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Le aziende che fanno AI in Italia? Tante, ma troppe sono solo rivenditori di API

Nicola Grandis discute della competitività europea nell’Intelligenza Artificiale, delle sfide normative e delle opportunità per l’Europa, chiamata a rinnovarsi e a tornare protagonista nel panorama tecnologico globale.

Avatar di Valerio Porcu

a cura di Valerio Porcu

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 15/10/2024 alle 09:30
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Negli Stati Uniti, la sfida tecnologica si misura in migliaia di GPU e gigawatt di corrente: chi possiede più potenza di calcolo, vince. Ma l’Europa, secondo Nicola Grandis, fondatore e CEO di ASC27, non può competere su questo fronte. Le aziende europee, spiega Grandis, devono distinguersi puntando su innovazione etica, protezione dei dati e sviluppo di idee uniche per mantenere la propria competitività. Grandis invita a ripensare il modello di intelligenza artificiale europea, sfruttando normative come il GDPR per creare una tecnologia etica e sicura, e sviluppando soluzioni sostenibili in grado di reggere il confronto con le grandi potenze.

Nell’intervista, Grandis tocca argomenti centrali per il futuro dell’AI europea, a partire dalla competizione con gli USA e il ruolo della regolamentazione sui dati. Riflette sul divario tecnologico europeo dovuto alla mancanza di risorse hardware e alla differente disponibilità di energia. Parla della necessità di riscoprire la tradizione europea di innovazione e intelligenza pratica, sottolineando le differenze tra l’AI reale e la “finta AI” diffusa tra molte aziende italiane. Conclude poi con una riflessione sulle opportunità dell’AI nella pubblica amministrazione e l’importanza di applicarla con attenzione, per garantire la sicurezza e il rispetto della privacy dei cittadini.

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Competitività nell’AI: un confronto impari con gli Stati Uniti?

Una delle questioni centrali toccate da Grandis è la competitività dell’Europa rispetto agli Stati Uniti, un tema che, secondo lui, diviene sempre più rilevante alla luce della crescente competizione tecnologica. Grandis sottolinea che negli Stati Uniti la concorrenza nell’AI è largamente basata sull’accesso a enormi quantità di potenza di calcolo. «La competition si è spostata su quanti chilometri di GPU e gigawatt di corrente puoi permetterti», spiega, evidenziando come questo tipo di confronto sia poco sostenibile per l’Europa. Infatti, le aziende statunitensi hanno accesso a risorse di hardware difficilmente reperibili in Europa, dove la disponibilità è ridotta. «Negli Stati Uniti si possono acquistare centinaia di migliaia di GPU, mentre in Europa probabilmente arriviamo a malapena a 20-30 mila unità,» aggiunge.

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Questa disparità porta Grandis a riflettere su come l’Europa debba trovare alternative per competere. Piuttosto che puntare alla corsa quantitativa, propone un approccio più mirato, che valorizzi innovazione e sviluppo di idee e brevetti esclusivi. Secondo Grandis, questa è la via per una competizione sostenibile e “su misura” per le caratteristiche e i valori europei. La forza dell’Europa, sostiene, sta infatti nelle idee e nei modelli etici: una regolamentazione trasparente e coerente, se applicata con pari vincoli a tutte le aziende, europee e non, potrebbe trasformarsi in un vantaggio competitivo anziché in un limite.

Regolamentazione, ostacolo o risorsa?

Un’altra tematica cruciale è quella della protezione dei dati. Le norme europee, come il GDPR, sono spesso considerate un ostacolo alla crescita delle aziende tecnologiche, specialmente in un settore che, come l’AI, si basa sulla raccolta e l’analisi di grandi quantità di informazioni. Molte aziende statunitensi, ad esempio, hanno lamentato le difficoltà di adeguamento al GDPR e il rischio di limitazioni operative in Europa, e casi come quello di OpenAI e Meta dimostrano quanto l’Europa sia rigida su questo fronte.

Grandis nota che queste normative europee hanno un impatto diverso a seconda delle aziende, osservando che «se queste normative poi vengono applicate devono essere applicate anche ai soggetti non europei che vogliono lavorare qui». 

Grandis riconosce che le normative europee in materia di protezione dei dati possono aumentare i costi operativi per le aziende locali, ma sottolinea anche che queste regolamentazioni garantiscono una tutela superiore per i consumatori e promuovono un approccio etico nell’uso delle tecnologie. La regolamentazione non è né un bene né un male assoluto, ma deve essere neutrale e applicata allo stesso modo per tutte le aziende, indipendentemente dalla nazionalità. 

