Dylan Dog 405: L’uccisore, la recensione

Dylan Dog torna a investigare sull’uccisore che terrorizza Londra, ma dovrà fare ancora una volta i conti con sé stesso.

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a cura di Massimo Costante

Senior Editor

Londra è stata attraversata da un’ondata di follia omicida, anticipata con il principio illustrato nelle pagine del precedente albo Anna per sempre, recensito su queste pagine. Un incubo che ha trasformato in “uccisori” tantissimi ignari londinesi, ma il nostro Dylan – da buon indagatore del medesimo – riuscirà a venirne a capo, regalando l’ennesima sorpresa di questo ciclo, che rivisita ancora una volta una delle primissime storie. Ma Dylan Dog 405 - L’uccisore, più che una semplice rivisitazione, ci porta in un autentico tornado che travolgerà vecchi e nuovi lettori. Che l’orrore abbia inizio.

Dylan Dog e la realtà incrinata

I primi amori non si scordano mai.

L’albo Dylan Dog 5 – Gli Uccisori (Sclavi – Dell’Uomo, 1987) lo ricordiamo non solo perché fu una delle prime storie di Dylan, ma perché si toccano picchi altissimi riguardo l’orrore e una percezione della realtà incrinata, con una serie di azioni che il nostro Dylan non farebbe mai e che, difatti, non ripeterà più in futuro. Un esempio? Le uccisioni a sangue freddo.

L’uccisore inizia proprio rispettando questa “realtà incrinata”, risolvendo in pochissime vignette il “caso degli uccisori”, individuando un colpevole insospettabile e noto a tutti i lettori e… giustiziandolo a sangue freddo. Inaspettatamente. Vediamo una realtà incrinata anche quando Bloch sembra accettare questo modus operandi di Dylan. Ma i punti di contatto con l’originale “Gli Uccisori” si risolvono solo con questo particolare elemento. Poi la nuova storia prende una nuova e del tutto inedita prospettiva narrativa.

Infatti, l’Uccisore che titola l’albo, non ha niente a che vedere con l’ondata di follia fermata da Dylan, ma si tratta dello stesso serial killer che abbiamo conosciuto in La lama, la Luna e l’orco, dando nuova linfa vitale alla storyline principale che regge questo ciclo “666”. La storia prosegue con un ottimo coinvolgimento di Carprenter, Dylan e Rania, con un’ottima caratterizzazione del rapporto tra questi ultimi due, rivelandone la chimica e una parte del loro passato.

I tre indagheranno ancora sulla scia di sangue ad opera di quello che sembra un “comico fallito”, ma come accade spesso in alcune delle storie più belle di Dylan, i veri nemici i veri conflitti da risolvere risiedono nella parte più profonda dello stesso Dylan. E sotto questo punto di vista, in quest’albo è stato dato ampio spazio al “riconoscimento” di questo nuovo Dylan introdotto ancora una volta da Roberto Recchioni, con un piglio piuttosto affascinante.

Perfino il citazionismo più sfrenato prende il sopravvento, ma stavolta risulta essere pienamente funzionale per i diversi rimandi della storia dei personaggi comprimari (un Dylan che scrive canzoni, la penna d’oca, un certo baule in soffitta e molto altro). A proposito di ciò… che fine ha fatto Groucho?

Quale Groucho?

È chiaro che l’autore si stia divertendo a ricollocare i personaggi principali tanto cari ai fan, e L’uccisore è ben più di una conferma.

Se pensavate di esservi liberati di quel Groucho, (in)sostituibile spalla di Dylan per centinaia di avventure, beh, non siatene così sicuri. E chi disperava, forse, potrà tirare un respiro di sollievo. Recchioni, in una certa misura, ha reso perfino “protagonista” il vecchio coinquilino di Craven Road, e senza scadere in inopportuni spoiler – giacché tanto si era già visto in La lama, la Luna e l’orco – vi anticipiamo che Groucho è presente anche in questa nuova realtà del ciclo, potrebbe essere il “comico serial killer”, ma potrebbe essere ricollocato in modo diverso…

In ogni caso, L’uccisore coinvolge tutti i lettori dalla prima all’ultima pagina, risultando un buon anello di congiunzione tra il precedente ciclo e il nuovo. E da lettori della “vecchia guardia” non possiamo che essere soddisfatti di quanto orchestrato fin adesso da curatore.

Giorgio Pontrelli rappresenta al meglio la sceneggiatura di Recchioni, eccellendo particolarmente nei flashback aventi come protagonisti Dylan e Rania, e soprattutto, in quelle tavole che vedono l’old boy travolto da alcuni incubi che prendono la forma dell’inchiostro della sua penna d’oca.

Azzeccatissimo il Dylan esecutore nella cover quasi tarantiniana di Gigi Cavenago, ma il più grande spettacolo (nulla togliendo ai già citati autori) per gli occhi arriva con un Corrado Roi sempre al massimo della sua tecnica, protagonista delle ultime tavole.

Mentre stiamo già aspettando il mese prossimo, per colpa del pathos creato dal ciclo 666, vi consigliamo per questa lettura l’ascolto di Burn dei The Cure. Ora le aspettative si fanno davvero altissime.

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