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a cura di Emanuele Manco

Abbiamo visto in anteprima le prime due puntate di Hunters, la serie con Al Pacino e Logan Lerman, prodotta dagli Amazon Studios, da Monkeypaw Productions di Jordan Peele e da Sonar Entertainment, creata da David Weil, produttore esecutivo e  showrunner al fianco di Nikki Toscano. Disponibile dal 21 febbraio in tutto il mondo su Amazon Prime Video. Ecco le nostre impressioni e la review di questi primi due episodi della considerevole durata di un' ora ciascuno ma in grado di tenere attaccato al divano lo spettatore!

Se non volete spoiler di nessun tipo fermate qui la lettura... sapendo che vi consigliamo la visione della serie che nei suoi due primi episodi ci è piaciuta e della quale siamo molto curiosi di vederne il proseguo narrativo.

Hunters: la storia

1977, Stati Uniti d’America. La vita del giovane ebreo Jonah (Logan Lerman) viene stravolta quando la nonna adottiva viene uccisa da un uomo che si è introdotto in casa per motivi ignoti. Sopraffatto dal dolore e dai sensi di colpa il ragazzo cerca di indagare per conto suo sull'accaduto andando - ovviamente - incontro a numerosi problemi e pericoli. Quando si metterà nei guai con la giustizia verrà in suo aiuto un vecchio amico della nonna, il facoltoso Meyer Offerman (Al Pacino), anche lui come la nonna sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti durante la II Guerra Mondiale. Offerman cercherà di convincere il giovane a desistere dalla ricerca di vendetta. L’ostinazione di Jonah lo porterà però a scoprire che Offerman è parte di un gruppo di cacciatori di nazisti attivo con lo scopo di identificare e "stanare" tutti quelli rifugiatisi negli Stati Uniti dopo la guerra.

Si tratta di gruppo che agisce al di fuori della legge, assumendosi i compiti di poliziotti, giudici e boia. La nonna del protagonista  è stata uccisa proprio durante le verifiche su un nazista scoperto in modo fortunoso. I criminali "cacciati" però non si limitano unicamente a nascondersi nella società come commercianti, medici, scienziati o produttori discografici, ma sono organizzati in una rete che mira alla protezione reciproca e che ha un piano per prendere il potere e istituire negli USA il quarto Reich.

I misteriosi Hunters e i nazisti inflitrati

Le prime due puntate di Hunters sono molto di più di una presentazione di personaggi e ambientazione. Sono anche esplicative del modus operandi e motivazioni sia dei cacciatori che dei loro temibili avversari. Non tutto ovviamente è rivelato, c’è un intero gruppo di personaggi da esplorare. Non sono infatti tutti sopravvissuti ai campi, anzi come Jonah, alcuni sono semplicemente troppo giovani, altri ancora sono persino di etnia diversa da quella ebrea. Dai dialoghi si lascia presagire che ciascuno dei personaggi ha delle motivazioni per far parte di questo gruppo e che queste verranno svelate di puntata in puntata. Così come le hanno i nazisti, che schierano tra le loro fila giovani accoliti che sembrano persino più fanatici degli ancestrali fondatori  del movimento. L’ambientazione degli anni ’70 non è solo calzante per motivi anagrafici, ossia perché non sarebbe ragionevole immaginare in azione dei quasi centenari, ma anche perché la società statunitense che viene descritta sembra credibilmente infiltrabile dai “valori” nazisti.

In una società opulenta ma piena di diseguaglianze, dove povertà e degrado convivono con il lusso, la guerra privata degli Hunters sembra passare inosservata. D’altra parte le stesse forze dell’ordine sono sovrastate e poliziotti disillusi non solo non cercano risposte, ma non sembrano guardare neanche le tracce che stanno davanti a loro, come osserverà il giovane Jonah, la cui abilità è proprio quella di vedere schemi e codici dove altri vedono il caos.

Paradossalmente sono i nazisti che si sentono i possibili salvatori di una società allo sbando, pronti a portare ordine e disciplina. A loro modo ovviamente. Agli Hunters sembra che il fato stia per dare un compito più ampio di quello che si erano prefissati. Sarà così? Gli Hunters saranno i salvatori nascosti della società o vedremo altro? Difficile dirlo, nelle prime due puntate abbiamo visto entrambe le fazioni agire nell’ombra, con un’agente dell’FBI (Jerrika Hinton) che sembra essere l’unica ad aver percepito che dietro omicidi apparentemente casuali ci sia qualcosa di più. Al momento dà la caccia agli Hunters, ma è chiaro che le sue strade s’intrecceranno anche con quelle dei nazisti.

I temi di Hunters

Uno dei temi portanti è di certo la vendetta. Ma nelle intenzioni c’è di più. Se da  un lato gli Hunters partono solo con la motivazione di avere una giustizia che hanno sentito loro negata, le intenzioni dei loro avversari sembrano destinate ad alzare la posta. Avversari che sanno di muoversi in una società che identifica i nemici da un’altra parte, negli umili e negli emarginati, ma che non diffida di tranquilli borghesi dalla pelle bianca. Un terreno di coltura che considerano ideale per la nascita di un quarto reich.

E qui veniamo al tema della sovrapposizione tra tutti i razzismi, ovunque essi siano. L’america bianca sognata dal Klux Klux Klan non è diversa dall’idea della Germania ariana. Non si trattava di un tesi campata in aria, né ieri e, purtroppo, neanche oggi. Negli anni 30, esisteva un movimento nazista negli USA, e in quella occasione la mafia ebraica si contrappose a quel movimento. Il video linkato da questo articolo, di cui consiglio vivamente la lettura, è agghiacciante. Oggi assistiamo a innalzamenti di muri, al sorgere di ennesimi nazionalismi e presunzioni di purezza delle società. Non sappiamo ancora come terminerà la storia degli Hunters, ma temiamo che una loro versione attuale possa ancora essere realistica.