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Una regolamentazione imparziale, sostiene Grandis, porterebbe maggiore equità, contrastando eventuali favoritismi verso le grandi multinazionali statunitensi, che, in passato, hanno avuto “backdoor” per evitare le sanzioni imposte dalla normativa europea.

L’etica e la sicurezza nei trattamenti dei dati non sono solo una questione morale, ma anche un vantaggio competitivo per le aziende europee. Questo approccio protegge i diritti dei cittadini e potrebbe incentivare gli utenti a preferire tecnologie sviluppate nel rispetto dei propri dati. Inoltre, Grandis sottolinea che una regolamentazione chiara fornisce una sorta di “scudo” legale per le aziende che, rispettando tali regole, sono al riparo da sanzioni e problematiche giudiziarie.

Energia e risorse hardware

Un ulteriore aspetto, strettamente legato alla competitività, è quello dell’accesso alle risorse hardware, tra cui GPU e capacità di calcolo, e alla disponibilità di energia. Grandis evidenzia che, mentre negli Stati Uniti le risorse hardware sono abbondanti, in Europa la disponibilità è ridotta, e questo genera uno svantaggio competitivo significativo per le aziende del continente. Tuttavia, anziché vedere questa limitazione come un freno, Grandis suggerisce che possa essere l’occasione per sviluppare un approccio più creativo e meno dispendioso alle risorse. Richiama alla memoria l’esperienza europea in passato, con invenzioni chiave come la radio di Marconi o la pila di Volta, che hanno avuto un impatto globale senza l’uso di risorse sproporzionate.

Noi 600.000 GPU non le abbiamo nemmeno nel nostro continente

Questa visione si lega all’idea che l’Europa debba riscoprire il suo spirito inventivo e puntare su soluzioni che non siano solo grandi ma anche etiche e durature. Grandis lancia anche un monito: bisogna evitare errori storici come la cessione della tecnologia del primo personal computer italiano a IBM, evento che ha impedito all’Italia di mantenere una posizione dominante nell’informatica. Le aziende europee, dunque, dovrebbero lavorare per creare prodotti competitivi non in base alla potenza ma alla qualità e alla durabilità.

La situazione italiana

Stimolato sulla situazione italiana nell’AI, la risposta è pragmatica e critica: Grandis sottolinea che la maggior parte delle aziende italiane etichettate come “AI” in realtà si limita alla rivendita di API sviluppate da terzi, e non si occupa di innovazione in prima persona. «Probabilmente il 85-90% delle AI visibili in Italia sono di questo tipo», osserva Grandis, aggiungendo che si tratta di un fenomeno comune anche in altri Paesi, ma che in Italia ha assunto proporzioni rilevanti. La critica tocca anche la mancanza di competenze avanzate nel settore, e l’abbondanza di iniziative superficiali e poco concrete.

quando si porta l’AI nella PA, ecco, è un pelino più complesso che portare i AI su una linea di produzione dei pomodori pelati inscatolati

Tuttavia, Grandis nota che esistono anche realtà italiane molto valide, molte delle quali sono spin-off universitari che portano avanti ricerche significative. Queste aziende si dedicano all’innovazione autentica e, nonostante siano numericamente limitate, rappresentano un segnale positivo per il futuro del settore in Italia. Il tempo, sostiene Grandis, permetterà di distinguere le aziende genuine da quelle che si affidano a presentazioni in PowerPoint, un fenomeno a cui è spesso esposta la pubblica amministrazione e che rischia di creare illusioni tecnologiche.

Grandis riflette anche sull’impatto che l’AI può avere nel settore pubblico. Sebbene la pubblica amministrazione potrebbe trarre enormi benefici dall’AI, soprattutto in aree come la sanità e la fiscalità, vi sono ostacoli significativi legati alla gestione dei dati sensibili. Come sottolinea Grandis, «portare AI nella pubblica amministrazione richiede accorgimenti particolari». Anche il semplice consenso all’utilizzo dei dati non è sufficiente, poiché spesso tale consenso è legato a fini specifici e potrebbe non coprire nuovi utilizzi come l’addestramento di modelli AI.

Questo contesto rende complessa l’adozione dell’AI nel settore pubblico, ma Grandis sottolinea che, con una pianificazione attenta e la garanzia della sicurezza dei dati, queste tecnologie potrebbero migliorare drasticamente l

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