fisica.
Mantenere una sostanziale parità di prezzo serve, quindi, a preservare il rapporto con i rivenditori tradizionali e a non destabilizzare l'ecosistema distributivo esistente. Le differenze di prezzo più marcate tra fisico e digitale si osservano, infatti, solitamente solo per i titoli first-party, sviluppati e pubblicati direttamente dal produttore della console (come nel caso dei giochi Nintendo venduti da Nintendo stessa), che ha un controllo maggiore sulla strategia di prezzo e può decidere di favorire il proprio canale digitale diretto.
La strategia unica di Nintendo
Nintendo adotta nel settore videoludico una strategia di prezzo peculiare e, per alcuni osservatori, controversa, molto diversa da quella seguita da altri grandi publisher come Sony o Microsoft. I titoli first-party di Nintendo, ovvero quelli sviluppati internamente o da studi strettamente affiliati, raramente, se non mai, subiscono cali di prezzo significativi, anche a distanza di molti anni dalla loro uscita sul mercato. È prassi comune trovare giochi come Mario Kart 8 Deluxe o The Legend of Zelda: Breath of the Wild venduti ancora a prezzo pieno nei negozi fisici e digitali come Amazon cinque, sei o più anni dopo il loro lancio iniziale.
La filosofia alla base di questa politica commerciale risiede nella convinzione di Nintendo che i propri giochi posseggano un valore intrinseco che trascende l'attualità del momento. Non vengono considerati prodotti "usa e getta" legati a cicli brevi o annuali, come può accadere per alcuni titoli sportivi o serie con uscite frequenti, ma piuttosto esperienze progettate per essere longeve e godibili nel tempo da diverse generazioni di giocatori. In quest'ottica, l'azienda ritiene che abbassare drasticamente o troppo velocemente il prezzo equivarrebbe a svalutare opere che continuano a registrare vendite consistenti e a intrattenere un vasto pubblico anche molto tempo dopo la loro pubblicazione.
Sebbene in passato Nintendo abbia sperimentato iniziative come la linea "Nintendo Selects", che riproponeva alcuni titoli first-party di successo a un prezzo ridotto, queste sono rimaste eccezioni limitate e non hanno mai coinvolto molti dei franchise principali o i titoli più recenti. La strategia predominante rimane quella di mantenere un controllo rigoroso sulla percezione di qualità, unicità e valore duraturo dei propri prodotti, anche a costo di apparire meno competitiva sul fronte del prezzo rispetto alla concorrenza. Questa politica si inserisce in un contesto più ampio che include anche una storica e determinata lotta contro la pirateria, volta a garantire che l'accesso ai propri titoli avvenga quasi esclusivamente attraverso i canali ufficiali e al prezzo stabilito dall'azienda.
Il costo reale di un gioco: oltre il prezzo di copertina
Un elemento cruciale da considerare nell'analisi del prezzo dei videogiochi è l'evoluzione del modello di business stesso. Molti anni fa, l'acquisto di un videogioco corrispondeva, nella maggior parte dei casi, all'acquisizione dell'esperienza completa. Progressivamente, l'industria si è spostata verso un paradigma differente: l'acquisto del gioco base rappresenta spesso solo l'inizio di un percorso di spesa. Oggi, acquistare un titolo AAA a prezzo pieno raramente significa ottenere l'intero contenuto o l'esperienza definitiva. Per accedere alla totalità dell'offerta ludica, è frequentemente necessario integrare l'acquisto iniziale con contenuti scaricabili (DLC), espansioni a pagamento, pass stagionali che sbloccano contenuti futuri, bundle extra o l'acquisto di versioni "Deluxe", "Gold" o "Ultimate" a prezzo maggiorato.
L'insieme di questi acquisti successivi può facilmente far raddoppiare o addirittura triplicare la spesa iniziale sostenuta per il gioco base. Un titolo che parte da 70 o 80 euro può arrivare a costare complessivamente ben oltre i 100, 120 o persino 150 euro per chi desidera accedere a tutti i contenuti, i quali vengono spesso distribuiti strategicamente nel tempo per mantenere alto l'engagement dei giocatori e, naturalmente, per generare flussi di ricavi continui.
