L'intelligenza artificiale sta ridisegnando le alleanze globali attraverso accordi che promettono di trasformare il Medio Oriente in un hub tecnologico di portata mondiale. Gli Stati Uniti hanno siglato partnership strategiche con gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita, creando un ecosistema di collaborazione che va ben oltre il semplice scambio commerciale. Questi accordi rappresentano una mossa geopolitica audace che potrebbe ridefinire gli equilibri di potere nel settore dell'intelligenza artificiale.
Le intese prevedono che Washington fornisca tecnologie avanzate, schede grafiche e modelli di IA ai partner mediorientali, permettendo loro di sviluppare capacità autonome nel campo dell'intelligenza artificiale. In cambio, Emirati e Arabia Saudita finanzieranno la costruzione di nuovi data center sul territorio americano, creando una simbiosi tecnologica ed economica senza precedenti.
La scelta di questi partner non è casuale. Come spiega l'esperto Luca Sambucci, fondatore della startup AI Security, l'energia rappresenta un fattore cruciale: "Parliamo di paesi produttori di petrolio, i più grandi al mondo, e dall'altra parte il sole non manca, quindi l'energia ce l'hanno". I data center, notoriamente energivori, trovano in questi territori le condizioni ideali per operare a costi contenuti.
La strategia del contenimento cinese
Dietro queste partnership si nasconde una strategia geopolitica più ampia. L'obiettivo principale di Washington non è tanto l'espansione commerciale, quanto il contenimento dell'influenza cinese in una regione strategicamente vitale. "Il grande avversario degli Stati Uniti non sono i paesi arabi ma è la Cina", chiarisce Sambucci. "L'accordo ha diversi vantaggi geopolitici, primo fra tutti quello di cercare di tenere lontana la Cina da questi paesi".
La Cina, infatti, non può accedere facilmente alle tecnologie americane a causa degli embarghi imposti da Washington. Le stesse GPU che vengono negate a Pechino vengono invece offerte generosamente ai partner del Golfo, creando un paradosso che non è sfuggito agli analisti. Questo approccio selettivo rivela quanto sia centrale la competizione sino-americana nel plasmare le dinamiche globali dell'IA.
Tuttavia, questa strategia comporta rischi significativi. Singapore è già emersa come potenziale canale di aggiramento delle sanzioni, con un mercato di GPU che è "cresciuto" proprio dopo l'imposizione dei divieti alla Cina. Lo stesso fenomeno potrebbe ripetersi in Medio Oriente, dove il controllo sulla destinazione finale delle tecnologie si presenta come una sfida complessa.
Gli Stati Uniti stanno tentando di mitigare questi rischi attraverso sistemi di telemetria sui chip, che dovrebbero permettere di tracciare i dispositivi anche dopo la vendita. Tuttavia, come ammette lo stesso Sambucci, "sono poco fiducioso rispetto a questo approccio, perché hanno preso delle contromisure però abbiamo già visto come queste contromisure finora hanno funzionato in modo imperfetto".
Il dilemma democratico
La questione più delicata riguarda la natura dei regimi coinvolti. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti non sono certamente modelli di democrazia, eppure ricevono tecnologie che potrebbero essere utilizzate per rafforzare sistemi di controllo sociale. "Questi paesi hanno già dei sistemi di sorveglianza estremamente estesi", osserva Sambucci, citando piattaforme come Falcon AI che integrano "modelli multimodali che uniscono video, audio e intelligence open source".
Il rischio di quella che viene definita "repressione preventiva" è concreto. L'intelligenza artificiale può ridurre drasticamente i costi del controllo sociale, rendendo possibile una sorveglianza di massa senza precedenti. Washington sembra aver calcolato questo rischio, puntando su garanzie più politiche che tecniche per prevenire abusi eccessivi.
Il gap europeo
L'Europa, intanto, osserva da bordo campo questa partita geopolitica. Il continente sconta ritardi significativi sia nell'approvvigionamento energetico che negli investimenti. "Entro fine anno i centri europei avranno carenza di capacità, nonostante aumenteranno del 22% di nuovi megawatt", spiega Sambucci. "In Europa parliamo di megawatt mentre Stati Uniti e Golfo parlano già di gigawatt".
La divergenza negli investimenti è ancora più marcata. Il progetto Stargate americano prevede 500 miliardi di dollari, mentre l'intero capex europeo si aggira sui 100 miliardi. Senza un'accelerazione infrastrutturale, avverte l'esperto, "l'Unione Europea diventerà un cliente che acquista calcolo altrui".
La soluzione potrebbe arrivare da un approccio coordinato, simile al modello Airbus. "Dovremmo affrontare la questione energetica e di approvvigionamento di chip usando un fondo sovrano per il compute", suggerisce Sambucci. "Diversi paesi si mettono insieme, partenariato pubblico-privato, per acquistare GPU, server, energia su scala continentale".
La storia di OpenAI
In chiusura, Sambucci consiglia un libro. Si tratta di Empire of AI: Dreams and Nightmares in Sam Altman's OpenAI di Karen Hao. "Un libro che racconta la storia di un'azienda centrale nel mondo IA, difficile da seguire dall'interno. Hao lo ha fatto con un occhio critico, andando oltre l'hype attuale".
Gli accordi tra Stati Uniti e paesi del Golfo rappresentano dunque un banco di prova per il futuro dell'intelligenza artificiale globale. Da un lato, dimostrano come la tecnologia sia diventata uno strumento di soft power e alleanza strategica. Dall'altro, sollevano interrogativi profondi sui valori democratici e sui rischi di una corsa tecnologica senza adeguate salvaguardie etiche.