È durato solo un'ora il mancato funzionamento di WhatsApp in tutto il mondo - dalle 9 alle 10 in Italia - ma è bastato per scatenare se non il panico, una buona dose di apprensione globale. Eccesso di dipendenza digitale?
D'altronde si tratta della chat più usata al mondo, con più di 1 miliardo di utenti che ogni giorno si scambiano 55 miliardi di messaggi e condividono, sempre quotidianamente, 4,5 miliardi di foto e 1 miliardo di video in 60 lingue, per non parlare delle conversazioni e delle videochiamate. Con numeri così è facile che per molti anche un'ora possa sembrare un'eternità.
Certo, ci sono miriadi di altre app di messaggistica e poi i social. Le occasioni e gli strumenti per comunicare non mancano, anzi sono pure troppe e ci si perde a rincorrerle. WhatsApp è però quella universale, trasversale su dispositivi mobili e desktop, spesso invasiva e fastidiosa ma al tempo stesso quasi irrinunciabile. Amata e odiata, densa di sciocchezzai e tormentoni ma anche strumento di lavoro che si è rivelato fondamentale durante le emergenze di protezione civile. Come spesso accade con le opportunità messe a disposizione dal mondo digitale, la differenza la fa l'approccio.
Un tempo, nell'era pre internet, erano soprattutto i black out elettrici a provocare sgomento. Come quello che si verificò dal 13 al 14 luglio del 1977 a New York. Per ventiquattr'ore la città si trasformò in una Blade Runner senza legge, con la chiusura della metropolitana e degli aeroporti, centinaia di incendi appiccati dai delinquenti, devastazioni, violenze.
Si diceva che nove mesi dopo ogni lungo black out ci fosse un'impennata di nascite. Senza energia elettrica e televisione, la gente riprendeva a fare sesso. Forse si trattava di leggende metropolitane. Il black out di WhatsApp è durato solo un'ora. Fosse durato di più, chissà.
D'altronde, per dirla con Torquato Tasso, perduto è tutto il tempo che in amor non si spende.