Lucca Comics & Games: intervista a Lorenzo Palloni e Vittoria Macioci

In occasione del Lucca Comics & Games 2019, abbiamo avuto l'occasione, grazie a Saldapress, di conoscere e intervistare Lorenzo Palloni e Vittoria Macioci.

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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

In occasione del Lucca Comics & Games 2019, abbiamo avuto l'occasione, grazie a Saldapress, di conoscere e intervistare Lorenzo Palloni e Vittoria Macioci, ovvero sceneggiatore e disegnatrice dietro a Desolation Club, straordinario volume pubblicato proprio da Saldapress e già disponibile in fumetterie e librerie a partire proprio dai giorni di Lucca Comics. Primo di una coppia di volumi, Desolation Club racconta di un mondo in cui, all'improvviso, la forza di gravità è scomparsa dal mondo, lasciando che si disperdessero oltre l'atmosfera tutte le cose che non erano ancorate al suolo, persone incluse. La storia è quindi quella di un gruppo di ragazzi, degli adolescenti, cresciuti in un mondo diverso e alla deriva, in cui i sopravvissuti si sono salvati fortuitamente ed in cui pare impossibile ritrovare una stabilità economica e sociale. Un mondo allo sbaraglio che, tuttavia, per i ragazzi di Desolation Club può essere ancora foriero di incredibili avventure.

Abbiamo chiesto ai due autori di raccontarci il volume dalla loro prospettiva, curiosi di capire quale fosse il percorso di idee che aveva generato il racconto e la sua straordinaria componente grafica. Ma non solo, perché questa intervista è stata anche l'occasione per parlare di fumetto, del suo mercato, dell'autorialità di un artista e del suo ruolo sul mercato.

Lorenzo, prima di parlare di Desolation Club mi piacerebbe parlare un attimo de La Lupa (altro volume di Palloni, sempre per Saldapress ndr). La storia è quella di una donna che si occupa di riscuotere pegni. Sono curioso di capire come ti è venuta l'idea per il plot. Per me che sto continuamente su DMAX a guardare programmi basati su gente del genere, è stato naturale pensare che avessi passato anche tu innumerevoli ore davanti alla TV a vedere roba assurda. 

In realtà non sei andato lontano perché l'idea me la diede un documentario di Vice sul mondo di quelli che riscuotono crediti e lo trovai allucinante. Era proprio un mondo a parte, una criminalità a parte, dove tutti si conoscevano. Mi ricordo, ad esempio, che si facevano guerra per rubarsi i clienti, che alcuni di loro erano degli stupratori, e che in generale si comportavano come animali. Era un mondo effettivamente animalesco e mi piaceva raccontarlo, ovviamente non così ma in maniera un pochino più architettata. Di norma lavoro così: creo un nucleo, che è il concetto che voglio esprimere con una storia e poi, in qualche modo, ci aggiungo altre cose che strutturano il genere, i protagonisti e la storia. In questo caso mi interessava raccontare lo specismo emotivo di una persona che esprime amore dal punto di vista familiare, ma che una volta uscita per strada va a spaccare di botte la famiglia di un poveraccio per riscuotere un debito. Volevo parlare della mancanza di emotività, per altro in un momento storico dove c'è, effettivamente, una mancanza di emozioni.

Ragazzi, come nasce, invece, il concetto di Desolation Club? E, soprattutto, come avete preso il fatto che sia appena uscito per Bonelli un volume concettualmente simile, ovvero Sottosopra di Luca Enoch e Riccardo Crosa?

Quello è un caso incredibile, anche perché oltre a Sottosopra è uscito anche Skyward (creato da Joe Henderson e Lee Garbett ndr.), che è praticamente la stessa roba, cioè un mondo senza gravità. Ne parlavo proprio ieri come un amico: secondo me ci sono delle idee che circolano nell'aria. Non effettivamente un iperuranio, ma semplicemente delle idee che sono lì, e che derivano da alcune cose che ci circondano che poi portano ad avere idee similari nello stesso momento. Sono idee che circolano e che, prese da diverse persone, vengono rimasticate e buttate fuori in modo diverso in base al contesto. Quindi, io non so di cosa parla Sottosopra e non so come è stata usato il tema della mancanza di gravità lì. Noi l'abbiamo usato come escamotage per raccontare la libertà assoluta e l'assenza di qualsiasi regola.

