Sony sbaglia ancora, dopo Spotify se la prende con Internet Archive

Sony e altre etichette musicali fanno causa a Internet Archive per la digitalizzazione di vecchi dischi

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Internet Archive è un progetto indipendente votato alla conservazione delle informazioni, e oggi è una risorsa che tutti possono usare per documentarsi sulla storia recente. Occasionalmente, qualcuno ha sfruttato il sito anche per dell’ordinaria pirateria - ma quest’ultima resta un fenomeno globale che si manifesta in altri luoghi e in altri modi.

Di recente, Internet Archive ha aggiunto il progetto Great 78 Project, che consiste nella digitalizzazione di vecchi dischi a 78 giri - i cui ultimi esemplari furono venduti negli anni ‘60 del secolo scorso.

Un progetto che potrebbe sembrare lodevole ma Sony Music Entertainment, Universal Music Group e una manciata di altre etichette musicali hanno intentato una causa contro l'organizzazione no-profit. L’accusa è la solita: violazione del diritto d'autore, in particolare per aver "intenzionalmente caricato, distribuito e trasmesso digitalmente" registrazioni sonore precedenti al 1972.

Per quanto riguarda Sony in particolare, sembra il remake di un vecchio film: il colosso giapponese anni fa si era opposto strenuamente alla nascita di Spotify, finendo poi per cedere di fronte al fatto compiuto. Se ne parla anche nella serie The Playlist su Netflix.

Oggi si sta alzando l’ennesimo polverone legale per musica molto vecchia. Ciò non significa che sia musica dimenticata, perché molti dei brani in questione sono ancora ascoltati ogni giorno da moltissime persone. Proprio questo aspetto sarebbe problematico: siccome la musica in questione è già disponibile sulle piattaforme di streaming, allora non ci sarebbe bisogno di uno sforzo di conservazione da parte di The Internet Archive.

Solo che, ovviamente, Spotify non è un ente no-profit votato alla conservazione.

Secondo i querelanti le attività di The Internet Archive "superano di gran lunga" gli scopi della conservazione e della ricerca: si tratterebbe cioè della solita pirateria. Come riporta Bloomberg, le etichette chiedono danni legali fino a 150.000 dollari per ogni registrazione sonora protetta, che potrebbero arrivare a 372 milioni di dollari per le registrazioni elencate.

Immagine di copertina: melis