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Blockbuster, recensione: una sitcom senza idee

Ecco la nostra recensione di Blockbuster, la nuova sitcom targata Netflix che non sorprende, non fa ridere e neanche riflettere

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Avatar di Nicholas Mercurio

a cura di Nicholas Mercurio

Pubblicato il 12/11/2022 alle 13:00

Blockbuster, disponibile su Netflix, è una nuova sitcom americana da dieci episodi della durata di venticinque minuti ciascuno. Scritta e ideata Vanessa Ramos, già showrunner di Mr.Wrong, questa nuova produzione racconta la vivace vicenda dell’ultimo Blockbuster esistente sulla faccia della Terra, che si ritrova a sopravvivere in un mondo ormai infarcito di piattaforme e servizi streaming che offrono abbonamenti per guardare film illimitatamente.

La catena Blockbuster nacque nel lontano 1985 a Dallas, in Texas, in un momento estremamente rivoluzionario per il cinema, tanto che al tempo Star Wars dominava i botteghini e Mel Gibson infuriava in Mad Max. Blockbuster, insinuandosi nel mercato, ebbe la capacità di sfruttare questi anni d’oro diventando il marchio numero uno del video noleggio, aprendo successivamente negozi anche in Europa e in altre parti del mondo. Il suo fallimento, avvenuto nel 2013, avvenne sia a causa dell’avvento di Netflix sia per le sue politiche aziendali che non andavano più incontro al consumatore.

Blockbuster è una serie che smarrisce il suo obiettivo

Timmy, interpretato da Randall Park, è un quarentenne scapestrato che gestisce l’ultimo punto vendita del colosso americano nel cuore dell’Oregon, a Bend. Vanta di una compagine più o meno competente composta da Eliza (Melissa Fumero - Brooklyn Nine-Nine), una ex studentessa di Harvard per il quale ha una cotta adolescenziale da sempre, da un esperto di cinema e critica come Carlos (Tiny Alvarez), da una giovane svampita (Madeleine Arthur, Il Diavolo in Ohio), Kayla Scott (Kamaia Fairburn) e dalla cinquantenne Connie (Olga Merediz). Un dream team che, nonostante il complesso momento di Blockbuster, lavora imperterrito da anni, cercando di arrivare alla fine del mese senza dichiarare il fallimento e perdere la già residua sanità mentale.

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Un giorno, però, una emittente locale annuncia la chiusura di tutti i Blockbuster negli Stati Uniti, con la società sul lastrico proprio a causa delle sue politiche non più concorrenziali con i colossi dello streaming come Netflix, che ormai ha allontanato il consumatore. L’abbonamento, infatti, è quintuplicato proprio dopo la chiusura degli ultimi Blockbuster, e il povero Timmy rischia di ritrovarsi senza un lavoro dopo quasi vent’anni di onorato servizio. Le uniche alternative, infatti, sono due: chiudere o continuare a lavorare. Scegliendo ovviamente la seconda opzione, Timmy comincia a organizzare un evento notturno per attirare più persone possibili a iscriversi all’ultimo Blockbuster esistente con l’aiuto del suo migliore amico Percy (J.B Smoove), un facoltoso uomo d’affari che è anche il suo affittuario, cui deve una somma importante.

Certo di risolvere tutto per tempo, evitando così la chiusura, Timmy decide di chiamare la stessa emittente che aveva dato la notizia del fallimento della società. L'evento attira persone da tutta la città, e si fa aiutare dal suo team e dalle persone che credono in lui e nel suo progetto. La serata va talmente a gonfie a vele che i media permettono a Timmy di raccontare la sua storia, sottolineando come noleggiare un film di persona sia diverso da guardarlo su Netflix, poiché permette alle persone di condividere una passione comune.

Ed è qui, però, che la sceneggiatura scricchiola, perdendo il suo scopo e compromettendo la godibilità della serie nella sua interezza. Subito dopo la conclusione del primo episodio, la serie va avanti tra sketch spesso privi di mordente, ma è il messaggio a fine stagione a risultare esageratamente lasciato al caso e alla immaginazione dello spettatore. Le idee, esaurendosi già con il sesto episodio, raccontano di una squadra che inizialmente rischia di perdere il proprio lavoro ma, grazie a un momento fortunato, riesce a trovare una soluzione a conti fatti impossibile. Il problema principale di Blockbuster, infatti, è che cerca di porsi tra i grandi cult come Scrubs e altre sitcom sulla falsariga di Disjointed (la serie Netflix che parla di Ruth Feldman con Kathy Bates) e il suo negozio dedicato a ogni forma di cannabis esistente nel globo. Parlando in generale delle interpretazioni degli attori, non abbiamo nulla da eccepire e, seppure la prestazione finale risulta poco coesa, sono comunque apprezzabili e in alcune occasioni divertenti.

La regia, che ha gestito in maniera al maldestra alcune scene, non ha avuto la capacità di dare un suo tocco personale all'intera prima stagione. La colpa è di una scrittura striminzita e poco coinvolgente, che ha raccontato le vicende dei personaggi al di fuori della realtà lavorativa, perdendo tuttavia di vista il negozio, che doveva essere alla base del racconto. Le atmosfere, fondamentali in produzioni del genere, ricoprono un ruolo rilevante, eppure Blockbuster manca proprio di fedeltà a causa dell'assenza dei simboli iconici che hanno reso la società americana riconoscibile da chiunque in tutto il mondo. Non parliamo dei loghi, bensì degli scaffali sempre stracolmi di nuove proposte, della top settimanale dedicata ai film del momento e sì, anche anche delle caramelle poste vicino alle casse. Assenze che pesano e, soprattutto, mettono in chiaro la poca cura da parte dei registi nei dettagli, rilevabili solo a un occhio attento.

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Blockbuster è una serie a cui manca quel tipo di scrittura tipico delle grandi sitcom americane che, oltre a strappare una risata, trattano argomenti delicati. Il problema di Blockbuster non è neppure in grado di raccontare nel modo giusto un momento alquanto rilevante sul mondo dell’intrattenimento, sulla sua evoluzione e diffusione. A riguardo, non viene fatto alcun riferimento al passato di Blockbuster, e manca quel tipo d’ironia dissacrante che riesce sempre a tenere incollati allo schermo. Blockbuster cade sotto al peso delle sue ambizioni.

In conclusione

Non basta l’interpretazione di Randal Park a salvare la produzione, e in generale la regia non ha sfruttato il talento di Madeleine Arthur. Blockbuster, cercando di portare avanti un tema non approfondito nel modo giusto, è una sitcom che in questa prima stagione ci ha lasciato diverse perplessità.

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Se solo avesse osato di più, se solo non avesse avuto fretta di concludersi e tutto fosse stato scritto nel modo giusto, Blockbuster sarebbe una serie con una trama e una narrazione memorabili. La tematica è stata mal sfruttata, il talento degli attori pure, e in generale siamo davanti a un’occasione mancata. Ancora non sappiamo se verrà pubblicata una seconda stagione, ma dopo le cancellazioni di tante altre serie televisive targate Netflix avvenute nei giorni scorsi, Blockbuster, considerando l'accoglienza di critica e pubblico, potrebbe essere l'ennesima.

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