Pinocchio di Guillermo del Toro, recensione: una gioia sferzante, dissacrante e inaspettata

Il Pinocchio di Guillermo del Toro brilla per la sua diversità rispetto alla precedenti versioni proiettandosi verso qualcosa di nuovo.

Avatar di Nicholas Massa

a cura di Nicholas Massa

Se siete alla ricerca di un film che ricostruisca letteralmente, sul grande schermo, la celebre fiaba che Carlo Collodi pubblicò nel 1881, Pinocchio di Guillermo del Toro non fa assolutamente per voi. È proprio nella libertà creativa alla base di questa narrazione che affiora tutta la sua arte, e quel “tocco” tipicamente autoriale cui il regista ci ha abituati nel corso di tutta la sua carriera. Non fraintendete queste parole, però, il film in arrivo su Netflix dal 9 dicembre e in alcune sale cinematografiche selezionate dal 4 dicembre, non manca in nessun modo di rispetto alla sua fonte originale, tendendo a seguirla passo passo con una visione che ne mantiene saldamente alcune delle tematiche principali, trasformandole però in qualcosa di nuovo e molto particolare pensando non soltanto quello che accade al burattino, ma inserendolo in un contesto storico molto forte che ne valorizza ogni singolo sviluppo, risultando anche attuale.

La storia di un uomo e di un burattino, questo amore viscerale verso la vita, e verso una crescita che necessita di esperienza ritornano, ma sono semplicemente diverse, più adulte per certi versi, scrollandosi di dosso tutte le idee più bonarie e ipocrite in favore di una narrazione concettualmente lacerante e imprevedibile dall’inizio alla fine.

Pinocchio di Guillermo del Toro: vita, perdita e amore

Tutto comincia con un oggetto apparentemente insignificante, custodito dall’amore di un bambino ormai perduto. Il dolore di questa perdita si riflette sulla vita di Geppetto, un padre totalmente distrutto e a pezzi, un uomo obbligato a trascinarsi dietro un fardello che per tutta la sua vita lo tormenterà dal profondo della sua anima. Già nella rappresentazione di questo singolo personaggio il Pinocchio di Guillermo del Toro si distanzia da tutto il resto. Il suo incipit è estremamente adulto, pur se tratteggiato da qualche elemento affabulante, preparando la strada a un viaggio molto complesso nel suo insieme e ben lungi dalla semplicità di qualsiasi trasposizione precedente.

Nella sofferenza di quest’uomo troviamo il recondito desiderio di avere indietro il suo bambino, di poterlo stringere almeno un’altra volta nella vita, al punto di realizzare un abbozzato burattino proiettando sulle sue forme quello che ha dentro, in un processo che va ben oltre il semplice concetto di arte o talento nell’intagliare. Pinocchio, almeno nella sua prima versione nel film, non è in alcun modo perfetto o carino come nella sua controparte Disney, ad esempio, ma grezzo e incompleto, la perfetta proiezione di qualcuno che deve ancora definirsi, in qualche modo.

Qualcosa di totalmente inaspettato, però, consegnerà la vita nelle mani di questo nuovo artefatto proveniente dal cuore in pezzi di un uomo che non ha più nulla da perdere, stravolgendo totalmente la situazione. Pinocchio dovrà così cercare di comprendere il suo posto nel mondo avendo una sola ed unica certezza: lui vuole e vorrà sempre bene al suo papà.

Siamo nell’Italia fascista, Il Pinocchio di Guillermo del Toro è ambientato durante l'ascesa al potere di Benito Mussolini e durante la formazione dell'Italia fascista, un contesto che è palese in ogni scena successiva alla creazione del leggendario burattino. La sua stessa esistenza sarà travolta da questo contesto storico che cercherà prima di condannarlo per poi utilizzarlo per i propri scopi. Anche perché il Fascismo è un altro dei grandi personaggi di questa narrazione, sempre presente, sempre sul posto e sempre pronto a muovere i passi e le parole di tutti, o quasi, coloro che incontrano o incrociano il cammino di Pinocchio. In un’Italia in cui le persone stanno diventando dei burattini del potere l’unico vero burattino, però, sovverte qualsiasi regola gli venga imposta, rispondendo alle varie situazioni con una spontaneità dissacrante e sempre satirica.

