Il processo ai Chicago 7, la recensione del film di Aaron Sorkin

Il 16 ottobre arriva su Netflix il nuovo film di Aaron Sorkin dal titolo Il processo ai Chicago 7. Ecco a voi la recensione in anteprima.

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a cura di Giovanni Arestia

Il prossimo 16 ottobre arriverà su Netflix il nuovo film di Aaron Sorkin dal titolo Il processo ai Chicago 7. Abbiamo avuto il piacere di vederlo in anteprima e lo abbiamo recensito per voi, ovviamente senza spoiler. Il processo ai Chicago 7 è la nuova pellicola scritta e diretta da Aaron Sorkin che dopo l'esordio da regista con Molly's Game, candidato alla migliore sceneggiatura non originale agli Oscar del 2018, ha pensato di tornare alla macchina da presa con un film incentrato su una dura storia vera.

https://www.youtube.com/watch?v=03UPunRx7ds

Il processo ai Chicago 7: uno dei più famosi e scandalosi processi pensali statunitensi

Il processo ai Chicago 7 sintetizza in 129 minuti i 151 giorni che hanno costituito il primo grado di giudizio di uno dei più famosi e scandalosi processi penali statunitensi. Siamo infatti nel 1969, esattamente il 20 marzo, e in piena Guerra del Vietnam, uno degli eventi più terribili e disastrosi della politica militare degli Stati Uniti che voleva a tutti i costi debellare il mondo comunista. Il film si apre con i discorsi dei presidenti Lyndon B. Johnson e Richard Nixon, che sotto forma di immagini di repertorio, annunciano un maggiore impiego di soldati statunitensi sul fronte vietnamita e il regista è abile a mostrare la differenza con le parole pacifiste di Martin Luther King a cui seguono le immagini del suo assassinio.

Come spesso accade, la guerra genera proteste da parte di folti e importanti gruppi pacifisti. Erano in pochi all'epoca a volere questa guerra, tantomeno gli otto imputati attivisti politici che vennero accusati di cospirazione il giorno successivo alle proteste violente che accaddero a Chicago durante la convention democratica del 1968. Questi imputati vennero processati, in realtà, non tanto per l'evento ma solo per la loro ideologia politica che si confaceva alla sinistra radicale.

Un cast stellare per un film fortemente ideologico

Il film, fin da quando uscirono le prime indiscrezioni sulla produzione da parte di Netflix, salì subito in auge grazie soprattutto all'importanza dell'evento narrato. Per tale motivo ha preso parte anche un cast composto da attori di gradissimo talento come Sacha Baron Cohen, Yahya Abdul-Mateen II, Michael Keaton, Joseph Gordon-Levitt, Mark Rylance, Eddie Redmayne, John Carrol Lynch e Frank Langella che rappresentano il vero punto di forza del film.

I primi minuti de Il processo ai Chicago 7, subito dopo le immagini di repertorio sopracitati, mostrano il processo vero e proprio con lo scopo di presentare proprio i personaggi accusati di cospirazione: vi sono i due studenti democratici Thomas Hayden (Eddie Redmayne) e Rennie Davis (Alex Sharp), Jerry Rubin (Jeremy Strong) e Abbie Hoffman (Sacha Baron Cohen) nonché i leader del partito internazionale della gioventù, David Dellinger (John Carroll Lynch), John Froines (Daniel Flaherty), Lee Weiner (Noah Robbins) e il leader del movimento delle Pantere Nere Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen II). Da questo momento comprendiamo subito che lo scopo del regista Aaron Sorkin è quello di voler narrare dettagliatamente, ma anche satiricamente e fittiziamente, una delle pagine più oscure della giustizia americana.

Sorkin, infatti, ha lavorato alla sceneggiatura dal lontano 2007 per poi passare alla regia grazie all'invito di Steven Spielberg, che in questo film svolge il ruolo di produttore. La volontà del regista è quella di usare la grande stanza del processo come se fosse una mappa dell'ideologia americana suddivisa in diversi piani cronologici. In tutto questo si può osservare la sinistra perfettamente esposta in ogni sua sfaccettatura e seduta in ordine di pensiero e azione (gli hippie sono all'estremità, i pacifisti e i democratici al centro e le Pantere nere più esternamente perché coinvolte, ma estranee al processo se non per il loro leader). La destra è invece rappresentata con un blocco integro a simboleggiare il pensiero politico della giustizia e dello Stato di quegli anni.

L'importanza dei dialoghi e della scenografica

Il leader simbolico della destra è il pubblico ministero Richard Schultz interpretato da un abile e convincente Joseph Gordon-Levitt che mostra come l'uomo di legge sia in realtà una marionetta dello Stato che agiva più per obbedienza che per personale etica. In poche parole il regista utilizza un evento reale per creare la metafora della contrapposizione di due mondi divisi da una frattura molto marcata.

