Una nuova class action, depositata presso la corte distrettuale della Florida, accusa un colosso bancario di mancato pagamento dei salari. Al centro della disputa c'è il tempo, stimato tra gli 8 e i 15 minuti quotidiani, che i dipendenti dei call center impiegano per l'avvio (boot) dei sistemi informatici prima dell'inizio ufficiale del loro turno.
Sebbene 10 minuti al giorno possano sembrare trascurabili, accumulati su migliaia di dipendenti, rappresentano un potenziale risparmio illecito per l'azienda e una violazione del Fair Labor Standards Act (FLSA), la legge federale statunitense sugli standard di lavoro. Il fenomeno rientra in quella che viene definita "wage theft" (furto salariale).
I querelanti sostengono che l'avvio dei computer e l'accesso a molteplici applicativi (come Avaya e NICE) non sono attività preparatorie facoltative, ma compiti "integrali e indispensabili" per poter svolgere la mansione principale di operatore di call center. Senza questo avvio, il lavoro semplicemente non può iniziare. La causa, che vede coinvolta Bank of America, punta a dimostrare che questo tempo doveva essere registrato e retribuito.
La strategia della banca, secondo l'accusa, sarebbe stata quella di far timbrare il cartellino virtuale solo dopo che i sistemi erano pienamente operativi. Questo disallineamento tra l'inizio dell'attività richiesta e l'inizio della retribuzione è il cuore della violazione contestata.
Questa pratica, se confermata, evidenzia un'area grigia che molte aziende potrebbero sfruttare. La digitalizzazione dei processi lavorativi sposta l'onere dell'avvio tecnologico sul dipendente, ma la legislazione spesso fatica a tenere il passo con la definizione di "tempo di lavoro effettivo", un tema che avevamo già analizzato esplorando i confini del controllo datoriale nello smart working.
Un precedente pericoloso
La società (Bank of America), che non ha ancora commentato ufficialmente la causa, si trova ora a fronteggiare una battaglia legale che potrebbe creare un precedente significativo. Non è la prima volta che il settore finanziario o tecnologico affronta cause simili; già in passato altre grandi aziende sono state citate per pratiche analoghe per il lavoro pre-turno non retribuito.
Le aziende che implementano infrastrutture IT complesse devono considerare il costo della prontezza operativa. Se l'infrastruttura richiede tempi di avvio significativi, quel tempo è a carico dell'efficienza aziendale o deve essere scaricato, non pagato, sul lavoratore?
Sicuramente, d'altra parte, esiste anche una questione di cosa fa il lavoratore in quei dieci minuti. Può capitare che non ci siano altre mansioni da svolgere, e magari diventa una pausa caffè; tuttavia, non è il lavoratore che decide di fermarsi, perché si sta solo adeguando ai tempi tecnici imposti dall'azienda stessa - che resta responsabile dei relativi costi.
La vicenda non è un semplice contenzioso tecnico-legale, ma lo specchio di una tensione crescente. Da un lato, la tecnologia ottimizza i processi; dall'altro, genera nuove forme di lavoro "ombra" non riconosciuto. Mentre si discute di produttività e intelligenza artificiale come strumenti di supervisione, questa causa ci riporta a una domanda fondamentale: chi paga per i tempi morti imposti dalla tecnologia stessa?