Per noi la perdita di gravità è come la perdita delle leggi.

Nella mia esperienza non è mai capitata una cosa del genere, in cui c'è, chiamiamolo un “concept di massima” che sta lì e che porta, più o meno nello stesso momento, alla pubblicazione di idee simili. Ti viene sempre un po' il dubbio che ci sia stata una qualche figa di notizie... o no?

Come quando è uscito Armageddon e Deep Impact.

Personalmente penso che la cosa sia molto diversa. Quei film erano un po' figli di una moda dell'epoca verso certe tematiche che si estendeva in ogni media. In quel momento c'era un interesse culturale verso quel tipo di tematiche che ha portato a quei film. Oggi, e in particolare in questo caso, non mi pare si viri verso un tema come quello del vostro libro. O sbaglio? 

Sicuramente c'è un interesse differente ora per la fantascienza, specie dopo Black Mirror. Personalmente ho cominciato a scrivere Desolation Club nel 2015 e non so che percorso abbia avuto Sottosopra. Io so che il mio è assolutamente genuino e, per altro, grazie all'apporto di Vittoria il concept è stato persino stravolto visivamente e questo ne testimonia la genuinità. In sostanza penso che siano delle idee che gli scrittori, o comunque i narratori, captano ed è una necessità raccontare cose che un narratore capta. Le similitudini, dal mio punto di vista, sono del tutto casuali.

Dal punto di vista grafico qual è la sfida di creare un mondo senza la legge di gravità? Come si fa a renderlo realistico? Guardando le tavole è percepibile l'assenza di gravità che tiene tutto a terra e, per altro, devo dirti Vittoria che trovo i colori davvero bellissimi. Amo moltissimo i toni molto sparati.

Grazie! Io ho sempre lavorato col colore in questa maniera ed anche io adoro le tinte sparate e molto sature. Se mi dici che i miei disegni funzionano ne sono contenta, perché ci sono state varie domande che mi sono posta prima di disegnare. Innanzitutto delle domande scientifiche, che mi hanno portato a parlarne anche con un amico astrofisico su cosa succederebbe davvero se non ci fosse più la gravità. A quanto pare l'universo collasserebbe e quindi, in realtà, sarebbe impossibile fare un volume simile. Quindi deve essere per forza soft sci-fi.

Non ci sarebbe l'ossigeno, non ci sarebbe vita.

Non ci sarebbe atmosfera e questa cosa mi ha molto colpito. Tant'è che se noti, nel nostro volume si vedono sempre le stelle nel cielo, perché in assenza di atmosfera si vedrebbero sempre. Così come ci sono degli asteroidi che, per lo stesso motivo, di tanto in tanto impattano sulla Terra.

Secondo te, chi lo noterà?

Nessuno. Però fa del bene al mio inconscio!

Non solo, secondo me fa parte di quella quantità di informazioni non specifiche che però aiutano il lettore a costruire un mondo. Perché, alla fine, noi non è che raccontiamo la nascita di questo mondo, ma ci sono suggerimenti continui.

Si, esatto! Ci sono talmente dei piccoli dettagli che, uno dopo l'altro, magari pizzicano l'inconscio del lettore e dice: “Quindi c'è qualcosa di diverso”.

Data la ricerca che avete svolto per la costruzione di un mondo così complesso e preciso nelle sue stravaganti meccaniche, come mai volete limitarvi a raccontare una sola storia e non, magari, una serie?

Perché la storia è quella ed io posso raccontare una storia solo fino a dove finisce. Per noi è importante compiere questo viaggio assieme ai protagonisti, affinché ognuno dei personaggi capisca dove deve arrivare. Quindi è un viaggio di formazione che dura poco tempo nella nostra idea narrativa, circa sei mesi, forse. Poi, tra il primo e il secondo volume, ci sarà uno stacco abbastanza grosso e tutto questo sarà sufficiente a fare da impalcatura per quello che dobbiamo raccontare. Sappiamo che questo mondo è bello e divertente e che può coinvolgere il lettore, però è fondamentale che una volta che i personaggi abbiano raggiunto il loro scopo vengano messi da parte.