I diversi piani cronologici sopracitati, invece, permettono di far conoscere allo spettatore le reali intenzioni dei Chicago 7 attraverso salti temporali che lo portano dall'aula del tribunale al giorno della protesta tramite dei precisi e interessanti flashback. Il regista, infatti, riesce a gestire abilmente questo turbinio di eventi fondamentali per la storia, ma anche notevolmente distanziati temporalmente. A rendere ancora più funzionale questa suddivisione cronologica ci pensano i numerosi e ben costruiti dialoghi.

Quest'ultimi diventano credibili e degni di menzione grazie alle strabilianti interpretazioni degli attori, tutti abili nel seguire il canovaccio registico e dalla grande presenza scenica anche se il minutaggio non è uguale per tutti. Da premiare certamente anche il grande lavoro condotto nella scenografia che consente allo spettatore di far rivivere la giusta atmosfera di quegli anni, tra proteste e soppressione dei diritti delle persone che avevano differenti ideologie politiche o un differente colore della pelle. Sono tutti formidabili, ma a rubare la scena ci pensano l'idealista e pragmatico Tom Hayden e l'apparentemente cinico ed enigmatico Abbie Hoffman. Il regista costruisce loro una struttura narrativa incredibile che diviene sempre più complessa man mano che il film va avanti.

Un irrealismo di troppo che porta ad una grave mancanza di attenzione

Sorkin, però, non ci va leggero per quanto riguarda la narrazione e mescola storia e finzione in maniera molto complessa e non sempre funzionale. Il regista resta sempre molto moderato nelle sue rappresentazioni, anche quelle più pesanti. Inserisce momenti di strana comicità o di irrealismo proprio per evitare di appesantire la narrazione, ma le scene più memorabili sono proprio quelle in cui si osservano gruppi di giovani affrontare la polizia attraverso l'unica forma di protesta non violenta che è con l'uso della parola.

A sua volta, però, vuole mostrare anche la forza di personaggi disposti a dare la loro vita per portare avanti la giustizia in cui credono. Perché in fondo la retorica dei morti e dei martiri di una nazione è qualcosa di universale che non vede alcun colore politico o periodo storico.

In questo modo lo spettatore può immedesimarsi nei veri eroi della storia, anche se purtroppo il racconto non segue perfettamente tutti i personaggi presenti nella storia. Sono otto, ma la storia è una sola pertanto non si riesce a dare la stessa importanza a tutti i protagonisti. Alcuni di questi restano fino all'ultimo appena abbozzati, come se fossero dei personaggi secondari nonostante in realtà tutti avessero la stessa importanza all'interno della vicenda storica.

Questa è la vera pecca di questa pellicola perché nonostante le più di due ore di durata, non riesce a dare lo stesso spessore a tutti i personaggi. Questo porta anche a far scemare l'interesse da parte dello spettatore che si aspetterebbe una maggiore caratterizzazione degli eventi e ad un problema davvero grave.

Questo processo è conosciuto da tutti come uno dei più vergognosi della storia americana e fino a qui ci siamo. L'evento, però, è anche famoso per aver trasformato un processo giuridico in un processo politico e soprattutto raziale. Il simbolo di quest'ultimo è certamente Bobby Seale il quale vide violati tutti i suoi diritti come imputato e come persona. È proprio quest'ultimo aspetto che fece entrare il processo nella storia, ma Sorkin quasi se ne dimentica accennando solo parzialmente al problema e facendolo fuori in pochi minuti così da dare maggior risalto proprio ai sopracitati Tom Hayden e Abbie Hoffman. Davvero un peccato perché l'assenza di questo tassello importante rende zoppicante una parte fondamentale della crudezza di un ingiusto processo.

In conclusione...

Il processo ai Chicago 7 è un film che mette in mostra una storia vera, con qualche libertà di troppo. La regia è perfetta, i dialoghi sono funzionali e di grande impatto grazie soprattutto all'ottima qualità e interpretazione attoriale e la scenografia è impeccabile introducendo perfettamente lo spettatore all'interno di un contesto storico realistico e di grande qualità di realizzazione. A peccare, purtroppo, è la narrazione che in alcuni frangenti è troppo frettolosa e ingiustamente grossolana. Finisce per essere un classico film patriottico dove i buoni vincono sempre, ma che nel frattempo ha dimenticato dei pezzi fondamentali lungo la strada. Il film è comunque godibile e di altissima qualità, ma al pari di una durata non indifferente alcune scelte potevano essere prese decisamente meglio.

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