The Girl on the Train: recensione del thriller targato Netflix

Recensione del nuovo thriller targato Netflix, The Girl on the Train. Secondo adattamento dell'omonimo romanzo scritto da Paula Hawkins

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a cura di Simone Soranna

Dopo il successo del best seller e dell'adattamento cinematografico con protagonista Emily Blunt (La ragazza del treno), è arrivato su Netflix The Girl on the Train, il nuovo thriller tratto dall’omonimo romanzo del 2015 scritto da Paula Hawkins. Traducendo in immagini la terribile spirale di misteri e violenza in cui un'avvocatessa con diverse ombre nella sua vita è destinata a soccombere, il film diretto da Ribhu Dasgupta è un incubo a occhi aperti in cui nulla è davvero ciò che sembra.

La sfida del film è cercare di far meglio del progetto precedente. La pellicola diretta da Tate Taylor infatti non aveva trovato un buon riscontro di critica e pubblico. Gli spettatori lamentavano diverse problematiche. La più evidente era un’impostazione narrativa confusa e frastornata che, via via, perdeva sempre più di vista l’interessante spunto narrativo di partenza.

Thriller dal sapore...bollywoodiano

Anche se la risonanza del romanzo e del primo lungometraggio è comunque sinonimo di successo e attenzione, The Girl on the Train si trova comunque di fronte a un duplice ostacolo: portare in scena uno dei best seller più conclamati degli ultimi anni e cercare di farlo in una maniera diversa rispetto a quanto già visto.

Così, il regista di The Girl on the Train prova a condire il discorso con una massiccia dose di Bollywood. Se infatti la struttura di partenza resta la medesima, sono proprio i connotati dei personaggi protagonisti, il loro contesto sociale e l’estetica del film che strizzando l’occhio al cinema mainstream di radice indiana. Ambientato in una Londra sorprendentemente soleggiata, l’idea di Dasgupta è potenzialmente molto interessante poiché si tratta di una città ampiamente multietnica in cui la componente orientale si è insidiata su tutto il territorio abbracciando da cima a fondo la demografia della metropoli.

Un labirinto di specchi

Il labirinto disorientante e cupo in cui la protagonista finisce dopo pochi minuti di intreccio, riflette a tutto tondo l’incapacità di rispecchiarsi in un mondo diverso, estraneo e lontano dalle radici di casa. Il gesto reiterato di hitckockiana memoria che dà il via allo snodo principale del film, è il simbolo perfetto di chi osserva e ambisce a impossessarsi di un altro status quo, di chi viene abbagliato da un benessere ingannevole che nasconde molte più insidie di quanto non faccia apparire.

The Girl on the Train racconta proprio la spirale di ossessioni e incubi in cui incappa l’avvocatessa Mira Kapoor. Dopo un terribile incidente che non solo le preclude la memoria a lungo termine ma spezza in due la sua carriera, la sua famiglia e le sue certezze, la donna si aggrappa disperatamente alla vita che di una coppia apparentemente perfetta spiata dal finestrino di un treno. La scomparsa della ragazza in questione sarà solo il primo tassello di un puzzle molto più lugubre e stratificato che vedrà sgretolare del tutto le certezze di Mira.

Iniziando quindi la narrazione con un’impostazione tipica di un thriller, The Girl on the Train si trasforma via via in un incubo a occhi aperti. La realtà muta con lo scorrere dei minuti e le molteplici maschere indossate dai personaggi non solo rendono qualsiasi battuta, espressione o accenno di emozione inaffidabili, ma sono anche l’essenza di un contesto (la famiglia della protagonista, i colleghi coinvolti nelle indagini, la città) sodale e sicuro solo in apparenza.

Guardare, o meglio, spiare le azioni di alcuni sconosciuti attraverso il finestrino di un treno in corsa non può, giustamente, essere sufficiente per conoscere da vicino la vita di qualcuno. Ribhu Dasgupta lo sa e prova quindi ad allargare il discorso su scala internazionale per lavorare sulle differenze socioculturali di una metropoli variegata come Londra, ma anche di un’industria (quella cinematografica) ancora troppo superficialmente internazionale.

Per questo motivo, The Girl on the Train è una sorta di film multietnico. Non solo per l’incontro e la compresenza di etnie in scena, ma per una scelta estetica mirata a unire e confondere due immaginari. Da una parte infatti siamo nel cuore della cultura occidentale.

A cavallo tra due mondi

Il film è ambientato a Londra, la città perno tra Europa e Stati Uniti, prende spunto dal Maestro del brivido per eccellenza (Alfred Hitchcock) e si sviluppa su traiettorie ormai consolidate nell’immaginario più comune. Dall’altra parte invece il regista non trattiene il suo sguardo più “indiano”. La scelta di caratterizzare il film come bollywoodiano è evidente non tanto per la presenza di alcuni tra i più celebri attori di quella cinematografia (a noi ancora molto sconosciuta e distante), quanto piuttosto per lo stile concitato e colorato della messa in scena, la presenza di canzoni mirate a restituire i turbamenti psicologici dei personaggi e una scrittura decisamente troppo didascalica (soprattutto sul finale).

https://www.youtube.com/watch?v=LE8-4aRf5VQ

Così, The Girl on the Train rischia di essere recepito in maniera ancor più negativa rispetto a La ragazza del treno, soprattutto da un pubblico poco avvezzo a quel tipo di cinema. L’operazione, di per sé, è interessante e curiosa. In pochi infatti si pongono il problema di diversificare una trasposizione per allontanarsi da chi in precedenza si era già cimentato sul medesimo progetto. Ribhu Dasgupta invece non solo si impegna in tal senso, ma trova anche uno sguardo effettivamente nuovo e stimolante per far combaciare il contenuto con la forma adottata.

Un film zoppicante

Certo è però che, dall’altra parte, il risultato finale sia lontano dalle aspettative. Una volta che la storia entra nel vivo e l’azione si fa via via più concitata, la follia vissuta dalla protagonista e la sua incapacità di riuscire a interagire con la realtà che la circonda viene restituita allo spettatore ma in maniera non voluta. Il film assume infatti connotati sempre meno credibili alla ricerca di un sensazionalismo narrativo (cercato con frequenti, troppi, plot twist) ed emotivo (le interpretazioni in overacting del cast non aiutano) che lascia un po’ il tempo che trova.

Così, se anche il secondo lungometraggio tratto dal testo di Paula Hawkins non convince nella resa sul grande schermo, resta da chiedersi se non sia più sensato provare a guardare altrove e provare a inventare qualcosa di originale invece che sfruttare fino in fondo un successo al quale si rischia poi di disaffezionarsi.

The Girl on the Train è quindi un'operazione riuscita solo in parte: debole da un punto di vista cinematografico (abbiamo visto thriller migliori), ma decisamente curiosa per la commistione di stili. Non tutto torna al posto giusto ed effettivamente alcune sequenze potevano essere concepite con meno sensazionalismo. Tuttavia, il film potrebbe essere un ottimo trampolino di lancio per iniziare ad addentrarsi in una tra le cinematografie più importanti e ricche al mondo (quella indiana), ma ancora purtroppo lontana dal nostro quotidiano.

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