Questo modello di monetizzazione post-lancio non è casuale, ma risponde a precise strategie editoriali dei publisher: non si tratta unicamente di massimizzare i profitti, ma anche di frammentare l'esperienza e la spesa nel tempo, sfruttando la psicologia del consumatore: un giocatore che ha già investito una somma iniziale significativa per il gioco base potrebbe essere più incline a effettuare ulteriori acquisti per "completare" l'opera o accedere a nuove porzioni di contenuto. Questa dinamica trasforma l'acquisto del videogioco da transazione per un prodotto finito a una sorta di sottoscrizione a un servizio o a un ecosistema commerciale in continua evoluzione, progettato per massimizzare il valore economico generato da ogni singolo giocatore nel corso del tempo (il cosiddetto "lifetime value").
Il risultato problematico di questa pratica è che ha contribuito a normalizzare un prezzo di copertina che può apparire illusoriamente contenuto rispetto al costo totale effettivo per fruire dell'esperienza completa. È doveroso precisare che non tutti i giochi seguono pedissequamente questo approccio; esistono ancora numerosi titoli che offrono esperienze complete fin dal lancio, magari con qualche contenuto aggiuntivo opzionale ma non indispensabile. Tuttavia, la tendenza generale dell'industria AAA va chiaramente nella direzione di un prezzo iniziale che rappresenta solo il primo passo di un percorso economico più lungo e potenzialmente molto più oneroso per il consumatore.
La percezione di un'offerta sovrabbondante
Un altro fattore che contribuisce al disagio dei consumatori riguardo ai prezzi è la percezione di un'offerta eccessiva di titoli ad alto budget ritenuti "imperdibili". Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il numero assoluto di giochi AAA complessi rilasciati ogni anno potrebbe non essere necessariamente superiore a quello di decenni fa, anzi, potrebbe essere inferiore.
Lo sviluppo di un titolo di grande portata richiede oggi tempi molto più lunghi (anche 3-5 volte superiori rispetto agli anni '90 o inizio 2000, quando cicli di 1-2 anni erano più comuni) a causa della crescente complessità tecnologica e contenutistica. Ciò che è radicalmente cambiata, però, è la percezione e l'impatto mediatico di questi titoli. L'industria videoludica odierna è caratterizzata da un numero maggiore di grandi publisher, più piattaforme di distribuzione (console, PC, mobile, cloud), budget di marketing enormemente più elevati e un pubblico globale più vasto e diversificato. Tutto questo ha contribuito a moltiplicare le uscite che ricevono un'enorme attenzione mediatica e vengono presentate come eventi imprescindibili.
In passato, la distinzione tra un titolo "normale" e un capolavoro o un gioco "must-have" era forse più netta, e il "baccano" mediatico si concentrava su un numero relativamente ristretto di uscite eccezionali. Oggi, invece, l'industria ha affinato enormemente le tecniche per costruire attesa, campagne di marketing martellanti e community fidelizzate attorno a un numero molto più elevato di giochi, distribuiti lungo tutto l'arco dell'anno.
Titoli come Elden Ring, i nuovi Zelda, Hogwarts Legacy, Baldur's Gate 3, i capitoli di Final Fantasy, Starfield, Spider-Man 2, le serie Horizon o Forza, solo per citarne alcuni recenti, catalizzano costantemente l'attenzione dei media e dei giocatori. Il risultato è che molti più giochi vengono percepiti come "grandi titoli" da non perdere, esponendo i consumatori a una pressione costante e alla tentazione di acquistarli tutti, o quasi, per rimanere al passo con le discussioni e le tendenze. Questo porta inevitabilmente a un aumento della spesa complessiva che un videogiocatore medio si sente quasi "costretto" ad affrontare per partecipare pienamente all'hobby.
È diventato comune osservare il ciclo rapido di un gioco: annunci trionfali sulle vendite record nella prima settimana, seguiti a breve da notizie che indicano come una larga percentuale di giocatori (talvolta l'80% o più) abbia già abbandonato il titolo dopo pochi giorni o settimane, suggerendo acquisti guidati più dall'hype che da un interesse profondo e duraturo.
Il prezzo di 90 euro: giustificato, ma accettabile?
Riassumendo gli elementi analizzati, emergono le ragioni per cui un prezzo di 90 euro per un videogioco di nuova generazione possa essere considerato inaccettabile da molti consumatori, pur avendo delle basi di giustificazione economica. Partiamo da quest'ultimo aspetto: dal punto di vista puramente economico e aziendale, non si può negare la validità di considerare l'inflazione accumulata negli anni o l'aumento vertiginoso dei costi di sviluppo, marketing e distribuzione.