Nella trama del Pinocchio di Guillermo del Toro, quindi, non avremo affatto la narrazione più classica ispirata alla storia originale, piuttosto una trama estremamente satirica e brillante, in cui gli elementi più dissacranti si fondono perfettamente con un intimismo espressivo che sovverte, coscientemente, tutto quello che ci si potrebbe aspettare da una storia del genere.

Durante il suo viaggio questo Pinocchio seguirà alcune delle gesta che tutti conosciamo, solamente in una chiave differente, pronta a riflettere partendo da spunti anche simili al passato (al libro e alle trasposizioni più classiche, per intenderci), rinfrescandole, però con spunti nuovi che giocano moltissimo con gli elementi già conosciuti di questa storia. Alcuni personaggi ritorneranno in forma diversa, come il Conte Volpe (che fonde al suo interno alcune dinamiche di Mangiafuoco e della Volpe, appunto), o Lucignolo e il suo viaggio nel Paese dei Balocchi e tantissime altre piccole cose che non vi anticipiamo per non rovinarvi l’esperienza.

Perfezionismo tecnico 

L’idea di un Pinocchio realizzato in stop-motion venne a del Toro fin dalla più tenera età, riuscendo a dargli finalmente forma dopo essere entrato in contatto con il CEO di The Jim Henson Company, Lisa Henson. Questa compagnia aveva acquistato i diritti per un progetto del genere nel 2002, includendo al suo interno le illustrazioni di Gris Grimly, per poi contattare il regista così da affidarglielo. Nel corso degli anni, pur essendosi originato da un grande entusiasmo iniziale, le sue tempistiche hanno vissuto momenti particolari, segnati da ripensamenti e cambiamenti artistici vari, prima di giungere nella forma cui lo abbiamo visto.

Dal punto di vista tecnico il Pinocchio di Guillermo del Toro risulta un lavoro di altissimo livello su più fronti. Non soltanto dal punto di vista dell’animazione generale, estremamente fluida e ben organizzata in ogni inquadratura, ma nella resa formale totale. La regia, il montaggio e soprattutto le varie scenografie giocano moltissimo con lo spettatore più attento e magari appassionato del genere, risultando un misto di nostalgia e ispirazione artistica continua. Non soltanto il “modo” in cui hanno costruito quello che vediamo, ma il “dove” in cui tutto avviene. Così il regista alterna momenti affabulanti a guizzi surreali, osando ulteriormente nel delineare qualcosa che tutti siamo convinti di conoscere, anche abbastanza bene.

Andare nel profondo

Il contesto del Pinocchio di Guillermo del Toro gli consente d’intessere qualcosa che va più a fondo rispetto alla storia di un personaggio immaginario, impiantandone le dinamiche in un racconto con una voce che parla e dice apertamente tutto quello che pensa ai suoi spettatori. La satira sferzante di alcuni suoi sviluppi e scelte narrative, si incontrano con momenti delineati da una complessità che merita qualche ragionamento anche successivo alla visione. Ѐ come se il film stesso avesse due facce ben distinte ma comunque coerenti fra loro: da una parte troviamo questo approccio satirico-storico che rielabora il materiale di partenza in una storia che rompe continuamente lo schermo senza farsi troppi scrupoli, mentre dall’altra abbiamo la storia di un burattino che deve confrontarsi con momenti molto più profondi e personali in cui entrano in gioco riflessioni sulla vita e la morte, sul rapporto padre-figlio, sulla perdita, sul dolore, sull’identità e sul libero arbitrio.

Oscillando continuamente fra queste due dimensioni il Pinocchio di Guillermo del Toro ne esce vincente e vincitore, segnando un percorso che merita assolutamente di essere visto, sia per la sua complessità tematico-adulta che per il messaggio di fondo restituito a chi vi si addentra, una volta che tutti i fili sono stati tagliati.