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A Land Called Tarot, recensione: ermetica bellezza

A Land Called Tarot è un volume straordinario. Del tutto privo di parole, richiede al lettore di essere assimilato e decodificato, grazie a tavole di rara bellezza.

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Avatar di Raffaele Giasi

a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Pubblicato il 04/03/2019 alle 15:46

Affrontare un fumetto muto, senza nulla più che qualche onomatopea, non è mai semplice. Non lo è per un motivo ideologico: l'essere ancorati alla scrittura a fumetti per mezzo del connubio di testo e immagini, che senza una delle due parti finisce inevitabilmente per creare un cortocircuito nel lettore.

Il primo e più evidentemente sintomo di una situazione simile è quello di correre tra le pagine, concludendo la lettura, o meglio “la visione” dell'opera in una manciata di minuti. Difficilmente potrete incorrere in un errore peggiore.

A Land Called Tarot, come avrete capito, è un fumetto privo di parole, che racconta sé stesso ed il mondo da cui è letteralmente estrapolato per mezzo delle sole immagini. Immense, potenti, bellissime, così ricche di dettagli che la corsa a perdifiato tra le sue pagine sarebbe un sacrilegio, più che un peccato vero e proprio.

Uscito due anni fa ad opera di Gael Bertrand, arriva in Italia grazie ad Edizione BD, che lo propone nel formato originale e con copertina rigida, ad un prezzo francamente onesto (appena 16 euro). Il volume nasce dalle ceneri di Island, la rivista di racconti antologici nata nel 2015 ad opera di Image Comics, su cui Bertrand ha effettivamente fatto il suo esordio al grande pubblico, essendo più che altro noto, al di la del fumetto, per il suo lavoro di design nel mondo del videogame.

E proprio il videogame è, in effetti, un'evidente ispirazione per A Land Called Tarot, che in più di un momento dà bella mostra di sé per mezzo di illustrazioni che sembrano prese di pese da una produzione videoludica. Siamo dalle parti di titoli come Dragon Quest o Ni No Kuni, seppur solo ideologicamente, visto che Bertrand sembra rifarsi più che altro ad artisti manga come Toriyama, per l'occasione in un inedito connubio con l'arte di Moebius e, in particolare, del suo Arzach. Già solo a questo punto capirete si che cifra artistica stiamo parlando. Un connubio che parrebbe paradossale, per certi versi inapplicabile, e che invece per Bertrand si traduce in un continuo stato di grazia, con illustrazioni, più che tavole, di rara potenza visiva.

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La storia è quella del Cavaliere di Spade, un ragazzo che compierà diversi viaggi alla scoperta di quello che sembra una sorta di mistero trascendentale, nella nuova comprensione del mondo che lo circonda e dei misteri che in esso si annidano. Dire di più sarebbe, francamente, superfluo, perché l'opera di Bertrand nel suo impressionante impatto visivo è, allo stesso tempo, fortemente ermetica, e lascia al lettore la libera interpretazione del viaggio del Cavaliere, scomposto per altro in tre racconti diversi, ognuno dei quali ispirato ad una carta dei tarocchi: La Torre, Il Mago e L'Eremita.

La storia, come detto completamente priva di qualunque forma di parola che sia l'onomatopea, è quindi interamente messa al servizio della fantasia del lettore che, proprio per questo, dovrà per forza rivedere, o se vogliamo “rileggere” le pagine per poterle decodificare, per quanto è evidente che il mistero e una qualche forma di cripticità siano state volute dell'autore, nella palese idea di avere a che fare con un mondo che va oltre la forma, ed in cui la sostanza è in qualche modo rimodellabile.

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Il senso di scoperta, e il fascino nell'immergersi nel mondo ideato dall'autore è immenso, sublime, per certi versi inedito. L'arte di Bertrand è maestosa e avvolgente, ed è impossibile non incuriosirsi verso i dettagli che la compongono, alla ricerca di un segreto che forse sarà a nostra sola interpretazione. Il merito va ad una certa perizia nella costruzione del mondo di Tarot che, ancor più del Cavaliere di Spade, è il vero protagonista dell'opera. Il connubio è quello tra un luogo magico estrapolato dall'immaginario caro a Studio Ghibli (pensiamo ad opere come Laputa, ad esempio), a luoghi in cui la vegetazione lascia spazio ad atmosfere più meccaniche e, per certi versi urban. Così dal fantasy si passa alla fantascienza, e tra questi il ponte di connessione è composto da magia ed esoterismo, in un continuo palleggio tra scienza e misticismo, tra allegorico e terreno. In un sistema di lettura che richiede uno sforzo dal lettore che, in tal modo, non può essere uno spettatore passivo della vicenda, ma deve essere per forza di cose partecipe della sua decodifica e della sua comprensione. Sforzo senza il quale A Land Called Tarot non solo viene privato della sua grazia e del suo fascino, ma forse risulterà persino indigesto, se non per la sua caratura artistica e nel suo ottimo connubio di linee e colori.

Questi ultimi, in particolare, svolgono un ruolo importante nel disegno di Bertrand. L'artista non lavora mai per sottrazione, ed anzi la sua tavolozza spazia per ogni sfumatura, tracciando un affresco visivo imponente e pomposo, in cui spesso è il colore che guida la comprensione della storia, con linee che tagliano alcune tavole come un coltello. Il risultato è indescrivibile, ed è impossibile non augurarsi di poter presto vedere un sequel dell'opera che esplori magari i restanti arcani maggiori dei tarocchi cui, come detto, il racconto fa un continuo riferimento.

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Nella fusione di disegno e colore, Bertrand costruisce un mondo incredibile, le cui regole di spazio, tempo e dinamica dei corpi sono messe costantemente alla prova. Sovvertendosi, mutando, trasformandosi in qualcosa che è spesso agli antipodi della pagina immediatamente precedente. Per qualcuno tutto questo potrebbe sembrare un esercizio di stile, e forse in parte lo è, ma la verità è che c'è più ricchezza nel racconto di quanta non se ne possa intuire sfogliando semplicemente le illustrazioni. Il dazio è che forse gran parte di quanto non sia narrato dalle immagini è serrato in uno scrigno ermetico, la cui chiave è nascosta sì tra le pagine, ma troppo bene perché tutti possano trovarla.

Forse è questo il principale, se non unico difetto, di A Land Called Tarot, ovvero l'essere talvolta incomprensibile nel suo stile ermetico, tale che potrebbe in qualche modo scoraggiare chi, ad una prima occhiata, si aspettava una storia più “semplice” e per certi versi decodificabile. Detto questo siamo dinanzi ad un'opera maestosa e potente.

Se vi incuriosisce l'idea di un fumetto privo di testo, sempre Edizioni BD ha pubblicato da qualche mese il bellissimo "Le Terre dei Giganti Invisibili" di Giada Tonello. Un volume toccante e raffinato, che per altro abbiamo recensito a queste coordinate. 
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