Yojimbot 1, recensione: un robot solitario e il suo bambino

Renoir Comics porta in Italia Yojimbot 1 - Silenzio Metallico di Sylvain Repos, serie vincitrice del Premio dei Licei ad Angouleme 2022.

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a cura di Domenico Bottalico

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Quello di Renoir Comics è senz'altro, nel panorama italiano degli editori di fumetti, uno dei cataloghi più sottovalutati. A riprova di questa affermazione, arriva sugli scaffali di librerie e fumetterie, un'altra ottima proposta dell'editore milanese sempre di provenienza transalpiana: si tratta di Yojimbot 1 - Silenzio Metallico di Sylvain Repos, serie che ha vinto il Premio dei Licei 2022 al Festival di Angouleme. Un riconoscimento che dovrebbe far riflettere sulla bontà della proposta essendo assegnato da una giuria composta da liceali provienti da tutta la Francia. Una storia fresca e veloce, ricca d'azione e ispirata ovviamente al fumetto nipponico ed ai grandi classici della fantascienza e del chanbara (il cinema di cappa e spada con protagonisti i samurai, quello di Akira Kurosawa tanto per dare una coordinata facile per tutti) per un mix riuscitissimo.

Yojimbot 1: un robot solitario e il suo bambino

Provincia di Hoki, Giappone, 2241. L'umanità è nascosta in rifugi sotterranei, solo le forme di vita artificiali possono abitare la superficie della Terra: l'atmosfera è diventata irrespirabile. Ma è davvero così? Non solo il Dottor Hideo e suo figlio Hiro infatti sono riusciti a sfuggire dal loro rifugio scoprendo questa menzogna, ma i soldati sulle loro tracce sembrano accusarlo anche di essere in contatto con la misteriosa Avente Diritto #149. Stufo di non ottenere le risposte che cerca, il comandate Kozuki ordina ai suoi uomini di uccidere Hideo e Hiro. Fortunatamente però Hiro aveva "stretto amicizia" con l'Unità #63, un robot che improvvisamente si attiva in difesa del ragazzo anche se purtroppo per il padre non c'è più nulla da fare. Quella in cui Hiro si trova è un'isola, forse un parco divertimenti a che ricrea il Giappone del periodo Edo e dove i robot impersonano, fra gli altri, anche i mitici samurai.

La strana coppia formata da Hiro e dall'Unita #63 intraprende quindi un viaggio verso la misteriosa Torre #4 dove ad attendere il ragazzo dovrebbero esserci dei misteriosi "amici" di suo padre. Hiro imparerà a conoscere l'incredibile società messa in piedi dai silenziosi robot che si esprimono solo a gesti raccogliendo altri volenterosi compagni per la spedizione, aiuto che si rivelerà necessario quando il sadico Topu proverà a catturarli.

Cosa c'è nella Torre #4, chi è l'Avente Diritto #149 ma soprattutto chi ha bypassato tutti i protocolli dell'Unità #63, ribattezzato Sheru dallo stesso Hiro, comprese le famose "tre leggi fondamentali della robotica", affinché difendesse il ragazzo? Proprio quando alla Torre #4 avviene lo scontro finale fra Hiro e i suoi amici e Topu, dalle ceneri della battaglia emerge un altro misterioso samurai robot: sarà un amico o un nuovo temibile nemico?

Yojimbot 1: un accogliente senso di dejà-vù

La formula scelta da Sylvain Repos è tutto fuorché originale eppure nel mix di influenze, rimandi e citazioni la lettura di Yojimbot 1 - Silenzio Metallico è incredibilmente appagante, coinvolgente e a tratti anche tenera. L'autore mescola certe influenze orientali con spunti da fantascienza classica e una struttura narrativa che strizza l'occhio ai videogames ma predilige il ritmo del manga. Un approccio che sintetizza al meglio la compenetrazione fra diverse grammatiche, non solo del fumetto, riuscendo quindi a penetrare trasversalmente diversi tipo di lettori.

