The Blues Brothers: due pazzi in missione per conto di Dio

In missionne per conto di Dio, tra inseguimenti, battute esilaranti e cantanti sopraffini: The Blues Brothers.

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a cura di Manuel Enrico

Il 20 giugno 1980 (in Italia arrivò il 13 novembre dello stesso anno) esordì nei cinema americani The Blues Brothers. Cosa può esserci di più nobile e meritevole di schierarsi al fianco di un orfanotrofio, per impedirne la chiusura? Al giorno d’oggi con il crowdfunding sarebbe facile raccogliere i fondi necessari, ma se facciamo un passo indietro agli anni ’80, erano ben altri i metodi per raggiungere questo scopo. Alcuni leciti, altri un po’ meno, come ha mostrato uno dei grandi cult del cinema: The Blues Brothers. Difficilmente chi partecipò alla realizzazione di questa strampalata avventura comica dalle forti connotazioni musicali avrebbe potuto immaginare un simile successo, eppure la pellicola con protagonisti i due fratelli galeotti è diventata un fenomeno di costume. Ma d’altronde non poteva andare altrimenti, visto che i fratelli Blues erano nientemeno che in missione per conto di Dio.

Alcuni film assurgono al ruolo di cult per una generazione di fan sfegatati, pagando però pegno col passare degli anni. The Blues Brothers appartiene a quel ristretto novero di titoli epocali che non hanno perso nulla del proprio fascino col trascorrere del tempo, mantenendo inalterato il carisma e la personalità che li avevano fatti amare follemente dagli spettatori. E solitamente, questi miti intramontabili nascono da travagliati percorsi creati. Ovviamente, The Blues Brothers non fa eccezione.

La nascita dei Blues Brothers

A cavallo degli anni ’70 e ’80 in America stava nascendo una nuova generazione di grandi comici. Nomi come Chevy Chase, Bill Murray, Billy Cristal, Steve Martin e Robin Williams stavano riscrivendo le regole dell’intrattenimento comico, e avevano in comune il palco su cui si esibivano: il Saturday Night Live. Vero e proprio cult americano, un varietà comico dalla longevità incredibile e imitato in tutto il mondo, il Saturday Night Live era più che un semplice programma divertente, come si scoprì anni dopo: era una palestra per quei comici che negli anni a seguire avrebbero rivoluzionato il mondo del cinema americano. Spinti dalla dirigenza del Saturday Night Live, gli artisti erano invogliati a osare sempre di più, a ragionare fuori dagli schemi, in modo da stupire e divertire il pubblico con nuove trovate comiche.

Tra questi giovani comici, figuravano anche due nomi che presto avrebbero segnato un’epoca: Dan Aykroyd e John Belushi. I due erano alle prime armi, ma sapevano già come arrivare alla creazione di sketch esilaranti, con una padronanza dei tempi comici e una visione ironica e dissacrante della vita americana del periodo perfetti.

Durante uno di questi sketch, Aykroyd e Belushi divennero le guardie del corpo del presidente Ford, interpretato da Chevy Chase. Questo siparietto comico andò in onda sul finire del 1977, e i due attori, nel cercare di impersonare due spietati agenti dei servizi segreti, scelsero un look total black, con tanto di vistosi occhiali da sole scuri. Inconsciamente, Aykroyd e Belushi stavano facendo i primi passi verso la definizione dei loro due personaggi di maggior successo. Anni dopo, quando era esploso il mito dei Blues Brothers, Ayrkroyd raccontò come nacque questo look:

“L’ispirazione ci venne dall’albume House of the Blues di John Lee Hooker. Chi non vorrebbe sembrare così figo? Così ci mettemmo giacca e cravatta, finendo per assomigliare a due agenti dell’FBI. Creammo un look unico, che funzionò alla perfezione!”