Personalmente penso a Stand by Me ed al suo gruppo di ragazzini. Alla fine del film vorremmo tutti evitare lo schermo nero ma è così che deve andare.

Perché il viaggio di Desolation Club è così bello, almeno nella nostra idea, che uno non vorrebbe lasciare questi ragazzi. Eppure una volta raggiunta un'idea che si pensa sia la fine tanto ci basta. È la prima volta che, personalmente, simulo una storia dove il personaggio è la storia. Qui non c'è un nemico, non c'è un'antagonista, non c'è una divisione in atti. C'è il viaggio, in cui i colpi di scena sono messi bene - sono abbastanza bravo da questo punto di vista, li invento abbastanza bene - ma è stata una sfida capire che la storia non esiste se non loro. Quindi era anche divertente studiarsela da questo punto di vista, oltre che scrivere una roba per ragazzi che non avevo mai scritto prima.

E io magari sono molto di parte ma il finale di questo libro lo trovo incredibile! Normalmente io ho un piccolo problema con i finali. Spesso mi sembra di non capire dove si vuole andare a parare, ma devo dire che la fine di questo libro mi è piaciuta.

Quanto vi siete vicendevolmente influenzati?

È stato un ping pong totale.

Vero! È stato un ping pong. La base della storia sarà anche mia, ma tantissime cose le abbiamo pensate con Vittoria.

Le abbiamo pensate insieme.

Ad esempio lei si è occupata del world building fisico e visivo che è praticamente suo. Io ho detto: “guarda, vivono in questa città che è la Montreal del futuro, nel sottoterra di quello che potrebbe essere Monreal nel futuro”, dandole un po' di idee, ma poi è stata lei a raffinarle. Per esempio nel secondo volume c'è una scena d'azione che noi non sapevamo risolvere, che non funzionava in sceneggiatura. La soluzione è arrivata parlandone ed il bello è che la sceneggiatura era chiusa, finita. Quindi è stato veramente un ping pong che ha, secondo me, fatto del libro la cosa solida che è. Come ho lavorato con Martoz, tanto ho lavorato con Vittoria, sono due persone che hanno una capacità di gestire visivamente e intellettualmente la storia, molto superiore alla mia. Io sono troppo pratico, troppo logico, mi fermo a un certo punto. Quindi, ho bisogno di persone che veramente possano andare oltre a tutto quello che riesco a fare io per rendere il libro migliore.

Perché Montreal?

La città si chiama "Uueit", però è sostanzialmente Montreal. Non ricordo bene perché l'ho scelta, ma ricordo che facevo lezioni di francese con questa ragazza che veniva da Montreal, e che mi ha spiegato che la metà della vita è praticamente sotto terra. La città è quasi tutta sotterranea perché la temperatura fuori è troppo fredda. Quindi quando vai a Montreal, se è inverno, non stai in superficie. Quindi, mi sono immaginato queste sacche sociale che sopravvivono a questa grande apocalisse semplicemente perché erano sotto terra e così e da lì hanno creato la società lì. È Montreal per questo. Perché mi affascinava proprio come situazione fisica.

A me piace tantissimo che si chiami "Uuait". Perché mi fa pensare alla parola inglese "wait".

Siamo passati da un momento in cui il fumetto, molto tempo fa, in cui il fumetto era una pubblicazione cadenzata, schedulata. Cioè, sapevi cosa stava succedendo e non era così importante che tu avessi una concezione chiara di tutte le etichette editoriali, però, nel bene o nel male era un posto in cui ti potevi orientare. Oggi le cose sono diverse e vorrei chiedervi secondo voi come si fa oggi, soprattutto essendo autori giovani, a lottare per la visibilità in un settore che non solo è sovraffollato, ma anche iper produttivo?

