Decreto Digitalia osteggiato dai poteri forti della PA

Il decreto Digitalia manca di copertura finanziaria adeguata e secondo Confindustria Digitale sarebbe osteggiato dalla stessa Pubblica Amministrazione. Stefano Parisi sostiene che vi sia un problema di centri di potere.

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a cura di Dario D'Elia

L'atteso decreto Digitalia non è ben voluto negli ambienti della Pubblica Amministrazione. Questa è l'idea che si è fatto Stefano Parisi, il presidente di Confindustria Digitale. Dai microfoni di Radio Anch'io, qualche giorno fa, si è lasciato andare a un commento che finalmente ha consentito di fare chiarezza sulla questione.

"Il ritardo è preoccupante per l'implementazione delle norme: serviranno 60 giorni per l'approvazione in Parlamento, ma poi ci sono più di 50 provvedimenti ministeriali che dovranno essere adottati e quindi rischiamo di andare oltre la durata della legislatura", ha spiegato il presidente.

I poteri forti della PA

"Serve una forte volontà politica, perché le misure riorganizzano in maniera profonda il funzionamento della pubblica amministrazione. Queste norme portano sviluppo straordinario ed enorme risparmio, quindi non credo ai problemi di copertura: ho paura invece che ci sia una certa resistenza da parte degli apparati dell'amministrazione pubblica, che non hanno voglia di impegnarsi per mantenere i propri centri di potere".

Come se non bastasse grazie a indiscrezioni filtrate dalla cabina di regia per l'Agenda Digitale, intercettate dal Corriere delle Comunicazioni, si è scoperto che manca ancora un'adeguata copertura finanziaria. Durante il prossimo Consiglio dei Ministri previsto per il 4 ottobre probabilmente verrà presa una decisione definitiva al riguardo. Ad oggi mancherebbero all'appello tra i 70 e i 300 milioni di euro, a seconda delle misure inserite nel decreto. Già, perché gli incentivi per le startup, il credito d’imposta per le infrastrutture e altre proposte rischiano di far sfiorare a Digitalia la soglia dei 2,5 miliardi di euro. Completamente sforbiciata di ogni iniziativa chiave invece avrebbe un costo di 400 milioni di euro.

Il braccio di ferro fra il Tesoro e i Ministeri coinvolti è iniziato. La speranza è che i capetti della Pubblica Amministrazione non si facciano troppo sentire.