L'auto-completamento di Google è perfetto per diffamare

Il Tribunale di Pinerolo ha respinto il ricorso di un immobiliarista che si ritiene diffamato quotidianamente dalla funzione di auto-completamento del motore di ricerca Google. Digitando il suo nome vengono proposti i termini "indagato" e "arrestato".

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a cura di Dario D'Elia

Un giudice del Tribunale di Pinerolo ha stabilito che Google non ha alcuna responsabilità diretta sulla funzione di auto-completamento del suo motore di ricerca. In pratica è stato respinto il ricorso di un immobiliarista che si riteneva diffamato dall'associazione del suo nome e cognome con i termini "indagato" e "arrestato". Ancora oggi l'abbinamento è attivo, ma come ha spiegato il giudice Gianni Reynaud non è presente né diffamazione, né responsabilità oggettiva del colosso statunitense.

Auto-completamento Google

La (presunta) parte lesa è stata effettivamente indagata per un appalto milionario con la regione Sicilia, e di conseguenza è inevitabile che Google abbia indicizzato contenuti editoriali che mostrino i termini incriminati. In ogni caso il motore di ricerca è neutro e la specifica funzione di auto-completamento è totalmente automatizzata. Per altro Reynaud ha ricordato anche che a parte la mancanza di ogni presupposto per giustificare un reato di diffamazione, i suggerimenti stessi fanno parte di un'interrogazione (query) e non un'affermazione. 

Insomma, Google non sarà tenuto a pagare alcun risarcimento e l'immobiliarista probabilmente dovrà convivere per tutta la vita con questo sgarbo. Al massimo per il futuro bisognerà pensare a uno strumento che possa incidere sull'algoritmo che valuta i termini per l'auto-completamento. Il colosso di Mountain View è considerato giuridicamente un Internet service provider soggetto alla direttiva sul commercio elettronico, che prevede la responsabilità dell'azienda solo se l'informazione (o il dato) trasmessa o archiviata è stata direttamente modificata.

Non meno importante il fatto che Google non è obbligato a vigilare, poiché mantiene una posizione di neutralità rispetto ai servizi erogati. "Le parole in questione non sono per loro natura epiteti offensivi, sicché la loro associazione al nome di una persona non vale, per ciò solo, a lederne la reputazione", ha sottolineato infine il giudice.