Nativi digitali italiani: la tecnologia ci rende poco umani

Secondo una ricerca Intel, in Italia un nativo digitale su due è convinto che ci renda meno umani e sia troppo presente nelle nostre vite. Di diverso avviso le over 45, tecno-fan accanite: per loro invece non se ne usa abbastanza.

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a cura di Manolo De Agostini

I giovani italiani sono poco entusiasti della tecnologia attuale. Il dato, che lascia per certi versi a bocca aperta, è contenuto nel primo Barometro Intel dell'innovazione tecnologica, una ricerca internazionale condotta in quattro paesi maturi (oltre all'Italia, gli Stati Uniti, il Giappone e la Francia) ed altrettanti emergenti (Brasile, Cina, India e Indonesia) su un campione di 12.000 adulti a partire dai 18 anni di età.

Sono gli appartenenti alla cosiddetta generazione Y, o generazione del millennio (di età compresa tra i 18 e i 24 anni), coloro insomma che la tecnologia la conoscono meglio convivendoci fin dalla nascita, a essere meno entusiasti verso la tecnologia attuale. Il 76% concorda infatti sul fatto che la tecnologia rende le persone meno umane, mentre 6 su 10 sono convinti che la società faccia troppo affidamento sulla tecnologia.

D'altro canto, però, l'86% di loro è convinto che l'innovazione tecnologica renda la vita migliore e addirittura quasi il 60% che aiuti i rapporti personali. Gli italiani hanno inoltre più fiducia dei coetanei di altri mercati sviluppati sul fatto che le innovazioni avranno un impatto positivo su istruzione (40%), trasporti (41%) e assistenza sanitaria (41%).

"A prima vista sembra che i giovani della generazione Y rifiutino la tecnologia, ma sospetto che la realtà sia molto più complessa e interessante", ha affermato Genevieve Bell, antropologa e Director of Interaction and Experience Research presso gli Intel Labs. "Un diverso tipo di lettura suggerisce che i giovani della generazione Y desiderano che la tecnologia faccia di più per loro, e dobbiamo impegnarci a renderla molto più personale e meno ingombrante".

I nativi digitali vogliono che la tecnologia renda la vita migliore, più semplice e divertente, riconoscendoli e imparando comportamenti e preferenze. Proprio per questo, in Italia, la generazione Y è più propensa a rendere pubbliche le informazioni personali rispetto ai concittadini più anziani, con il 59% disposto a condividere la data di nascita, il 46% i dati GPS, il 59% le e-mail, il 51% lo storico degli acquisti e addirittura il 44% i dati genetici.

Di contro, le donne over 45, tipicamente in carriera o mamme, sono le più ottimiste riguardo le innovazioni in campo tecnologico fino a sostenere, in aperto contrasto con i giovani, che non usiamo ancora abbastanza tecnologia nella vita di tutti i giorni. Sono inoltre particolarmente propense ad affermare che la tecnologia ci renda più umani e consenta di approfondire le relazioni interpersonali.

Le donne italiane sono inoltre maggiormente disposte ad accettare tecnologie che per le coetanee di altre nazioni potrebbero essere considerate troppo personali, come software che osservano le loro abitudini lavorative (70%) e monitorano le abitudini di studio degli studenti (70%) e persino bagni intelligenti che tengono sotto controllo la loro salute (74%).

"Storicamente le donne sono diventate utenti accanite di tecnologia quando la stessa si è dimostrata in grado di risolvere i loro problemi, aiutandole a organizzare la loro vita e quella della loro famiglia, oltre che a risparmiare del tempo prezioso", ha aggiunto Bell. "Mi chiedo se ciò che i dati raccolti ci dicono è che le donne sono ottimiste perché riscontrano che l'innovazione tecnologica sta iniziando a trasformare in realtà la promessa di inserirsi meglio nei ritmi dei nostri giorni, aiutandoci a risolvere problemi e bisogni specifici e creando nuove esperienze coinvolgenti, che saranno preziose allo stesso modo per uomini e donne".

La ricerca ha anche rivelato che i cittadini più benestanti sono disposti a fornire dati personali in misura maggiore rispetto ad altre categorie. In Italia, in particolare, l'80% delle persone ad altro reddito condividerebbe analisi di laboratorio rispetto al 68% degli individui con reddito più basso, così come le destinazioni dei loro viaggi (74% contro 43%) o le date degli stessi (71% contro 44%).

In termini d'innovazione hi-tech, infine, l'Italia si conferma ultima tra le grandi e i paesi emergenti, sia nella percezione degli italiani sia di tutti gli altri intervistati. Un dato poco lusinghiero, considerando anche che la maggioranza degli intervistati (il 77% in Italia) crede che la propensione all'innovazione di una nazione sia un fattore importante di benessere sociale. Gli italiani sono però paradossalmente tra i primi nel mondo per passione: uno su due, una percentuale elevata, dichiara di rincorrere sempre gli ultimi gingilli tecnologici. Gli uomini in particolare (45%) sono più propensi a stare al passo con il progresso della tecnologia e a possedere il dispositivo più recente rispetto alle donne (37%). Lo stesso vale in altre nazioni, a eccezione dell'India.

All'Italia, infine, spetta un altro primato negativo: solo 7 italiani su 100 riconoscono nel Governo una forza trainante per l'innovazione tecnologica nel Paese. Peggio di noi, nessun altro. Un italiano su tre preferisce infatti confidare nella lungimiranza e nel traino sia delle grandi aziende sia delle tante piccole e medie imprese.