C’era però un’altra componente essenziale di The Blues Brothers che stava iniziando a farsi strada: la musica. Quando nel 1975 i due comici si trovarono a lavorare assieme nel Saturday Night Live, Aykroyd e Belushi erano già amici e l’ingresso in questo programma storico li convinse che era l’ora di dare risalto alla musica blues, una passione che Aykroyd aveva trasmesso all’amico.

https://youtu.be/RdR6MN2jKYs

I due non erano sprovveduti, ma, animati da una passione genuina, si erano già esibiti in locali, e il successo riscontrato li aveva convinti a proporre allo show un loro numero musicale. I dirigenti del Saturday Night Live, però non erano particolarmente convinti, e inizialmente li fecero esibire prima della messa in onda, per scaldare il pubblico. Scelta che si rivelò vincente, considerato che i presenti apprezzavano le loro esibizioni.

Forti di questo apprezzamento, i due tornarono alla carica e riproposero la loro idea, ma il creatore dello show, Lorne Michaels, li mise di fronte a una scelta: se volevano esibirsi nel loro numero canoro, dovevano vestirsi da api. Come facilmente intuibile, nel 1976 due api suonarono il blues al Saturday Night Live.

Fu il primo passo per la creazione dei Blues Brothers, che solo in seguito al citato sketch con Chevy Chase, assunsero il look che oggi associamo loro, quando vennero presentati da Steve Martin durante la puntata del Saturday Night Live del 22 aprile 1978.

In questa occasione, su consiglio del curatore delle musiche dello show Howard Shore, Aykroyd e Belushi si fecero presentare come i Blues Brothers. Nemmeno da dire, fu un successo strepitoso. Al punto che ad Aykroyd e Belushi venne in mente di creare veramente la Blues Brothers Band, con cui esordirono come cantanti nell’autunno del 1978 con l’album Briefcase Full of Blues, registrato dal vivo mentre i due aprivano gli spettacoli di Steve Martin del settembre 1978. L’amore che i due comici avevano per il rythm and blues era così radicato che portò alla creazione di un album considerato, ancora oggi, uno dei migliori prodotti del R’n’B, grazie ai suoi oltre 3 milioni di copie vendute.

Un simile successo non poteva che condurre al passo successivo: arrivare al cinema.

I Blues Brothers conquistano Hollywood

Sin dalla prima comparsa dei Blues Brothers era chiaro che questi due insoliti fratelli non erano fatti per rimanere un episodio isolato. All’interno di Briefcase Full of Blues era contenuto anche un primo accenno di biografia dei due cantanti: fratelli di sangue cresciuti in un orfanotrofio di Chicago, si appassionarono al blues, grazie all’inserviente Curtis, al punto da giurare di diventare cantanti facendo un patto di sangue tagliandosi la punta di un dito con una corda di acciaio che si diceva arrivasse nientemeno dalla chitarra di Elmore James, il celebre King of the Slide Guitar e uno dei massimi esponenti del Blues.

Era evidente come la creazione del background dei Blues Brothers fosse molto più della semplice definizione di due personaggi comici. Aykroyd e Belushi continuavano a perfezionare i loro alter ego canori, un’attività che coinvolse maggiormente Aykroyd, che, aiutato da Ronnie Gwynne, sviluppò tutto il passato dei due scapestrati fratelli.  Inizialmente si era pensato di dare vita a ulteriori sketch nel Saturday Night Live e di continuare la carriera canora, ma col passare del tempo e la continua definizione della storia dei personaggi, era sempre più evidente che il Saturday Night Live non poteva più contenere l’esuberanza dei Blues Brothers.

Nel frattempo, Belushi era divenuto una star di Hollywood. Nel 1978 era stato il protagonista di un altro film  ivenuto un cult, Animal House, che lo aveva fatto diventare uno degli attori comici più promettenti della sua generazione. Con il successo di Animal House, Belushi era proiettato verso una carriera incredibile, basti pensare che nel 1978 era la star di riferimento del principale show comico americano (Saturday Night Live), il protagonista del film comico di maggior successo (Animal House) e un affermato cantante con la Blues Brothers Band.  Queste esperienze convinsero Belushi che i Blues Brothers dovevano divenire protagonisti di un film, una consapevolezza che, una volta resa pubblica, scatenò una competizione serrata tra Universal e Paramount, con quest’ultima che alla fine la spuntò sulla concorrente.

