Transistor del futuro, a Pisa si studiano nuovi materiali

Università di Pisa, IIT, MIT di Boston e altri atenei stanno studiando l'uso di una classe di materiali bidimensionali che potrebbero risultare utili per rimpiazzare il silicio nei chip elettronici del futuro.

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a cura di Manolo De Agostini

Non c'è solo il grafene nella corsa alla realizzazione di chip elettronici sempre più avanzati, capaci di offrire prestazioni superiori a quelle delle attuali proposte basate sul silicio. Anzi, il grafene potrebbe non essere nemmeno la risposta migliore alle necessità dell'industria dell'elettronica: non è realmente un semiconduttore, ha un gap di energia nullo e perciò non permette ai transistor – che funzionano come un interruttore - di spegnersi totalmente.

La risposta ai bisogni del settore potrebbe venire da una classe di materiali bidimensionali che mostra un gap di energia simile a quello del silicio, oltre ad altre proprietà molto interessanti. A studiare questi materiali i ricercatori dell'Università di Pisa, insieme ai colleghi dell'Istituto Italiano di Tecnologia, del Massachusetts Institute of Technology, dell'Università di Notre Dame, dell'Università di Dallas, della società di ricerca AMO e di Texas Instruments. Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology.

Si tratta di "ricerca di frontiera", come l'ha definita Giuseppe Iannaccone, professore del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Ateneo pisano a Tom's Hardware. Le premesse però sono buone: secondo il professore le simulazioni a livello atomistico hanno permesso di capire che questi materiali offrono prestazioni ottime fino a 5 nanometri, ma i limiti potrebbero essere ben altri.

Anche nella produzione di chip al silicio - sebbene Iannacone abbia ricordato che gli attuali transistor sono formati in divere parti da altri materiali - si potrebbero toccare i 5-7 nanometri, ma la convenienza economica potrebbe non esserci. Per questo si va alla ricerca continua di nuovi materiali che abbinino alte prestazioni, capacità di scaling e soprattutto economicità, in un'ottica di produzione in volumi.

"Negli ultimi anni la comunità scientifica ha mostrato un forte interesse per i materiali bidimensionali come sostituti del silicio in elettronica", ha affermato Gianluca Fiori del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa. "Materiali dello spessore di un solo atomo come i calcogenuri dei metalli di transizione (TMD), il seleniuro di bismuto o il grafene, che per questo motivo sono promettenti per la realizzazione di transistor piccolissimi, fino a cinque nanometri, mentre quelli attuali sono circa 20 nanometri. Per rendersi conto delle dimensioni, un virus è circa 100 nanometri, un batterio è circa mille nanometri, e lo spessore di un capello è circa centomila nanometri".

"Questo studio è il risultato di una serie di progetti finanziati dalla commissione europea e del progetto di collaborazione fra l'Università di Pisa e il MIT Boston", ha sottolineato Iannaccone. "La tecnologia di produzione e di lavorazione di questi materiali è ancora allo stato embrionale, per cui si tratta di ricerche di frontiera fortemente interdisciplinari, con un orizzonte temporale a medio e lungo termine. A oggi, oltre ai transistor, questi materiali sembrano particolarmente promettenti per la realizzazione di sistemi elettronici flessibili per sistemi indossabili o applicati su superfici curve".