Personalmente credo sia una domanda che puoi fare a me perché, sinceramente,  non ho mai lottato per la visibilità. Io ho una sola necessità nella vita che è raccontare le mie storie, che è veramente un ossessione. Nel senso che io faccio questo per lavoro, ma è anche il mio hobby. Nel mio caso credo che questa cosa che tu chiami "visibilità" sia premiata, in realtà, da un qualcosa che i lettori percepiscono come sincerità. Una roba abbastanza filosofica, abbastanza impalpabile. Questa domanda andrebbe, più che altro, girata agli editori. Perché solo un editore ti può dire come si può lottare per il libro. Riguardo agli autori, oggi c'è un culto della personalità che, secondo me, va fin troppo oltre. Io preferirei un premio che premia le storie più che gli autori. È anche vero che oggi abbiamo delle necessità, come ad esempio l'uso dei social, senza il quale un autore può trovarsi a sparire. In questo senso, ahimè, sono pessimo. Pubblico roba a mezzanotte e questo non crea alcun seguito, a differenza di Vittoria che invece è molto brava con i social.

Questo dipende anche da una questione molto pratica di come utilizzi i social. Però io la trovo completamente malsana. Il fatto che devi utilizzare i social in una determinata maniera per renderti visibile.

Però è anche necessario. Perché oggi non c'è un'altra possibilità e fa schifo.

Perché è un po' come per le persone che acquistano un libro dalla copertina, purtroppo.

Esatto. E questa cosa, come autore/artista, non vi da un po' fastidio?

Sì, da un fastidio incredibile. Io vorrei poter disegnare quello che voglio al mio ritmo. Ti faccio l'esempio dell'Inktober e di qualunque altro movimento simile sui social: mi piace tantissimo come concetto, però mi rendo conto che  una cosa che molti fanno solo per vicibilità e basta. Il fatto che più posti, più hai visibilità, questo lo trovo malsano ma proprio per la vita dell'artista/disegnatore. Perché ti prende tempo e perché ti prende energia.

Dal mio punto di vista l'editoria legata ai fumetti ha avuto un boom notevole nel corso degli ultimi anni e sta continuando a crescere. Sappiamo bene che questo non può essere un processo infinito per cui, credo, ad un certo punto potranno verificarsi due situazioni: o questa è una bolla che prima o poi scoppierà, oppure deve, per forza di cose, evolversi a un passo successivo. Secondo voi che cosa potrebbe succedere?

Sono d'accordo e personalmente vedo che qualcosa cambia, quanto meno dal punto di vista dei social. Si percepisce che internet, nell'internet "visivo" che frequento, come Instragram, c'è questo seme malvagio, malsano e qualcosa sta cambiando. Penso anche al fatto che su Instagram siano spariti i like. Pian piano internet va avanti nella sua storia, e di paro passo credo si cerchi di rendere le persone meno folli.

Sono d'accordo con Vittoria. Invece, sulla questione dell'editoria che sta cambiando, io penso che tutto dipenda dalle personalità e dalle entità editoriali che sicuramente cambieranno il gioco. La prima è ovviamente Feltrinelli. Feltrinelli è una casa editrice che però ha anche delle librerie e questa cosa cambierà tutto, perché farà entrare a piedi uniti il fumetto nella cultura di chi entra in libreria abituando anche il compratore casuale. Questo cambierà delle cose e speriamo che non sia una bolla, l'unica speranza è quella ma non lo possiamo sapere ora. Sicuramente chi ha cambiato prima le carte in tavola è Zerocalcare. Perché ha trovato una collocazione di mercato, una generazione simile a lui che aveva l'età esatta per poter comprare quelle cose. Penso sia qualcosa che oggi non sarebbe possibile ma va benissimo così, perché ha comunque portato visibilità all'intero settore. Quindi: o troviamo sempre, in continuazione, dei fenomeni culturali, attraverso ad esempio Instagram, come può essere Fumetti Brutti, oppure starà alla gente andarsi a leggere i fumetti per conto proprio. Quest'ultimo caso, però, potrebbe verificarsi se e solo se abituassimo le future generazioni a leggere i fumetti sa subito, sin da bambini, colmano quello che è oggi un gran problema culturale.