Nelle prime idee della major, il film si poteva realizzare con un budget di 12 milioni di dollari, mentre Aykoryd, Belushi e John Landis, scelto come regista dopo la sua precedente esperienza con Belushi in Animal House, ritenevano necessario un impegno economico di almeno 20 milioni. Questi discorsi erano imbastiti su un’idea, considerato che non era presente nemmeno una sceneggiatura, aspetto che spinse Universal a rimandare ogni decisione sino alla presentazione di una sceneggiatura. Compito che ricadde su Dan Ayrkroyd, che, come confessò lui stesso anni dopo nel documentario Stories Behind the Making of The Blues Brothers, non aveva mai scritto prima una sceneggiatura e non trovando un aiuto, decise di mettersi all’opera da solo.

Il risultato fu una sceneggiatura di circa 320 pagine, redatta non secondo la prassi ma più come un’opera libera. Per ironizzare sul suo lavoro, Aykroyd firmò la copia della sceneggiatura mandata agli studios con il nome di Scriptatron GL-9000, ma il produttore Robert Weiss decise di affidare questa sceneggiatura a John Landis, in modo da renderla gestibile per realizzare il film. Fu una scelta vincente, come confermò lo stesso Ayrkroyd:

“La mia sceneggiatura originale era intitolata Il Ritorno dei Blues Brothers e conteneva due film. John Landis lo rese gestibile in 150 pagine. Fu l’elemento chiave del progetto, mise tutto assieme”

A Landis vanno riconosciute alcune delle grandi intuizioni di The Blues Brothers, con scene divenute indimenticabili. Le sue ispirazioni venivano da cose incredibili che avvenivano realmente durante la lavorazione del film. Ad esempio, come ricordò Ayrkroyd, la celebre scena nel diner di Aretha Franklyn:

“Landis scrisse la battuta ‘quattro polli fritti e una coca’ dopo avere visto John mangiare veramente quattro polli fritti”

Sempre a Landis si deve una delle battute più celebri del film, secondo quanto raccontava lo stesso regista:

“Inserii la cosa della ‘missione per conto di Dio’ come omaggio a Dan perché quasi un fanatico religioso con la sua passione per la musica. Sembra incredibile ora, ma nel 1979 l’R’n’B e la Motown era in declino, era l’epoca della disco music. La gente ci chiedeva come eravamo riusciti ad avere nel film tutti quegli attori incredibili, semplicemente li chiamammo. L’intero scopo del film era di mettere in mostra questi straordinari artisti”

Sicuramente Landis fu centrale nella realizzazione di The Blues Brothers, ma tutto il progetto ruotava, volenti o nolenti, intorno a una figura: John Belushi.

John Belushi, l’anima di The Blues Brothers

Parlando di The Blues Brothers, spesso si rimane sorpresi di scoprire che il cachet di Belushi fu il doppio rispetto a quello di Ayrkroyd, nonostante gran parte del lavoro preparatorio del film fu svolto proprio dal futuro Ray Stants di Ghostbusters. Per comprendere questa disparità, bisogna accettare un semplice fatto: Belushi era la star del periodo.

