Il Web contro Laura Boldrini: popolo bue o giusta critica?

Il Presidente Laura Boldrini non vuole nuove leggi contro le libertà online, ma stimolare il dibattito sull'argomento. La recente intervista con La Repubblica ha alimentato una polemica che fino ad ora si è dimostrata un po' sterile.

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a cura di Dario D'Elia

"Grazie per la solidarietà. Mai parlato di anarchia o nuova legge per Web. Obiettivo è arginare la violenza contro le donne, anche in Rete", ha twittato sabato il Presidente Laura Boldrini, in risposta alle polemiche provocate dalla sua recente intervista a La Repubblica.

Il tema è senza dubbio caldo, come ha sottolineato la giornalista Concita De Gregorio dopo la pubblicazione del suo articolo. Ha spiegato infatti che la Presidente della Camera si riferiva alla difficoltà di applicazione della Legge Mancino, il principale strumento legislativo per la repressione dei crimini d'odio.

Il Presidente Boldrini

La norma che è stata tirata in ballo ad aprile, quando quattro neonazisti che gestivano il sito Stormfront.org sono stati condannati dal tribunale di Roma a diversi anni di carcere per incitamento alla discriminazione e alla violenza etnica, religiosa e razziale.

Il problema è che la Boldrini è stata oggetto di insulti e minacce di morte provenienti da migliaia di utenti. Difficile poterli denunciare tutti. Comprensibile quindi la decisione di aprire il dibattito su un nervo scoperto della Rete, ovvero il rapporto fra i diritti di tutte le parti in gioco.

Definire il Web come un semplice strumento di comunicazione è una tesi debole come quella della National Rifle Associaton che punta a responsabilizzare solo la mano di chi spara. La Rete per sua natura ovviamente non né buona né cattiva, ma bisogna riconoscere che in qualsiasi contesto l'anonimato può favorire comportamenti illeciti, immorali o poco etici. Questo non vuol dire che per prevenire bisogna ridurre le libertà di movimento degli utenti, bensì che sarebbe giusto un equilibrato dibattito sull'argomento.

Boldrini ai tempi dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati

"Internet non è un Far West, non è una prateria dove si è liberi di compiere reati come quelli subiti dalla Boldrini, le minacce, la diffamazione, lo stalking, e restare impuniti. Le leggi, che puniscono i reati virtuali allo stesso modo di quelli fisici, ci sono già. Al massimo possiamo fare una ricognizione per verificare che siano coperte tutte le fattispecie. Ma lo strumentario giuridico a nostra disposizione è molto ricco", aveva commentato a caldo il giurista Stefano Rodotà.

"La Rete, per le sue caratteristiche di rapidità, di ampia divulgazione, di facilità di accesso, richiede un sistema di garanzie adeguato. Quando la magistratura ritiene di dover rimuovere un contenuto diffamante, deve poter contare su una struttura tecnica in grado di farlo in tempo reale, risalendo con certezza all'autore".

Ecco forse il punto chiave: cercare l'equilibrio tra la valutazione tecnica e quella etico-giuridica. Un insulto nei commenti a un articolo online può essere sanzionato con un ban. Ma se questo contiene un termine fortemente offensivo potrebbe essere considerato reato di diffamazione. Come intervenire? Oscurando il sito in questione oppure obbligando l'ISP a collaborare per individuare il responsabile? Il percorso non è semplice.

Resta il fatto che l'utente della Rete è diventato mediamente insensibile al tema delle responsabilità. Qualcuno potrebbe sostenere che è successo lo stesso al cittadino medio, quasi come reazione apparentemente giustificata al caos sociale di questi anni. È come se questa finestra virtuale sul mondo, che chiamiamo Internet, fosse diventata una valvola di sfogo. Tutti sanno cos'è sbagliato ma il presunto anonimato salva le coscienze.

Grasso e Boldrini

Di fronte a una donna che occupa una carica istituzionale importante. Che vanta trascorsi professionali che suscitano rispetto. L'unica risposta alla denuncia di una situazione inaccettabile è quella dell'arma bianca per proteggere il diritto alla libertà di espressione, per altro quotidianamente infangato. Lo stesso vale per quei deputati del Movimento 5 Stelle, che si sono ritrovati con le caselle di posta mail violate. Sono passati giorni e tutto tace.

Siamo di fronte a due facce della stessa medaglia. Nel primo caso tanto rumore per un problema complesso che si preferisce negare. Nel secondo caso il silenzio per una questione semplice (poiché vistosamente illegale) che viene fatta passare come una fatalità.

Si tratta di un gioco mediatico a cui partecipano attivamente tutte le parti in causa. Il problema è che la massa critica dell'utenza online non è ancora sufficientemente scafata per comprenderne i meccanismi. Potremmo considerarlo una sorta di "riflesso pavloviano" o più semplicemente riflesso condizionato. A prescindere dall'argomento basta sbandierare i termini giusti per indurre nel pubblico le reazioni volute.