Il canovaccio base è chiaramente il chanbara e il Lone Wolf and Cub di Kazuo Koike e Gōseki Kojima che viene volutamente saccheggiato allorché il giovane Hiro cerca aiuto nell'Unità #63. Il paradigma del samurai silenzioso è preso alla lettera: i robot dell'isola infatti non possono comunicare se non a gesti. In una letteratura a fumetti, ma non solo, che cerca sempre di più di umanizzare, e in taluni casi psicanalizzare, qualsiasi cosa, è una inversione di tendenza interessante ancora più se rapportato al fatto che questi robot effettivamente non sono intelligenze artificiali ma rispettano una programmazione basata sulle tre leggi delle robotica che ci riporta al grande Isaac Asimov. Leggi che vengono bypassate per aiutare Hiro: come e perché questo avviene è evidentemente il programma narrativo a lungo termine della serie. Tutto questo però non impedisce né ad Hiro di stringere amicizia coi robot, e a suo modo umanizzarli, né ai robot di comportarsi come tali ma sempre nel rispetto di una missione da portare a termine a qualsiasi costo come dimostra il drammatico cliffhanger finale.

Nel mezzo c'è innanzitutto il tema del viaggio, anche quello fondante del genere chanbara, ma qui declinato non solo in un ambiente circoscritto, un'isola, ma anche "artificiale" come quello di un parco divertimenti. Se ovviamente per un lettore smaliziato l'ambientazione ricorda ovviamente quella del Westworld di Michael Crichton, le modalità di esplorazione dell'isola invece riprendono molto da vicino quelle tipicamente videoludiche dei giochi open world: ricerca di una mappa, incontro con personaggi non-giocabili, soste per la ricarica dei robot e così via. In questo senso è delicatissimo il modo in cui Repos declina il tema della separazione fra realtà e finzione. Hiro infatti non è i tipico protagonista pieno di risorse, anzi. È rapito dalle meraviglie dell'esplorazione, e dai suoi buffi samurai robot, ma al tempo stesso rivive drammaticamente in più di una occasione non solo la morte del padre ma anche la sensazione di essere solo e soprattutto braccato.

È indubbio anche che alla riuscita di Yojimbot 1 - Silenzio Metallico contribuisca in maniera decisiva anche tutto l'apparato grafico con le capacità di Sylvain Repos che vanno ben oltre quelle legate al mero disegno. È d'uopo ricordare che si tratta di un'opera proveniente dal mercato francofono ma che di francese - come impostazione formale e stilistica - ha ben poco. È interessante partire dal character design dei robot volutamente minimale, molto steampunk se vogliamo, che riporta alla mente il Katsuhiro Otomo di Steampunk più che quello cyberpunk di Akira - vedasi il robot finale di Topu.

In questo senso Repos gioca, dal punto di vista della line art, fra il contrasto fra una linea tonda e continua, come per il protagonista Hiro, con una spezzata per i robot. L'ispirazione è evidentemente quella tipica di una certa animazione dove all'immediatezza delle forme, e quindi anche delle espressioni e nel caso dei robot dalla gestualità, corrisponde un tratteggio pressoché assente. Gli sfondi sono ricchi e particolareggiati ma mai ridondanti, c'è anche un timido utilizzo dei retini, mentre i colori sono stesi con campiture ampie dove i giochi di luce e gli effetti servono ad accentuare sfumature e contrasti fra la natura che ha evidentemente preso il sopravvento sulle strutture costruite dall'uomo.

Se in questo senso lo stile è quindi facilmente accessibile, dove però Yojimbot 1 - Silenzio Metallico si avvicina nettamente al manga è nella ripartizione degli spazi e nella costruzione della tavola. Innazitutto il numero di riquadri è più contenuto rispetto a quello del fumetto franco-belga classico, questo permette una maggiore dinamicità della composizione, le figure diventano centrali sia con sbordature che con aerose soluzioni a tutta pagina. Direttamente dal manga poi vengono poi riprese le linee cinetiche e i tagli trasversali dei riquadri nelle numerose sequenze d'azione che diventano così spettacolari e frenetiche.

Il volume

Renoir Comics propone Yojimbot 1 - Silenzio Metallico in un agile volume brossurato con alette formato 17x24 cm. La carta utilizza è patinata opaca dalla buona resa sia dei colori che dei neri, unico appunto, dal punto di vista carto-tecnico che si può fare, è legato alla rifilatura delle pagine che non consente sempre una lettura ottimale dei balloon. Dal punto di vista editoriale invece la traduzione e l'adattamento sono scorrevoli e, seppur non sono presenti contributi redazionali, è presente invece una buona sezione di studi e bozzetti preparatori con le note dello stesso autore.