Il successo maturato con Animal House lo stava lanciando nell’Olimpo hollywoodiano, ma subentrò un altro aspetto non meno importante: Belushi era divenuto il simbolo di Chicago, città in cui venne girato il film. La Windy City, popoloso centro operaio, improvvisamente si compattò fiera dietro questo figlio che era divenuto una star, al punto che Aykroyd era solito definire Belushi ‘il vero sindaco di Chicago’. I membri della troupe raccontavano che girare per Chicago con Belushi era come esser con il Papa, John doveva solo chiedere e otteneva tutto, la polizia, addirittura, si prestava a fargli da taxi, come svelò il produttore Mitch Glazer:

“John era capace di fermare le auto della polizia, letteralmente, come se fossero i suoi taxi. E i poliziotti non si facevano problemi, si limitavano a dire ‘Ehi, Belushi!”, noi ci accomodavamo sui sedili posteriori e loro ci portavano in giro”

 Ayrkroyd racconta sempre un aneddoto per spiegare il tipo di rapporto che c’era tra Belushi e la sua città:

“Una notte perdemmo John. Ma non perché fosse alticcio, fu perché era affamato e non gradiva quello che avevamo disponibile sul set. Non riuscii a trovarlo da nessuna parte. Alla fine, notai questo passaggio attraverso un parcheggio in direzione del vicinato, così lo seguii. Tutto il vicinato era buio, tranne una finestra. Mi avvicinai alla porta, bussai e dissi ‘Mi scusi, stiamo girando un film e abbiamo perso uno dei nostri attori’ e questo tizio mi rispose ‘Oh, Belushi? È arrivato un’ora fa, mi ha razziato il frigo e ora sta dormendo sul mio divano”

Questo è un esempio della personalità vulcanica di Belushi, che fu parte essenziale del suo ruolo come Jake Blues. Ma se la sua vena istrionica e irriverente era affascinante, non si può evitare il discorso che mise in crisi seriamente la lavorazione del film e che ebbe un ruolo tragicamente centrale nella vita di Belushi: la dipendenza dalle droghe. Per quanto oggi ci sembri incredibile, durante la lavorazione del film la presenza di sostanze stupefacenti era una consuetudine, come confessò anni dopo Ayrkroyd:

“A quel tempo, la cocaina era normale. Per alcuni membri della troupe che lavoravano di notte, era quasi come il caffè. Personalmente non la ho mai apprezzata, ma non andavo certo alla polizia a denunciare il comportamento altrui. Facemmo uscire matto Landis. A volte non sapeva nemmeno se saremmo arrivati in tempo per girare dopo tutte le varie feste a cui andavamo, ma Belushi era un professionista e non c’era alcun dubbio che si sarebbe presentato”

Eppure, la droga sul set di The Blues Brothers fu una devastante presenza, nonostante la visione edulcorata di Ayrkoryd sulle conseguenze esercitate sul comportamento di Belushi. Altri attori, come Carrie Fisher, già afflitta da questa dipendenza iniziata ai tempi del primo film di Guerre Stellari, ne finì ancora più schiava. Ayrkroyd, con cui la Fisher ebbe una storia durante la lavorazione di The Blues Brothers dopo che l’attore la salvò dal soffocamento con la mossa di Heimlich, assieme a Landis si affidò a lei affinché controllasse Belushi, ma ottenne l’effetto contrario, aggravando la dipendenza della Fisher. Landis ha sempre ammesso questo problema del suo set:

“Quando iniziammo a girare, John era diventato dipendente dalla cocaina. La cocaina ti fa bere, e bere di fa prendere ancora più cocaina. Sconosciuti lo vedevano e gli offrivano cocaina, era impossibile tenerlo lontano dalla droga. Quasi morì durante la lavorazione del film. Per me, la più grande tragedia era che in Animal House era in sé al cento per cento, per me e per lui. In The Blues Brothers nei momenti migliori era se stesso al settantacinque per cento, ma era comunque grandioso, così gran parte della gente non ci faceva caso”

La leggenda vuole che nonostante Belushi fosse sempre seguito da una guardia del corpo, Smokey Wendell,  incaricata di tenerlo lontano dalle droghe, in qualche modo nelle sue tasche arrivavano sempre bustine di polvere bianca, perché come confessò lo stesso Wendell

“Tutti quei ragazzi vogliono dire ai propri amici ‘Ho sniffato con Belushi”

A Chicago, i fan pensavano di fargli cosa gradita e non mancava chi voleva solamente poter dire di essersi fatto una pista con Belushi. Eppure, Belushi riusciva a non mancare un ciack, capace di recitare anche dopo essersi infortunato durante la celebre fuga dalla Pinguina cadendo dalle scale (dove si slogò la schiena e continuò a recitare per il resto del film sotto antidolorifici e indossando un tutore) o di spaccarsi il polso scherzando sullo skate con dei ragazzini e dopo pochi minuti girare come se niente fosse.