Le fonti di Hunters

Hunters è narrata con lo stile del cinema di exploitation. Sesso, violenza, nudità anche disgustose. Grande enfasi condita in alcuni momenti con tanta ironia e autoironia. Se la scelta può sembrare spiazzante, va ricordato che la via dell’exploitation non è nuova anche nel racconto dello stesso Olocausto. Ne è un esempio il romanzo del 1959 La casa delle bambole, scritto dal sopravvissuto di Auschwitz Yehiel De-Nur con lo pseudonimo di Ka-Tzetnik 135633, ovvero Prigioniero 135633. Come spiega la prefazione del romanzo, K. Z. (Ka-tzet nella pronuncia tedesca), sono le iniziali di Konzentration Zenter (Campo di Concentramento). Ogni prigioniero di un K. Z. era soprannominato "Ka-tzetnik Numero..." - il numero personale di matricola tatuato sul braccio sinistro. De-Nur, che nel 1961 testimonio contro Eichmann, era stato soprannominato Ka-tzetnik 135633. Con questo nome ha raccontato la storia della quindicenne Daniella che subisce violenze di ogni tipo nelle “case della gioia”, ovvero delle baracche nelle quali le donne più attraenti erano destinato al sollazzo sessuale dei loro carcerieri. Ka-tzetnik nel romanzo non fa sconti, usando il linguaggio crudo della letteratura shund (l’equivalente ebraico del pulp, la parola letteralmente significa spazzatura) che gli valse all’epoca anche sprezzanti critiche e accusa di voler fare “pornografia dell’Olocausto”. Il romanzo ha ispirato il nome della band inglese Joy Division, dalla traduzione inglese del nome di quelle baracche, che ha citato quelle vicende nella canzone No love lost.

Di La casa delle bambole e del concetto di letteratura shund si parla anche nella post-fazione del romanzo Wolf di Lavie Tidhar (Link Amazon), un romanzo distopico nel quale il nazismo viene sconfitto sul nascere, ma che in comune con il romanzo di Ka-tzetnik ha i momenti di violenza e sesso esplicito e con Hunters la riflessione su quanto i germi della visione nazista del mondo possano atticchire ovunque se non si alza la guardia, in questo caso nella Gran Bretagna ante Seconda Guerra Mondiale. Se il libro di Tidhar risulta disponibile, anche in ebook, La casa delle bambole è da tempo fuori catalogo e reperibile solo come usato (Link su Amazon).

Il cast

La credibilità di un’operazione così sopra le righe si fonda anche sulle scelte di casting: Al Pacino si ricorda di avere senso della misura e, almeno nelle prime due puntate, dimentica gli eccessi con i quali ha condito troppo spesso la sua recitazione. Ci sono già i temi e le situazioni ad alzare l’asticella. Fa il suo lavoro di mentore e riferimento del gruppo senza essere debordante.

Credibile è anche il giovane Logan Lerman, il cui personaggio è mosso dal senso di colpa per non essere stato in grado di salvare la nonna dal killer nazista, E sì, la battuta su Peter Parker la fanno nella serie, a confermare la volontà di usare modelli di riferimento popolari e anche di giocare un po’. Anni fa infatti l’attore fu indicato da alcune indiscrezioni, poi smentite, come possibile interprete dei film di Spider-Man poi interpretati da Andrew Garfield, salvo poi essere invece stato considerato come possibile alternativa a Tom Holland nei film successivi. Ora Lerman ha l’occasione, dopo Percy Jackson, di interpretare il ruolo di un eroe con molte sfaccetture, che deve seguire un percorso di crescita che lo porterà ad affrontare sensi di colpa e debolezze.

Il resto del cast sarà da valutare nei momenti in cui sarà loro riservato più spazio. Per ora si può segnalare l’approccio ironico e autoironico di Josh Radner (How I met your mother) che meta cinematograficamente interpreta l’immaginario attore Lonny Flash, divo del pulp anni ‘70, nonché i bravissimi caratteristi Saul Rubinek e Carol Kane, i coniugi Mindy e Murray Markowitz, esperti di tecnologie ed armi. Inoltre quali sorprese ci può riservare la presenza nel gruppo di un’afroamericana (Tiffany Boone), di un asiatico (Louis Ozawa) e una suora cattolica (Kate Mulvany)?

Anche il fronte dei cattivi però non sembra deficitare di buone prove attoriali, da Dylan Baker (Curtis Connors in Spider-Man 2) a Lena Olin (L’insostenibile leggerezza dell’essere, Alias) nel ruolo della misteriosa comandante dei nazisti, all’inquietante e apparentemente infallibile killer ariano interpretato da Greg Austin.

Messa in scena e conclusioni

La mescolanza dei sottogeneri dell’exploitation non oscura i temi portanti della serie, ma li fa altresì risaltare come messi davanti a una lente d’ingrandimento. Questo perché Hunters è una produzione che appare curata. Dell’exploitation infatti non condivide l’approssimazione nella messa in scena. La ricostruzione d’ambiente appare altresì coerente. Gli anni ’70 sono presenti davanti a noi con scenografie, costumi e fotografia di livello superiore alla dozzinalità dell’epoca. Solo alcuni passaggi di sceneggiatura appaiono forzati, ma spero che la visione d’insieme a fine dei 10 episodi possa chiarirli. È sempre difficile, nell’epoca degli archi narrativi, dare un giudizio compiuto. A differenza di altre serie recenti, i primi due episodi di Hunters sono abbastanza densi da poter pensare con ottimismo al prosieguo. Una serie da vedere. Dal 21 febbraio 2020 su Amazon Prime Video.