Visto che abbiamo parlato della sovraesposizione degli autori e dei loro pensieri vi chiedo: allora dal vostro punto di vista l'autore, oggi come oggi, che ruolo ha?E soprattutto, qual è il senso che volete dare a voi stessi come autori?

Secondo me sta cambiando anche questo, ovvero, fino a poco tempo fa chi lavorava nel fumetto era effettivamente un professionista del raccontare le storie, ma non è che avesse necessariamente qualcosa da raccontare. Oggi è venuta fuori un'intera generazione di persone che ha qualcosa da dire. Lo vedo con Vittoria, lo vedo con Martoz, lo vedo con tanti altri autori delle auto produzioni: autori che rappresentano la parte più genuina del raccontare storie perché, tolto tutto quello che può essere il pensiero editoriale, racconti tutto quello che vuoi raccontare. È questo che sta cambiando le cose e che, secondo me, significa essere autori ora.

Oggi c'è della profondità, c'è dello spessore, però questo non vuol dire che un autore idolatrato non abbia cose da raccontare, perché la qualità può stare anche in personalità, in personaggi, che hanno una visibilità maggiore. Ora le personalità maggiori sono, ovviamente, Roberto Recchioni e Zerocalcare, ma non è detto che tra un poco anche Fumetti Brutti, che sta ricevendo tanta visibilità, non possa essere da meno. Yole, ad esempio, è una persona che ha sempre qualcosa da dire.

Stavo per dire la stessa cosa. Bravissima, siamo veramente. Se penso a Zerocalcare penso a uno che ha tantissimo da raccontare. Ed è per quello che ha successo, perché la gente capisce che è sincero e il lettore lo percepisce. La carta prende tutto, è come la telecamera.

Vorrei anche aggiungere che secondo me il problema sorge quando tu, da personalità del settore, ti senti spinto a dover fare le cose per il pubblico più che per te stesso. In quel momento, quando inizi a raccontare per qualcun altro, allora si vieni meno al ruolo che dovresti avere come autore.

Credo tu abbia detto una cosa bellissima, ma a questo punto rispondi ad una mia curiosità: come fa un disegnatore a non raccontare per qualcun altro? 

Dipende da come lo fai. Se dai spessore al tuo lavoro, se ci metti personalità, allora sei coerente con il tuo ruolo di autore, secondo me. Per dire, Palloni mi ha offerto la sua storia e la cosa che mi è piaciuta di più, una delle cose che mi sono piaciute di più, è che è stato molto aperto per ridiscutere alcune cose, per fare un piccolo ping pong di idee.

Quindi ti ha dato la possibilità di interiorizzare la storia per poi disegnarla facendola tua. 

Quello è fondamentale.

Sin dalla lettura del pitch ho pensato che la storia di Desolation Club fosse una bomba e quando ho cominciato a lavorarci mi sono lasciata coinvolgere dalla storia e l'ho sentita mia. Inoltre, la libertà creativa che mi ha dato Lorenzo mi ha permesso di metterci davvero del mio, e questo è stato bellissimo.

Quindi, voi sentite che è ancora un ottimo momento per essere degli autori, a patto che tu riesca ad essere un autore che ha voglia di dire qualcosa?

Secondo me, ci sono tante apparenze.

Secondo me è il momento giusto per esserlo. Il nostro non è un mercato estremamente ricco e la fortuna del fumetto è forse proprio questa, anche perché non si creano particolari gelosie tra autori e artisti.

Sei sicuro?

Qualcosina c'è, ma siamo al livello di discussioni tra i bambini che, in ogni caso, non mi interessano. Come ho detto, a me interessano quelle persone che hanno effettivamente qualcosa da raccontare e tra quelli non può esserci gelosia. Abbiamo la fortuna di avere un piccolo mercato, estremamente creativo, estremamente recettivo, soprattutto adesso che è in espansione però, come hai detto tu, questa o è una bolla e quindi esplode e andiamo tutti a casa, o si trasforma e prende un'altra direzione, A quel punto, però, bisognerà reinventare qualcosa, bisognerà trovare nuove storie da raccontare e credo che per ora ci basti che siano sincere.
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