Ma questo suo estro artistico non poteva nascondere il suo grave problema, che anche lui riconobbe un giorno in cui Landis, entrando nel suo camerino, lo trovò davanti a quella che il regista definì senza mezzi termini ‘una montagna di cocaina’. Landis ebbe quindi uno straziante confronto con Belushi, che ammise il suo problema, promettendo che terminato The Blues Brothers sarebbe andato in riabilitazione, confessando la propria paura:

“O faccio qualcosa ora, o tra un anno o due sarò morto”

Un timore che divenne realtà due anni dopo, quando il 5 marzo 1982 Belushi morì per un’overdose di spedball (una miscela di cocaina ed eroina).

Dare vita a The Blues  Brothers

Il tanto agognato passaggio dalla comicità rapida degli sketch del Saturday Night Live al grande schermo non fu particolarmente facile per i Blues Brothers. Se è vero che quando venne presentato inizialmente il progetto Belushi era in auge, durante le fasi preparatorie della lavorazione del film uscì un’altra pellicola con protagonista Belushi e in cui compariva anche Ayrkroyd: 1941: Attacco a Hollywood. Girato da Spielberg, questa ennesima avventura comica di Belushi si rivelò un vero disastro nel mercato domestico, venendo solo parzialmente riabilitato dagli incassi europei. Questa debacle si abbattè anche su The Blues Brothers, che venne considerato un esperimento così azzardato da venire ribattezzato nell’ambiente hollywoodiano come 1942. Per tutti, The Blues Brothers era un fallimento sicuro.

Partendo con questa sfiducia dell’ambiente, The Blues Brothers iniziò il suo primo mese di lavorazione con un ritmo perfetto, che si infranse quando entrò in scena Belushi. Girare il film a Chicago si rivelò una tentazione irresistibile per l’attore, che passava da una festa all’altra, rendendo impossibile, con il suo comportamento, mantenere il rispetto della schedulazione dei lavori. Si perdettero intere ore perché Belushi arrivava in ritardo oppure si addormentava come conseguenza della sua condotta festaiola.

Senza dimenticare la presenza della droga, che addirittura figurò come voce di spesa nella rendicontazione della produzione, considerata un aiuto immancabile per chi lavorava nei turni notturni. Sul set venne anche costruito il Blues Club, un vero e proprio bar per gli attori, in cui lo staff si rivelò essere anche il principale fornitore di stupefacenti per tutta la troupe.

E questi ritardi, queste spese folli, continuavano a far lievitare i costi di produzione del film. La visita di esponenti della major, che assistettero alla lavorazione della scena dell’inseguimento, non migliorò la fiducia nella produzione, ma nonostante tutto il film continuò il suo percorso. Fortunatamente, perché da questo set uscì uno dei film simbolo degli anni ’80, grazie ad alcune geniali trovate che furono frutto di situazioni fin più paradossali di quanto visto nel girato.

Basti pensare che per la scena in cui la Pinto dei nazisti dell’Illinois compie il suo ultimo volo, la produzione dovette dimostrare all’ente americano dell’aviazione che la macchina in questione non poteva realmente volare, eseguendo appositi test alla presenza di esperti. E se questo pare eccessivo, può sembrare ancora più incredibile che durante l’inseguimento finale, mentre una quantità incredibile di auto della polizia si aggirava per le strade di Chicago, ignari cittadini chiamavano i distretti di polizia spaventati.

