La Commissione Europea avrebbe deciso di rimandare l'annuncio di una multa contro il gigante tecnologico americano per le sue pratiche nel settore della pubblicità digitale, temendo rappresaglie da parte dell'amministrazione Trump. Nelle stesse ore è stato invece emesso un verdetto negli Stati Uniti che certifica l'abuso di posizione dominante da parte di Google.
Secondo fonti interne riportate da Bloomberg, l'1 settembre era stata inizialmente identificata come la data in cui Google avrebbe ricevuto una sanzione e l'ordine di modificare il proprio modello di business nel settore AdTech. Tuttavia, con l'avvicinarsi della scadenza, alti funzionari della Commissione Europea esterni al team antitrust hanno espresso preoccupazioni crescenti. Il timore principale riguarda la possibilità che l'amministrazione Trump possa rispondere annullando i progressi recenti negli accordi commerciali transatlantici o imponendo nuove tariffe doganali.
Questo cambio dell'ultimo minuto potrebbe posticipare l'annuncio delle sanzioni di giorni o addirittura settimane. Le stesse fonti suggeriscono che i tempi potrebbero slittare ulteriormente, con la possibilità che anche le misure correttive vengano modificate durante le consultazioni tra funzionari europei e americani.
Il nuovo approccio di Teresa Ribera
La strategia più morbida dell'Unione Europea nei confronti di Google riflette anche il cambio di filosofia nella gestione delle politiche antitrust. Teresa Ribera, il nuovo capo antitrust dell'UE, privilegia un approccio orientato alla cessazione delle pratiche anticoncorrenziali piuttosto che all'imposizione di multe punitive. Secondo Reuters, questa nuova linea si tradurrebbe in sanzioni più moderate rispetto ai 4,3 miliardi di euro che Google fu costretta a pagare in un precedente caso del 2018.
L'approccio di Ribera rappresenta una rottura significativa con la strategia precedente, che aveva caratterizzato l'UE come uno dei regolatori più aggressivi al mondo nei confronti delle Big Tech americane. Questa evoluzione potrebbe segnare l'inizio di una fase più diplomatica nella regolamentazione del settore tecnologico.
Le origini del caso risalgono al 2014, quando la Commissione Europea iniziò ad accusare Google di abusare della sua posizione dominante nel mercato della pubblicità digitale. L'accusa principale riguarda l'utilizzo del potere di mercato su entrambi i lati della catena di fornitura, favorendo la propria piattaforma AdX nelle aste pubblicitarie per creare un vantaggio competitivo sleale.
Google ha sempre respinto queste accuse, sostenendo che servire contemporaneamente inserzionisti ed editori rappresenta una pratica standard del settore. L'azienda ha inoltre argomentato che anche i concorrenti operano modelli di business simili nel settore AdTech, e che le tecnologie integrate permettono connessioni di alta qualità tra le diverse parti del mercato pubblicitario.
Mentre l'Europa temporeggia, Google affronta pressioni analoghe negli Stati Uniti. Un giudice federale ha recentemente dato ragione al Dipartimento di Giustizia americano, stabilendo che l'azienda ha mantenuto illegalmente monopoli in settori chiave dell'industria pubblicitaria online. Il processo per determinare le misure correttive conseguenti a questa sentenza è programmato per la fine di settembre, creando un fronte giudiziario multiplo per il gigante tecnologico.
Questa convergenza di pressioni normative su entrambe le sponde dell'Atlantico dimostra come il settore della pubblicità digitale sia diventato un campo di battaglia cruciale nella regolamentazione delle piattaforme tecnologiche globali, dove considerazioni commerciali e geopolitiche si intrecciano in modo sempre più complesso.