Google, Meta e Microsoft aumenteranno ulteriormente gli investimenti nelle infrastrutture necessarie per sostenere la corsa all'IA, con previsioni di spesa ancora più elevate per il 2026. Una strategia che arriva proprio mentre analisti e mercati dibattono se il boom dell'intelligenza artificiale non si stia trasformando in una pericolosa bolla speculativa.
Le cifre in gioco sono impressionanti e continuano a crescere. Google ha rivisto al rialzo le sue stime di spesa in conto capitale per quest'anno, portandole tra i 91 e i 93 miliardi di dollari. Si tratta di un aumento significativo rispetto agli 85 miliardi annunciati lo scorso luglio, che già rappresentavano una revisione al rialzo delle previsioni di aprile. Il CEO Sundar Pichai ha giustificato questa escalation con la necessità di soddisfare la domanda dei clienti e capitalizzare le opportunità crescenti. I ricavi del trimestre hanno toccato il record di 102,3 miliardi di dollari.
Microsoft ha registrato spese in conto capitale pari a 34,9 miliardi di dollari nell'ultimo trimestre, un balzo notevole rispetto ai 24,2 miliardi del periodo precedente. La direttrice finanziaria Amy Hood ha spiegato agli investitori che la domanda di capacità di cloud computing ha nuovamente superato l'offerta disponibile. L'azienda di Redmond ha annunciato che nel 2026 spenderà più di quanto fatto nel 2025, incrementando gli investimenti sia in GPU che in CPU. I ricavi sono saliti del 18%, sfiorando i 78 miliardi di dollari.
Anche Meta ha seguito la stessa traiettoria, aggiornando le previsioni di spesa per il 2025 a una forchetta tra 70 e 72 miliardi di dollari, rispetto alla precedente stima massima di 72 miliardi. La CFO Susan Li ha avvertito che il 2026 porterà ulteriori aumenti, trainati principalmente dai costi delle infrastrutture per l'intelligenza artificiale. Il social network ha superato le attese di Wall Street con ricavi trimestrali di 51,2 miliardi di dollari, contro stime di 49,5 miliardi.
Secondo stime precedenti a questo trimestre, questi tre giganti insieme ad Amazon avrebbero dovuto investire complessivamente 320 miliardi di dollari nel 2025, prevalentemente destinati alle infrastrutture per l'IA. Una somma superiore al PIL di molti paesi e quasi equivalente ai ricavi totali che un gigante come ExxonMobil ha generato nel 2024. Con gli ultimi annunci, questa cifra è destinata a salire ulteriormente.
Il dibattito sulla sostenibilità di questi investimenti si è intensificato nelle ultime settimane. Gil Luria, analista azionario di DA Davidson, adotta una posizione equilibrata sulla questione della possibile bolla. "Queste aziende rappresentano una domanda reale", ha affermato. "Quindi se stanno acquistando più chip e costruendo più data center, è un segnale positivo". Tuttavia, Luria riconosce anche elementi preoccupanti: prestiti miliardari per investimenti speculativi e spese circolari, come quelle di Nvidia che investe nel fornitore di cloud computing CoreWeave, rappresentano comportamenti poco sani.
Un'anticipazione di questa ondata di spesa era arrivata martedì dal CEO di Nvidia, Jensen Huang, che aveva rivelato come la sua azienda avesse ricevuto ordini per 500 miliardi di dollari di chip per intelligenza artificiale. Jacob Sonnenberg, gestore di portafoglio presso Irving Investors di Denver, ha sottolineato che i risultati di mercoledì hanno confermato quanto dichiarato da Huang. "Le tendenze di spesa in conto capitale stasera hanno confermato ciò che Jensen aveva detto", ha commentato. "La gente si aspettava numeri importanti e ha ottenuto numeri importanti".
Anche se non si tratta di una bolla, questo ritmo di investimenti nell'IA non può continuare all'infinito, avverte Sonnenberg. Gli investitori si trovano così a dover prevedere quando arriverà il rallentamento. Alcuni segnali potrebbero già esserci: all'inizio di questo mese, Apptopia, che monitora l'utilizzo delle applicazioni, ha riportato che gli utenti attivi di OpenAI hanno iniziato a stabilizzarsi.
Secondo Luria, se anche si dovesse materializzare una bolla, le conseguenze non colpirebbero tanto i colossi tecnologici, che possono contare su milioni di clienti e utilizzare comunque la capacità computazionale accumulata. Il vero problema riguarderebbe altre aziende più a valle nella catena del valore. "Il problema sono CoreWeave, Oracle e società simili", ha spiegato. "Se dovessero ritrovarsi bloccate con questa capacità, non saprebbero cosa farne. Non hanno clienti, non hanno un uso interno di queste risorse. È lì che si manifesteranno i problemi".