Nulla però regge il confronto con la produzione della scena della scarcerazione di Jake Blues. Non si è mai capito se la produzione non avvisò il carcere o se qualcuno nel penitenziario si fosse dimenticato, ma quando venne realizzata la ripresa aerea con un elicottero, le guardie ignare pensarono a un gigantesco tentativo di evasione, e aprirono il fuoco contro l’elicottero, fortunatamente senza gravi conseguenze.

Fu un’esperienza unica, caratterizzata non solo da problemi ma anche da momenti esilaranti che resero The Blues Brothers un film da record, come la presenza di più auto distrutte nella storia del cinema, un primato scalfito sono vent’anni dopo, o il fatto che le guardie assunte per vigilare la mercanzia del centro commerciale in cui i Blues Brothers irrompono in auto si rivelarono dei ladri che saccheggiarono la struttura. Landis stesso ricorda questo film come un qualcosa di incredibile:

“Fu incredibile girare il film, ma fu anche complicato. Molte delle storie più assurde vengono dal film stesso, insomma non puoi girare con 42 macchine che vanno a 110 miglia orarie a Chicago. Quando guardate quelle scene, non ci sono riprese accelerate. Questo richiese così tanto lavoro e la cooperazione con la polizia, avevamo un’officina aperta 24 ore al giorno. Ci sono storie che usammo centinaia di macchine, ma non sono vere: quando guardate quelle pile di auto, abbiamo usato sempre le stesse venti e le abbiamo sistemate. Per la fine del film, avremo distrutto probabilmente 25 auto”

E di queste auto, ben 12 erano Dodge Monaco del 1974, modello oramai universalmente noto come Bluesmobile, l’auto dei due scapestrati fratelli. Per le scene in cui l’auto veniva distrutta, ne fu costruita appositamente. Il successo di The Blues Brothers rese questo modello di auto un vero e proprio oggetto da collezione, venendo anche riprodotta da fan, ma l’unica originale ancora conservata appartiene al cognato di Dan Ayrkroyd. Data la rarità della Dodge Monaco, spesso in sua vece per riprodurre la Bluesmobile si utilizza la Dodge Coronet del 1974, come hanno fatto gli Universal Studios di Hollywood.

Io li odio, i nazisti dell’Illinois

The Blues Brothers, pur uscendo nel 1980, dovette scontrarsi con una delle piaghe della società americana: il razzismo. A ben pensarci, la musica protagonista della colonna sonora di The Blues Brothers ha una forte componente afroamericana, incarnata dalle voci inconfondibili di artisti come Aretha Franklyn o Ray Charles. Ma era comunque impensabile che a fronte di una spettacolare messa in scena, canora soprattutto, la distribuzione di The Blues Brothers dovesse scontrarsi con la paura di alcuni esercenti di sale cinematografiche, specie negli stati del sud degli USA, che temevano che una presenza così nutrita di artisti di colore fosse un potenziale difetto del film, come svelò Ayrkroyd:

“I cinema del sud non volevano proiettare il film per via degli attori afroamericani presenti, ma quando divenne un successo scelsero di proporlo e la gente venne a vederlo”

Questa scelta impedì a The Blues Brothers di essere il campione d’incassi dell’anno, visto che si piazzò solo secondo, preceduto da L’Impero colpisce ancora. Ma l’intento di diffondere questa musica profonda, nata proprio da una connotazione razziale, era fondamentale per i due attori, doveva essere un messaggio forte, tanto che, raccontò Ayrkroyd, venne presa una scelta precisa:

“Era un atto di preservazione culturale. Ci accertammo che gli autori del materiale mantenessero i loro diritti di pubblicazione. John e io prendemmo solo i diritti come performer. Ogni canzone che incidemmo fruttò compensi per gli autori al 100%, compresi i diritti dell’album. Era una decisione etica e i compositori e i loro eredi hanno beneficiato da questo”

Parlando di razzismo in The Blues Brothers, impossibile non citare i Nazisti dell’Illinois, protagonisti di una delle scene cult del film. L’ispirazione per questa combriccola di nostalgici nazisti venne dopo che a Chicago, nel 1977, il partito neonazista di Chicago, il National Socialist Party of America, vinse una causa in tribunale per ottenere il diritto a svolgere manifestazioni. Causa, ironia della sorte, vinta grazie Burton Joseph, avvocato di origine ebrea.

