Addio a Bernardo Bertolucci, ultimo Maestro del cinema italiano

Da poche ore ci ha abbandonati il grande regista Bernardo Bertolucci, l’ultimo dei grandi maestri di cinema italiani. Il nostro ricordo di un autore che seppe sperimentare senza smettere di emozionare e parlare a tutti.

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a cura di Alessandro Crea

Roma è un po’ più triste oggi. Un po’ più grigia. Abito vicino a Cinecittà, il cuore del cinema italiano, che da oggi è un po’ più povero (non che ultimamente se la passasse già molto bene in realtà). Da poche ore infatti se n’è andato un altro grande pezzo della nostra storia cinematografica, il regista Bernardo Bertolucci, deceduto a Roma all’età di 77 anni, dopo una lunga malattia.

Con lui si chiude forse definitivamente un’epoca del cinema italiano, inaugurata nell’immediato dopoguerra dai maestri del neorealismo, Rossellini, De Sica e Visconti, e proseguita per almeno tre decenni con figure come Fellini, Antonioni, i fratelli Taviani, Pasolini, Olmi, Petri, Leone, Zurlini, Cavani, Ferreri. E Bernardo Bertolucci appunto. Una stagione forse irripetibile scritta da artisti anche profondamente diversi tra loro per concezione cinematografica, ma accomunati da una forza creativa e una capacità di analisi del reale, esemplari per lucidità e rigore.

Bertolucci, figlio del grande poeta Attilio e fratello dell’altrettanto bravo documentarista Giuseppe, muove i primi passi giovanissimo, come assistente alla regia dell’amico di famiglia Pier Paolo Pasolini, per poi esordire dietro alla macchina da presa con La Commare Secca, che risente ancora molto degli stilemi del suo mentore.

Il decennio successivo Bertolucci lo passerà a cercare la sua voce, passando dai titoli giovanili come Partner, La Strategia del Ragno e Il Conformista, in cui è forte la sperimentazione sul linguaggio cinematografico, la fotografia e il montaggio, ai capolavori della maturità, più omogenei e riusciti, partendo proprio dal famoso e contraddittorio Ultimo Tango a Parigi, a cui seguirà l’affresco storico di Novecento.

Dopo una breve fase di crisi, di ispirazione e di strumenti (gli anni ‘80 sono stati duri per tutti) – La Luna, La Tragedia di Un Uomo Ridicolo – Bertolucci inanellerà una seconda serie di capolavori, su tutti L’Ultimo Imperatore e Il Tè Nel Deserto. Con gli anni ’90 infine com’è naturale la sua potenza creativa si andrà affievolendo, così come la sua capacità di penetrare il reale, ma il suo cinema si assesterà su un livello qualitativo comunque elevato, soprattutto guardando a ciò che il mercato ormai offre.

Nel suo nucleo fondamentale di quattro film Bertolucci è riuscito nell’ardua impresa di essere fortemente autoriale, di non rinunciare mai cioè alla propria voce e al proprio sguardo sul mondo, rendendo anzi entrambi espliciti e finanche ostentati, senza mai però perdere la capacità di parlare a tutti, regalando titoli profondi ma anche capaci di intrattenere. L’esempio più alto in questo senso è forse proprio L’Ultimo Imperatore, possente affresco storico e cronaca della fine di un mondo, attraversato dalla fortissima sperimentazione sul colore utilizzato in chiave simbolica e psicologica grazie alla collaborazione col grande direttore della fotografia Vittorio Storaro, ma anche colossal in grado di intrattenere e incantare, come nella famosa sequenza dell’incoronazione dell'Imperatore bambino nella Città Proibita.

Cinema di aria e di luce, di colori e di grandi movimenti di macchina, ma anche di volti e di attorialità – da Brando a Malkovic, passando per De Niro e Depardieu – in grado di parlare a più livelli e a più tipi di pubblico, raggiungendo così una platea vastissima senza mai snaturarsi o scendere a compromessi, come testimoniano i nove Oscar egli altrettanti David di Donatello vinti proprio con L’Ultimo Imperatore.

Ed è forse questa la più grande lezione e la più importante eredità che ci lascia Bertolucci, la capacità rara di coniugare intellettuale e popolare con grande sincerità e spontaneità. Una capacità che oggi è andata persa in questo Paese e non soltanto per quanto riguarda il Cinema.

Poichè non sappiamo quando moriremo, si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile; però tutto accade solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte. Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra infanzia, un pomeriggio che è così profondamente parte di voi che senza neanche riuscireste a concepire la vostra vita - forse altre quattro o cinque volte, forse nemmeno. Quante altre volte guarderete levarsi la luna - forse venti - eppure tutto sembra senza limite.
Il Tè nel Deserto è uno dei film più iconici e famosi di Bernardo Bertolucci, ma forse non tutti sanno che è tratto dall'omonimo e bellissimo libro di Paul Bowles, scrittore e compositore vicino alla Beat Generation, che fa anche un cameo nella scena finale del film di Bertolucci.