Ignorare l'inflazione non è una regola che possono stabilire i consumatori; è un fattore economico fondamentale. È innegabile che produrre un gioco AAA oggi costi molto di più rispetto a 10, 20 o 30 anni fa, e non è affatto garantito che i profitti aumentino proporzionalmente, data la maggiore competizione e frammentazione del mercato. Quindi, da una prospettiva aziendale, l'aumento dei prezzi può essere visto come una necessità per mantenere la sostenibilità economica.
D'altra parte, questa logica economica fatica a dissipare la sensazione diffusa tra i consumatori di subire un trattamento ingiusto o di essere "derubati", giacché diversi fattori contribuiscono a questa percezione negativa. Innanzitutto, i troppi anni in cui i prezzi sono rimasti artificialmente bloccati hanno creato un'aspettativa difficile da sradicare. In secondo luogo, la situazione economica precaria in molti paesi, con stipendi che faticano a tenere il passo con l'inflazione, riduce concretamente il potere d'acquisto dei consumatori, rendendo ogni aumento di prezzo più pesante.
Inoltre, come discusso, la percezione di un numero eccessivo di giochi "immancabili", amplificata da strategie di marketing aggressive, porta i videogiocatori a sentirsi quasi obbligati a spendere di più per rimanere aggiornati. Infine, la moltiplicazione delle piattaforme e dei modelli di business (abbonamenti, microtransazioni, ecc.) contribuisce a una sensazione di spesa costante e crescente legata all'hobby.
L'insieme di questi fattori porta alla consapevolezza che il settore dei videogiochi ad alto budget stia forse transitando sempre più verso una sorta di mercato premium, quasi un mercato del lusso, accessibile pienamente solo a una parte dei potenziali interessati. Ovviamente, questa constatazione può risultare sgradita a molti appassionati che si sentono limitati da questi incrementi, però, pur comprendendo questa frustrazione, appare semplicistico demonizzare tout court i publisher, ignorando le pressioni economiche reali. L'errore principale, forse, è stato proprio mantenere i prezzi bloccati per un periodo così esteso, creando uno scollamento tra costi e ricavi che ora si cerca di recuperare in modo brusco.
In questa analisi non è stata nemmeno approfondita la questione della qualità e della durata effettiva dei giochi: un conto è spendere una cifra importante per un titolo che offre decine o centinaia di ore di intrattenimento valido, un altro è spenderla per un'esperienza che si esaurisce in 10-15 ore.
Consapevolezza e scelte ponderate nell'era dei giochi premium
Di fronte a questo scenario complesso, l'unica risposta efficace per i consumatori sembra risiedere nella presa di coscienza e nell'adozione di comportamenti d'acquisto più consapevoli. Per quanto riguarda l'universo Nintendo, la sua strategia di prezzo è storicamente chiara e coerente: chi sceglie di essere un giocatore fedele a questa piattaforma è generalmente consapevole delle sue politiche e, in un certo senso, le accetta come parte dell'ecosistema; lamentarsi costantemente appare quindi poco produttivo, data la palese prevedibilità dell'approccio dell'azienda.
Per tutti gli altri videogiocatori, esistono ancora margini di manovra per gestire la propria passione senza che diventi un onere finanziario insostenibile: non acquistare ogni gioco desiderato al giorno del lancio non è una tragedia; inoltre, non giocare a tutti i titoli acclamati dalla critica o dal marketing non diminuisce il valore dell'hobby. Tutti i mercati legati all'intrattenimento e al superfluo, e i videogiochi rientrano in questa categoria, hanno le loro regole e le loro pressioni commerciali.
Insomma, è ancora possibile coltivare questa passione in modo economicamente sostenibile, cercando di rimanere il più possibile immuni dalle strategie di marketing più aggressive – strategie che, in parte, sono anche una risposta alle contingenze di un mercato difficile – e mantenendo il controllo sulle proprie decisioni. Ricordiamo, infatti, che l'ultima parola spetta sempre al consumatore. Ridurre l'influenza dell'hype, evitare la fretta dell'acquisto immediato e operare scelte più ponderate, focalizzandosi solo sui giochi che si ritiene possano veramente appassionare e offrire un valore duraturo in termini di ore di gioco e soddisfazione personale, sono passi fondamentali.
Ma non solo: attendere cali di prezzo, approfittare di sconti o recuperare titoli validi dal proprio backlog (la lista di giochi acquistati e non ancora giocati) sono pratiche più che sensate, che contribuiscono a ridurre la spesa complessiva di un videogiocatore.
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