Ispirati a questa sentenza, in The Blues Brothers comparve l’American Socialist White People’s Party, il cui acronimo ASWPP suona come il termine ‘ass wipe’, ossia pulirsi il culo, in slang.

Blues Brothers: puro amore per la musica

The Blues Brothers è molto più di un film, è un’autentica dichiarazione d’amore per la musica. Sin dal concepimento dei due protagonisti, Ayrkroyd e Belushi li avevano ideati come un tramite per omaggiare lo spirito autentico del R’n’B, tenendo alto il suo valore in un periodo in cui i gusti musicali si stavano muovendo in altre direzioni.

Una passione che coinvolse tutta la troupe, tanto che Landis aveva ben chiaro quale fosse il vero senso del film:

“The Blues Brothers è la dimostrazione della passione di Dan e John per il blues. Hanno sfruttato la loro celebrità per focalizzare l’attenzione sulla musica soul. Sono orgoglioso di questo, e credo anche che siano un film totalmente fuori di testa. Ci sono molte ragioni per girare un film e si può avere successo o meno su diversi piani. Per l’intenzione di Dan di creare nuovi proseliti di questa musica, fu un enorme successo.”

Non poteva essere diversamente, visto che nel film compaiono dei miti assoluti: Ray Charles, Cab Calloway, John Lee Hooker, Aretha Franklyn, giusto per citare i nomi più noti. Fu più di un semplice film, ma un vero concerto, basti pensare che Hooker girò la scena in cui canta Boom Boom dal vivo, al Maxwell Street Market di Chicago, in mezzo alla gente e per la gente, con una passione unica.

https://youtu.be/nUUyFrHERpU

E come non citare l’incredibile grinta di Aretha Franklyn, una leonessa nel cantare Think durante la scena nel diner, mentre i Blues Brothers cercano di portarle via il suo Matt ‘Guitar’Murphy? Parliamo di una delle scene madri del film, composta da diversi tagli montati insieme, ma che per Ayrkroyd fu quasi un’esperienza mistica:

“Mi ricordo che entrai nel diner mentre Aretha Franklyn e le ballerine stavano girando il loro numero, Think. Le mie gambe, il mio stomaco, il plesso solare, tutto divenne come gelatina quando lei iniziò a cantare. Onestamente, non saprei dire come sono riuscito ad alzarmi dallo sgabello e fare i miei passi”

https://youtu.be/RTXszRHc0qs

Comprensibile, considerato la potenza della voce della Franklyn. E difficilmente si può ascoltare la meravigliosa colonna sonora di The Blues Brothers senza immaginare le scene che hanno beneficiato di questi incredibili interpreti, da Minnie the Moocher di Cab Calloway (cantata nella versione originale del ’32, nonostante il parere contrario del cantante) a Shake a Tail Feather con Ray Charles, sino a Gimme Some Lovin’ e Everybody Needs Somebody to Love.

https://youtu.be/qdbrIrFxas0

La musica non è stata solo la scintilla vitale di The Blues Brothers, ma ne è stata un’amica ampiamente ricompensata, visto che l’impresa dei due fratelli ha trasformato un genere in declino in una delle musiche più amate e fischiettate di quel periodo, dandole nuova vita, insegnando anche una lezione universale

"Se amate qualcuno in particolare, tenetevelo stretto, uomo o donna che sia. Amatelo, coccolatelo, stringetelo, esprimete i sentimenti con baci e carezze perché-perché-perché è importante avere qualcuno da baciare e d'abbracciare, tutti abbiamo bisogno di qualcuno"

https://youtu.be/EHV0zs0kVGg

Riscopriamo insieme la colonna sonora del film con questo vinile imperdibile