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a cura di Alessandro Crea

Mark Zuckerberg ha deciso finalmente di intervenire ufficialmente sulla questione Cambridge Analytica che da alcuni giorni sta travolgendo Facebook, e lo fa con un intervento degno del suo soprannome, Mr Fix: "‎Ciò che è successo rappresenta una grave violazione del rapporto di fiducia (con gli utenti, NdR), e mi dispiace che sia accaduto", ha infatti dichiarato alla CNN. "La nostra responsabilità è ora di assicurarci che non accada di nuovo".

Al di là delle scuse diciamo così, proattive, di Mark le questioni però restano tutte ancora sul tavolo e non sarà una semplice dichiarazione di intenti a risolverle. Dopo anni trascorsi a sfuggire ai tentativi di regolamentazione ora Zuckerberg ha cambiato improvvisamente idea ed è lui stesso ad invocare una maggior regolamentazione del settore: "Mi piacerebbe vedere regole sulla trasparenza. Se guardiamo a quanto accade per l'advertising su TV e stampa non è chiaro perché sul Web non ci sia nulla di simile".

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Il patron di Facebook poi scarica le responsabilità su Cambridge Analytica, affermando che quando nel 2015 venne a conoscenza dell'acquisizione dei dati da parte dell'azienda convocò Alexandr Kogan, il matematico di origine russa autore del test utilizzato per raccogliere i dati degli utenti, e Cambridge Analytica, affinché certificassero di aver distrutto i dati. A detta di Zuckerberg però Cambridge mentì, tenendosi i dati ancora per tutto il 2016 e utilizzandoli per la campagna presidenziale di Trump.

Nel frattempo, Facebook sta stringendo le regole per l'accesso ai dati degli utenti da parte di applicazioni di terze parti: se un'app risulterà inattiva per più di tre mesi ad esempio perderà ogni diritto d'accesso. Le app inoltre potranno accedere di default unicamente a nome e cognome dell'utente, alla foto profilo e all'indirizzo e-mail.

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Quale che sia la verità su come esattamente sono andate le cose è evidente che dovranno essere le indagini ad appurarlo. È anche evidente che i media tradizionali stiano cavalcando la notizia con una buona dose di ipocrisia e di cinismo, trattando il caso come un unicum quando è almeno un decennio che l'intero Web funziona così. La profilazione poi è ancora più vecchia ed esiste nel marketing da decenni, per altro senza che la reale efficacia sia mai stata scientificamente comprovata in maniera definitiva.

facebook downvote button

Questo però non assolve aziende come Facebook e Cambridge Analytica e non assolve noi, come utenti della rete, che da anni abbiamo abdicato tacitamente al nostro diritto alla privacy in cambio di un'illusione di libertà legata alla fruizione gratuita di qualsiasi cosa.

È possibile che non ci sia alcun Grande Fratello e che tutto il commercio di dati sia solo l'ennesima bolla speculativa del Web, senza nessuna reale applicabilità nel quotidiano. A essere sbagliata però potrebbe essere forse la cornice socio-culturale che ha reso possibile tutto questo, col nostro assenso silenzioso che ora si trasforma improvvisamente in indignazione ipocrita.

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Possiamo essere più o meno scettici sul fatto che l'acquisto di un bene o l'espressione di un voto politico possano essere eterodiretti con efficacia assoluta attraverso la profilazione basata su dati e preferenze espresse dall'utente. Fanno però rilfettere le considerazioni del garante della Privacy Antonello Soro raccolte dal quotidiano Il Mattino: "Nel gioco democratico il voto dei cittadini traduce in una scelta elettorale lo stato di consapevolezza, che si ha in quel momento, del mondo in cui vive. E se questa scelta è figlia di una lettura quotidiana e completa della realtà - dice Soro - allora possiamo parlare di libertà. Se invece è figlia di un meccanismo di conoscenza passiva, parziale, settoriale, con una spinta a farci sapere solo quello che è più vicino alle nostre aspettative, allora il percorso elettorale è diverso da quello che dovrebbe esprimere una democrazia compiuta".

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Ora molti temono che gli Stati approfitteranno della situazione per assestare una mazzata statalista sull'"odiato" Web, finora sempre in grado di sottrarsi a qualsiasi controllo dall'alto, ma non a quello del business, come testimoniato anche dall'ex product manager di Facebook Antonio García Martínez: "La missione è solo una ed è il profitto. Non c'è una dimensione etica, al di là di quello che viene raccontato". Ma tra il mercato selvaggio e l'applicazione di leggi draconiane che sanno di censura deve pur esserci una terza via. Non resta che scoprirla.