La crisi energetica in Kuwait sta raggiungendo livelli critici, mentre le autorità puntano il dito contro i minatori di criptovalute considerati responsabili del sovraccarico della rete elettrica nazionale. Un recente raid delle forze dell'ordine nella città di Al-Wafrah ha portato a risultati sorprendenti: dopo l'intervento, il consumo energetico locale è diminuito del 55% in una sola settimana. Questo dato evidenzia la portata del fenomeno in un paese già in difficoltà con l'approvvigionamento elettrico, aggravato dalle temperature estive in costante aumento e da una popolazione in crescita che fa uso massiccio di sistemi di condizionamento.
Sebbene il commercio di criptovalute sia illegale in Kuwait, il mining non è esplicitamente vietato, creando così una zona grigia legale che ha attratto numerosi operatori. Le autorità hanno però preso posizione: secondo il Ministero degli Interni, questa attività "costituisce uno sfruttamento illegale dell'energia elettrica" che può causare blackout in aree residenziali, commerciali e di servizio, rappresentando "una minaccia diretta alla sicurezza pubblica".
L'operazione di controllo ha interessato circa 100 abitazioni sospettate di ospitare attività di mining di criptovalute. I dati raccolti hanno rivelato consumi impressionanti: alcune strutture utilizzavano fino a 20 volte l'energia elettrica di una casa kuwaitiana media. Nonostante le stime indichino che i minatori del Kuwait rappresentassero meno dello 0,5% dell'attività mineraria globale nel 2022, l'impatto sul sistema energetico nazionale è stato devastante.
Alex de Vries-Gao, fondatore di Digiconomist, ha spiegato la dinamica del fenomeno: "Basta una percentuale molto piccola della rete totale di mining di bitcoin per avere un impatto significativo sul consumo elettrico relativamente limitato del Kuwait". Una singola transazione Bitcoin, infatti, consuma oltre 1.047 kWh di elettricità, l'equivalente del fabbisogno mensile di una famiglia media americana.
Il Kuwait, piccolo stato petrolifero del Medio Oriente, è diventato una destinazione attraente per i minatori di criptovalute grazie ai costi energetici contenuti, dovuti principalmente all'abbondanza di combustibili fossili. Questo vantaggio economico ha però trasformato il paese in un punto nevralgico per attività ad alto consumo energetico, in un momento in cui le riserve elettriche limitate faticano a soddisfare la domanda crescente della popolazione urbana in espansione.
La situazione kuwaitiana si inserisce in un contesto più ampio riguardante l'impatto ambientale ed energetico delle nuove tecnologie. Se il mining di criptovalute sta stabilendo record in termini di consumo energetico, i data center per l'intelligenza artificiale rappresentano una minaccia ancora maggiore per le infrastrutture elettriche globali. Mark Zuckerberg, fondatore di Meta, ha recentemente dichiarato che i limiti della rete elettrica attuale costituiranno un freno alla crescita dell'IA, tanto che Meta e altre aziende stanno valutando l'utilizzo di reattori nucleari per alimentare i loro enormi centri di elaborazione dati.
Oltre al problema della quantità di energia disponibile, emerge anche quello della qualità: questi centri di elaborazione dati provocano un deterioramento della qualità dell'energia elettrica nelle aree residenziali circostanti, riducendo la durata degli elettrodomestici nelle abitazioni private. La crisi kuwaitiana potrebbe quindi rappresentare un campanello d'allarme per sfide energetiche globali sempre più pressanti.
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