Made In Korea, recensione: l'adolescenza di una intelligenza artificiale

Made in Korea, il fumetto edito da Panini Comics, racconta i traumi dell'adolescenza attraverso l'autodeterminazione di una I.A.

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a cura di Giovanni Zaccaria

È bello poter analizzare le difficoltà e i traumi dell’adolescenza tramite la recensione di Made in Korea, il nuovo fumetto di Jeremy Holt e George Shall per Image Comics edito da Panini Comics in Italia. Vedete, quando si diventa genitori, improvvisamente si cominciano a comprendere cose che prima sembravano davvero inarrivabili. Già, persino quelle strane raccomandazioni che ci facevano i nostri genitori e che noi rifiutavamo puntualmente. Ma con l’età adulta cominciamo anche a scordarci di quanto difficili siano stati gli anni dell’adolescenza, specie per chi come noi si è sempre sentito un outsider (Eddie Munson docet) ed è un bene quando qualche lettura ce lo ricorda.

Come nasce una intelligenza artificiale?

In un futuro non poi così distante la coreana Wook-Jin Industries si è specializzata in bio-ingegneria robotica, mettendo in produzione i proxy, ovvero robot dalle sembianze umane che possono essere affidati a delle famiglie a cui purtroppo il destino non ha concesso di avere figli. Kim Dong Chul, bioingegnere impiegato, riesce a compiere un’impresa incredibile e a sviluppare un algoritmo che, una volta installato in un proxy, sembra essere in grado di sviluppare una intelligenza artificiale senziente ed auto cosciente.

Chul, di nascosto, riesce ad installare questo algoritmo su un modello poco prima di essere licenziato per le sue frequenti assenze e il modello in questione viene inconsapevolmente venduto ad una famiglia texana. Il modello, Made in Korea appunto, verrà ribattezzato Jesse e fin da subito dimostra strane peculiarità, dimostrando un appetito per la conoscenza e la gestione dei rapporti sociali assolutamente inedita per una macchina.

Dopo aver divorato libri su libri, la famiglia accetterà la richiesta di Jesse di poter frequentare il liceo cambiando radicalmente l’esistenza del proxy e il suo ruolo nel mondo. Ma Chul sa di aver dato origine ad una vera e propria nuova forma di vita e si metterà in moto per cercare di riappropriarsene, con l’aiuto del cugino.

Nella recensione di Made in Korea ci tengo a far emergere quello che rappresenta il fulcro della narrazione di Jeremy Holt e cioè la rappresentazione (neanche poi così tanto metaforica) delle difficoltà che si sperimentano durante il periodo dell’adolescenza.

Parliamo di incapacità di comprendersi e quindi di accettarsi, di trovare una propria “collocazione” che ci faccia sentire realizzati, di integrarsi con gruppi di persone con i quali spesso non ci riconosciamo, fino ad arrivare alla sessualità.

Come abbiamo già avuto modo di sperimentare in tanti romanzi e film, Jesse dopo un iniziale smarrimento diventerà sempre più consapevole di sé stessa, finendo però nella rete dell’illusione, tipica di chi manifesta un animo buono, non malizioso. La solitudine o la percezione di essa fa compiere degli errori, frequentare brutte compagnie e compiere azioni negative (quando non addirittura catastrofiche, come nel caso di Made in Korea) per sé stessi e purtroppo per gli altri.

La piccola proxy Jesse, incapace di crescere nel suo corpo cibernetico, diventerà il centro di una contesa: la sua famiglia texana la vorrebbe proteggere e crescere come un’umana, con sincerità; il suo creatore Chul vorrebbe ricongiungersi a quella che ritiene essere sua figlia senza rendersi conto che Jesse ormai non è più un oggetto o una proprietà privata; i pericolosissimi outsiders della scuola la vogliono come alleata per sentirsi meno diversi (chi può definirsi più diverso di un robot in mezzo agli umani) e per mettere in pratica uno scellerato piano (terribilmente verosimile e attuale); la Wook-Jin Industries vorrebbe semplicemente cancellare un errore che può dar vita ad un precedente catastrofico.

E in mezzo Jesse. Una intelligenza artificiale che non ha chiesto di essere creata così diversa dal resto del mondo e che cerca solo uno spazio per autodeterminarsi. In pratica quello che vive ogni adolescente al mondo, al centro delle pressioni della famiglia, delle compagnie di amici o presunti tali, della scuola e delle istituzioni.

L'adolescenza come un algoritmo

La narrazione di Jeremy Holt, lodata persino dal famosissimo Brian K. Vaughan, è scorrevole, genuina; i dialoghi sono intelligenti e verosimili e pur non trovandoci di fronte a qualcosa di super originale (l’autodeterminazione delle intelligenze artificiali è stata a centro di centinaia di opere).

Altro aspetto importante da evidenziare nella recensione di Made in Korea è l’aspra critica sociale che l’autore riesce a fare alla società americana ultra armata e alla natura umana stessa, pur inventandosi una trovata interessante: infatti il possesso di armi in questo universo narrativo è proibito dal oltre 50 anni, tuttavia resiste una sorta di mercato nero relativo alla fabbricazione di armi più o meno artigianali che si fa strada nel sottobosco dei dissidenti e facinorosi.

Quasi come a ricordare che purtroppo, l’istinto di nuocere al prossimo è insisto nell’animo di una parte dell’umanità. Si può contrastare e ridurre con leggi lungimiranti e protocolli illuminati, ma serve soprattutto educazione e attenzione verso la società civile.

Il brasiliano George Shall ai disegni risulta pop ed essenziale, per molto versi gradevole con le sue forme semplici e le sue inquadrature amichevoli, anche se piuttosto statico nelle rappresentazioni delle (poche) scene più dinamiche. Ma non è certo nella dinamicità che va cercato il carattere di Made in Korea quanto piuttosto sul messaggio e sulla tematica profonda.

Quindi il disegnatore riesce a risultare adeguato al compito e anche piuttosto generoso di dettagli, cosa sempre gradita se unita ad una palette di colori tenue e mai aggressiva, anche quando potrebbe. Ecco se proprio, vogliamo trovare una peculiarità insolita possiamo dire che Made in Korea non fa quasi nulla per identificarsi nel genere fantascientifico, lasciando volutamente quella componente un pochino più ai margini e preferendo la chiave metaforica per spiegare i mutamenti dell’adolescenza.

Conclusioni

In conclusione della recensione di Made in Korea non posso che rimanere piacevolmente colpito e soddisfatto da letture come questa, che riescono a raccontare in maniera convincente ed emozionante temi che dovrebbero sempre accompagnarci nella vita. O che quantomeno non dovremmo mai sottovalutare o dimenticare.

Image Comics si riconferma sempre un grande contenitore capace di far emergere piccole perle narrative, talvolta sottovalutate mediaticamente e al grande pubblico ma capaci di restituire l’autenticità del piacere della lettura. E in un modo “usa e getta” è assolutamente non scontato!

Dalle recensione di Made in Korea di Holt e Schall emerge questo: lettura consigliatissima, con una doppia valenza, ottima per un pubblico adolescente, che può trarne un messaggio intelligente e profondo, ma anche (e soprattutto forse) per un pubblico maturo, prossimo al grande viaggio della genitorialità o già con figli, per non dimenticare mai l’importanza del proprio ruolo.